sabato 30 luglio 2016

CARO FRANCESCO SIAMO IN GUERRA, ED E’ UNA GUERRA DI RELIGIONE



Papa Francesco sostiene: «Il mondo è in guerra, ma sono gli altri a volerla, non le religioni». D’accordo.
Ma poi afferma: «Questa non è una guerra di religione, C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli».
Per queste ragioni che sanno di stantia sociologia è stato dunque sgozzato, secondo il papa, il sacerdote di Saint-Etienne du Rouvray. Sconcertante.
Non solo nel merito, assolutamente inattendibile, ma anche in prospettiva.
IL PAPA TRAVISA L'EVIDENZA. Un pontefice che non comprende e travisa in tal modo l'evidenza, che sostiene che gli assassini di Rouen, Nizza, Parigi si sono trasformati in kamikaze per «interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli» induce una larga parte dei fedeli a dare retta alle più oscure sirene della xenofobia anti-islamica.
È infatti assodato che dentro il corpo dell’Islam si è formata una grande componente scismatica (che peraltro gode di enormi consensi popolari), che conduce proprio una guerra di religione.
Guerra innanzitutto di musulmani contro musulmani – ma nel nome di un Islam “puro”, con ampie e profonde basi teologiche nella tradizione islamica e ideologi di peso come Ibn Taymmyya, e il più recente Sayyed Qutb -, ma anche guerra contro 'i crociati' e gli ebrei.
UNA SCELTA INFAUSTA. È giusto che il papa rifiuti da parte della Chiesa e dell’Occidente qualsiasi tentazione di fare una guerra di religione.
Ma è altrettanto chiaro che non può negare l’evidenza: decine di migliaia di musulmani stanno oggi conducendo una feroce guerra di religione, col consenso di una parte assolutamente minoritaria ma consistente della umma.
Negare questa realtà è una scelta infausta, che avrà terribili conseguenze, anche in Europa.
D’altronde, quando ho letto che A.K, il macellaio che ha sgozzato il parroco di 86 anni di Saint-Etienne du Rouvray, si è radicalizzato nell’entusiasmo per il massacro di Charlie Hebdo, non ho potuto non tornare allo sconcertante commento a quella strage da parte di papa Francesco: «Se uno mi offende la madre, gli do un pugno».
Parole accompagnate dal gesto di un pugno trattenuto verso uno dei giornalisti che l’accompagnavano in aereo.
L'interpretazione reattiva del jihadismo islamico
Naturalmente, il pontefice ha anche aggiunto a queste parole una netta condanna della violenza e di chi «uccide nel nome della fede».
Ma resta la sostanza, oggi drammatica, di un papa che non comprende le motivazioni ideologiche e religiose identiche che legano il massacro dei giornalisti di Charlie allo sgozzamento blasfemo di un sacerdote ai piedi dell’altare.
Ancora una volta, in quell’occasione, il papa diede un’interpretazione “reattiva” del terrorismo e del jihadismo islamici: ci colpiscono perché abbiamo fatto loro del male, dei torti.
Non è così, non era così a Charlie, non a Nizza, non a Saint-Etienne du Rouvray e nelle decine di posti insanguinati dal jihadismo.
LA LEZIONE BIBLICA DI CAINO. E poi, chi sono questi “altri”? Una indeterminatezza che crea solo confusione.
Il fatto è che questo papa, a differenza di Ratzinger, si rifiuta di prendere atto delle radici profondamente islamiche di quello che resta pur sempre uno scisma. Che ha però infiniti legami e intrecci con il grande alveo dell’Islam.
Addirittura, Francesco più e più volte dà la concreta e inquietante sensazione di aver dimenticato la lezione biblica di Caino, il mistero della pulsione omicida, fratricida, che è dell’uomo, del figlio di Adamo. E ha attribuito con veemenza la causa di tante guerre, in primis di quelle civili siriana e irachena, «al commercio delle armi».
IL TRAFFICO D'ARMI NON C'ENTRA. Questo traffico nulla ha a che fare con il vero nodo ideologico e di fede di una “religione della morte”, intrisa di tradizione, liturgia, interpretazione coranica tutte e solo musulmane, che segna l’aspetto più nuovo di un conflitto fratricida che ha mille motivazioni (a partire dal conflitto tra sciiti e sunniti), tranne quella del commercio di armi, ben ultima tra le tante.
Non una parola Francesco ha mai pronunciato su quella recente aberrazione scismatica (introdotta da Khomeini) che è il martirio quale sesto pilastro dell’islam. Martirio non più affrontato come evenienza –come in tutte le fedi e le culture - ma come precetto che ogni buon musulmano deve perseguire uccidendosi per uccidere infedeli.
L'incontro con il controverso Imam Ahmed al Tayeb
In realtà, tutta la gestione del pontificato di Francesco è improntata a un tatticismo nei confronti del mondo islamico che confonde addirittura gli interlocutori affidabili.
Ecco allora che questo papa riceve in Vaticano quell'Ahmed al Tayeb, grande Imam dell’università coranica di al Azhar e commette tre errori.
Il primo riguarda la rappresentatività di al Azhar nel mondo musulmano, totalmente sopravvalutata dalla Curia vaticana.
Al Azhar non è affatto influente nel mondo sunnita, ormai largamente egemonizzato dal wahabismo-salafismo.
Nello stesso Egitto la sua influenza è ampiamente erosa dalle numerosissime moschee che fanno riferimento alla Fratellanza Musulmana.
LA RIFORMA MANCATA. Ahmed al Tayeb, peraltro, non ha minimamente risposto al pressante invito rivolto ad al Azhar dal presidente egiziano Al Sisi, con toni sferzanti, di riformare l’Islam.
Sono passati due anni e nulla è uscito dalla più “antica università del mondo” che andasse in tal senso.
Infine, ma non per ultimo, Tayeb è lo stesso Imam che il 20 gennaio 2011 ha presieduto il Consiglio di al Azhar che ha deciso di sospendere ogni rapporto con Ratzinger, accusandolo per il discorso di Ratisbona e per «la recente inaccettabile intromissione del pontefice, che ha chiesto la protezione dei cristiani copti».
UN INTERLOCUTORE POCO AFFIDABILE. Dunque, il fatto che un papa, dopo l’orrendo attentato della notte di Capodanno in una chiesa, avesse chiesto «protezione per i cristiani» è stato giudicato da al Azhar, da questa al Azhar, da questo Tayeb, una offensiva «intromissione».
Si comprendono ovviamente le ragioni complesse che hanno spinto papa Francesco e la curia a ricucire quello strappo, in nome di una convivenza normale con l’Islam, ma non l’opacità di questa ricomposizione che lascia inalterate le grette ragioni e le settarie visioni di questo peraltro poco affidabile interlocutore.
L'errore di abbandonare la strada intrapresa da Ratzinger
Inoltre, il papa ha ricevuto recentemente in Vaticano Mozah bint Nasser al Missned, moglie dell’ex emiro del Qatar Khalifa al Thani e onnipotente madre del nuovo emiro Tamim al Thani.
Il merito del Qatar agli occhi del Vaticano è l’avere favorito la costruzione della più grande chiesa cattolica della penisola arabica.
Ma questo non può far passare in secondo piano gli enormi demeriti del Qatar e dei suoi regnanti: i finanziamenti alle correnti più integraliste del wahabismo, e persino del jihadismo, e una gestione di al Jazeera che vede lo sheikh al Qaradawi tenere una rubrica «Consigli della fatwa», nella quale ha legittimato dal punto di vista coranico gli attentati kamikaze contro civili israeliani compiuti da donne.
RAPPORTO CONFUSO CON L'ISLAM. Francesco è influenzato in questo confuso rapporto con il mondo islamico da una sua precedente esperienza pastorale, in una Argentina nella quale 1,4 milioni d cittadini di origine araba (alcuni cristiani, la maggioranza islamici) si sono insediati a partire dall’800 e convivono in termini pacifici con le altre fedi.
Ma resta una sgradevole certezza: questo pontefice ha completamente abbandonato la strada della ricerca indicata da Ratzinger nella sua eccellente prolusione di Ratisbona.
Quella era la strada, da un punto di vista teologico e quindi anche dal punto di vista della politica vaticana, per impostare un fruttuoso confronto-dialogo con l’Islam.
UN ELEVATO TERRENO DI RICERCA. Una indicazione che fu respinta con rabbioso e violento spirito settario dal mondo musulmano. Al Azhar in testa.
Spiace dunque constatare che Francesco abbia rifiutato di seguire il suo predecessore su quell'elevato terreno di ricerca.
Anche quando è costretto ad affrontare un jihadismo islamico che lo smentisce platealmente, da Charlie Hebdo a Saint-Etienne du Rouvray.

giovedì 28 luglio 2016

E’ IL NOSTRO TRAMONTO QUELLO CUI ASSISTIAMO. E NOI LO GUARDIAMO COME SE NON CI RIGUARDASSE



Se fossi un predicatore di strada, uno di quelli che con il trench liso, la barbona incolta e cristologica, il microfono e le casse portatili montate sopra i carrellini che le vecchiette usano per andare a fare spesa nei supermercati, direi che quello che sta accadendo all'Europa sono le nostre piaghe d'Egitto e che in qualche modo ce le siamo meritate. Ma non per qualche colpa storica, non per il perenne senso di colpa che affligge l'Occidente, che poi il senso di colpa è tutto relativo, si tratta più che altro di una scusa per giustificare tutto, in primis la nostra mancanza di volontà non solo di agire ma di pensare al di fuori dei comodi schemi che ci siamo creati e in cui siamo i buoni, i comprensivi, i corretti proprio per riscattarci dal solito senso di colpa storico, di cui sopra.
Se fossi uno di quei predicatori direi che ce le meritiamo queste piaghe per il nostro perverso gusto voyeuristico di guardarci morire, di guardare annientare millenni di storia, civilizzazione e fede senza fare niente. Assistendo al terrore paralizzante che sale progressivamente e in modo inarrestabile dentro tutto noi. Assistendo con sottile e malcelato piacere a un evento finalmente grande nella nostra storia recente così povera di fatti epocali, perché finalmente intravediamo il tramonto dell'Occidente e ne siamo felici. E se fossi un predicatore direi che ce le meritiamo, le piaghe, per il gusto che abbiamo di parlarci addosso ogni giorno che viene alzata l'asticella dell'orrore. Per stare lì a fare distinzioni sopra la natura del velcro tutte le volte che un attentatore islamico decide di mettersi a sterminare qualche infedele. E così nella maggior parte casi, dopo uno qualsiasi dei vari massacri, mentre sei lì a leggere uno dei "giornaloni" che raccontano il fatto bisogna aspettare di arrivare, bene che vada, all'ultima riga per trovare la parola islam, e quando ascolti un tg devi aspettare l'ultima battuta del giornalista per trovare la parola islam, e quando senti il Papa proprio non la trovi la parola islam ma solo che è una guerra innescata dai liberisti mercanti d'armi, perché i termini sembrano equivalersi, anche quando sgozzano un prete in una chiesa di Rouen inneggiando allo Stato islamico, anche lì è colpa del liberismo che genera guerre e tanto tanto odio, anche lì non è affatto una questione religiosa e l'ideologia islamica proprio non c'entra nulla.
Direi tutto questo se fossi un predicatore di strada. Ma non lo sono, o almeno non ancora. Se ci fermiamo un attimo e proviamo a guardare quelli che stanno attorno a noi, se guardiamo dentro di noi, ci accorgeremmo che la questione più ricorrente oggi è sempre di più quella di cercare di capire se ci troviamo all'interno di un incubo o se sia davvero la realtà quello che stiamo vivendo. C'è un rifiuto della realtà, di quello che accade e dei motivi per cui accade. Spesso speriamo, vanamente, di trovarci soltanto all'interno di un brutto film apocalittico. Il rifiuto della realtà, l'incapacità di accettarla, è diventata questa la prima questione che ci perseguita, ben prima di quella che nell'ultimo secolo è stata in cima a tutte le altre, ovvero: Dio esiste? E se mai è esistito, è davvero morto? Quest'ultima, infatti, più di essere una domanda a cui si è risposto, è una domanda dimenticata.
Vorremmo che la realtà non sia ciò che è, ciò che è diventata. Sembra che non siamo pronti al presente, almeno così sembra, almeno questo è quello che ci ripetono i nostri ombelicali opinionisti: che siamo incapaci di affrontare le sfide che la globalizzazione ci pone davanti, che non siamo in grado di gestire il nuovo assetto del mondo, che non siamo capaci di assimilare il flusso di profughi, che non siamo in grado di integrarli, che non siamo in grado di agire, che non siamo pronti a reagire a una imminente sottomissione, che la sottomissione non esiste, che tutto è il contrario di tutto e che, in generale, non siamo pronti a niente.
Ma se per un attimo, invece, provassimo a vedere la cosa da una prospettiva diversa? Forse allora ci accorgeremo che magari l'Occidente non sta facendo altro che compiere il proprio destino. Forse per un attimo potremmo guardarci, accettarci e dirci che in realtà siamo prontissimi a quello che sta accadendo. Forse siamo, magari per l'ultima volta, ancora avanguardia del mondo. Forse siamo i più pronti di tutti a questi tempi nuovi. E allora, proprio per questo, proprio perché forse abbiamo capito il nostro ruolo, quello di una società che subisce l'evoluzione della storia e ne viene schiacciata ed è il suo turno di sparire, siamo pronti a tramontare, a portare a compimento la nostra fine. E allora tutte le questioni su cui ci accapigliamo di continuo, la nostra incapacità di sapere quello che fare davanti agli attacchi che accadono ormai quotidianamente, l'incapacità di chiamare le cose con il loro nome, l'incapacità di pensare un futuro per noi, l'incapacità di difendere le nostre libertà e i nostri traguardi epocali in termini di pace e miglioramento di vita a cui l'Occidente ha portato e sta portando sempre più persone in tutto il mondo sollevandoli da una condizione men che miserevole, l'incapacità di essere orgogliosi di noi stessi e dei nostri valori, dei nostri traguardi e del bene che il nostro modello culturale ha generato, l'incapacità di volerlo conservare difendendolo con ogni mezzo a nostra disposizione, tutte queste incapacità e mancanze, forse, altro non sono che un modo di aprire le porte agli strumenti che determineranno la nostra fine.
Forse dovremmo allontanarci da noi stessi, dalla nostra quotidianità, dalle nostre vite e soprattutto da quello che ci auguriamo per noi, per gli altri e per il mondo. Forse, guardandoci da fuori, potremmo per un attimo piombare nello storicismo, smetterla di disprezzarlo o di trattarlo con sufficienza, e pensare che in fin dei conti anche questo altro non è che ciò che deve essere. L'ennesimo frutto, necessario e maturo, dell'evoluzione storica.

martedì 26 luglio 2016

RAI, LA NAUSEA INFINITA



È assurdo ritrovarsi in queste ore il canone Rai nella bolletta della luce mentre escono (e questo è un bene, gli altri anni era sconosciuto) i compensi dei vari giornalisti, dirigenti e collaboratori Rai che superano i 200 mila euro l'anno.
Qualcuno mi spiegherà meglio come si possono percepire cifre da 300, 400, 500 mila euro per dirigere parti della tv pubblica. È il mercato, ha detto la dr.ssa Maggioni, presidente Rai. Il mercato? Dove ha studiato il mercato il presidente? Se una tv, anche privata, paga cifre del genere ai propri manager vuol dire essere fuori dal mondo. Non c'è nessuno che ha tanto know how di competenze per percepire cifre così esose. Occorre scendere con i piedi per terra e capire "il valore" cos'è, perché se adottiamo la logica del rialzo si va senza limiti. Mai dimenticare che nessuno è indispensabile o insostituibile. Poi se parliamo del settore privato e degli stipendi stellari (ad esempio le banche) andiamo su un altro binario anche se pure lì va data una calmata.
Quel che è peggio del caso è la vastità di persone che s'intascano belle somme senza far nulla. Praticamente lavoratori di lusso. Possibile? Possibile entrare nella Rai, caro Renzi, e come primo atto o mandato ai dirigenti, nuovi, in ingresso, non aver dato l'ordine di sistemare queste nefandezze? Se non altro per rispetto dei contribuenti che si ritrovano a dover mantenere uno spreco assurdo. Ma niente di nuovo sotto il sole. La Rai si rivela per quello che è.
Tv di Stato? Non pervenuta. Zero Tv del canone. I televisionisti (?!), eletti più di un anno fa, che guidano il carrozzone Rai, infornano la tv pubblica di esterni provenienti dalla carta stampata. Come mettere il bravo Giletti direttore del Corriere della Sera. Non ci credono nemmeno i piani alti alla ri-nascita della tv pubblica se, tra 11-12 mila dipendenti Rai, non riescono trovare qualche Braveheart. I risultati non ci piacciono, sono da jeans e maglietta, come sempre avviene quando non c'è  chiarezza  sul prodotto che, per ora, va nella direzione della chiusura di alcuni programmi. Per carità, nessuna petizione lagnosa verso l'addio dei talk: la democrazia non è in pericolo e non c'è scritto da nessuna parte che il conduttore è un posto a vita. Finiamola su, con questa storia che ci vuole, a tutti i costi, la tv pubblica, la sola che riesce garantire equilibri superiori.
Non è vero. Eppoi sappiamo che una tv pubblica, fedelissima al suo brand, verrebbe vista dal duo Lumi Cino.
Se la Rai sta sul mercato, con decine di canali, deve fare, senza esclusione di colpi, programmi concorrenziali alla tv privata. Il servizio pubblico, in questo fantasmagorico mondo multimediale, non è né monomarca e nemmeno palpabile, è nell'aria: l'informazione, ad esempio, è "offerta" gratuitamente anche dalle private La7, Sky, Mediaset e dai siti internet. Tutto gira, cambia, evolve. Mesi fa, Fiorello è stato proclamato giornalista dell'anno. Fiorello non è giornalista e fa una trasmissione, Edicola Fiore,  con un telefonino, dentro un chiosco. I soloni hanno storto il naso: ma come? L'informazione è "esclusiva" di quelli con il tesserino, iscritti all'Ordine. Del tipo che il sapere è custodito solo in Università. Un format conservatore, e aventiniano, solo attento a piantonare le rendite di posizione. Per questo dissertare di tv pubblica è un controsenso in termini, non c'è e non ci sarà mai, o è un paravento.

I programmi della Tv di Stato. La Rai presenta la nuova stagione televisiva e ci spiattella più di 40 programmi nuovi. È una Rai, in particolare la rete 2 e 3, che abbraccia un trend giovane, acculturato, scopiazzando le tendenze di Videomusic-Mtv, di Italia 1, canale 8, canale 9 (Sky e Discovery), e in generale i canali del digitale terrestre. Apprezziamo gli intenti, meno gioia per i conduttori, comici, showgirl chiamati ai nuovi sforzi di stagione. È vero che riempire i palinsesti, in qualche mese, guardando alle risorse interne della Rai, pare essere un problemone: non c'è tempo, meglio andare sulla piazza sicura fatta di consulenti, amici e compagnia del tè del pomeriggio. Però qualcosa di aziendalista, di viale Mazzini 14, ci stava bene.
Insomma "cercasi" uno sforzo di scouting. Scorrendo il listone delle novità è palpabile la sensazione che i palinsesti siano stati costruiti con un melange tra usato sicuro (Fazio, Clerici, Cuccarini, Parisi e forse la Carrà) e quello che girava più vicino ai direttori in quel momento, anche per sentito dire. Per la verità il pranzo sarebbe servito anche senza i direttori Rai, e i dipendenti, perché le colonne portanti dei programmi, ormai, sono fatte da tre o quattro potentissimi agenti che piazzano una sfilza di conduttori impressionante  e da case di produzione, cioè i proprietari dei programmi, esterne, italiane e straniere.
Il senso perfetto della decadenza l'ha dato il televisionista Minoli (papà del mitico Mixer): manca una idea forte, una idea guida della nuova Rai. Soprattutto manca quel quid che ti fa dire Rai, servizio pubblico, aggiungiamo noi. Per ora c'è solo "di tutto, di più". Lo ribadiamo, forse non interesserà molto ai telespettatori, ma alle loro tasche sì: se il carrozzone Rai è fatto di migliaia di dipendenti perché c'è da prendere il tipo o la tipa che viene da fuori? Su questo non mi capacito. Sia chiaro: le assunzioni per concorso, ad esempio dei giornalisti, in tv, come in qualsiasi altro luogo dell'informazione, fanno ridere i polli, perché non è un lavoro per titoli ed esami. E infatti non hanno mai funzionato. E sia chiaro, inoltre, che un direttore di rete o chi per esso, insieme all'editore, devono ritenersi liberi di prendere chi vogliono e di parlare con agenti e case di produzione esterne. Ma  qui siamo in Rai, tv pubblica, tv di Stato, occorrerebbe la giustifica per quello che si fa e come si fa. E non c'è mercato che tenga: perché se la stella guida è il mercato che c'entra il canone? La solita anomalia tragica che si porta via tutte le anomalie, se non ci fosse. E ritorniamo al titolo di questo post.
È assurdo che un "cane da trifola" come Renzi non abbia recepito all'instante che il problema Rai andava assolto togliendo immediatamente il canone. I cittadini avrebbero apprezzato perché stiamo parlando di una assurdità. Invece ora Renzi si trova tra due fuochi: una Rai non sua con dei dirigenti che vanno per loro contro e i cittadini imbufaliti perché devono pagare in bolletta un canone per uno "scopo" impreciso e indefinito.

venerdì 22 luglio 2016

FORTEZZA WASP



In un mondo in cui vi è stato imposto l’integrazione forzata con altre popolazioni profondamente diverse senza che mai il vostro governo vi abbia prima chiesto se effettivamente questa fosse la vostra più intima volontà, vi siete mai fermati a chiedervi qual’è invece il contrario dell’integrazione ? Ve lo dico io si chiama autoghettizzazione, ne sanno qualcosa gli americani che l’hanno inventata e implementata prima di tutti, alla faccia quindi che il diverso è bello e piace. Dopo l’ennesimo attentato terroristico di matrice islamica in Europa, a cui ne seguiranno purtroppo molti altri ancora, dopo l’escalation di disagio popolare che molte istituzioni faticano ormai a contenere, si perde ormai il numero di sindaci che respingono alle prefetture i cosiddetti finti profughi assegnati d’ufficio ai vari comuni italiani, qualcuno inizia a guardare avanti pensando a come difendersi o come fuggire da tutto questo. Purtroppo con una nazione drogata e plagiata da questa vile deriva aberrante di stampo cattocomunista, per la maggior parte della popolazione il futuro è tutt’altro che roseo. Ci sono lettori che mi scrivono chiedendo che cosa possono fare per i loro figli: pensate prima a voi stessi ed auspicate che la vostra discendenza sia dotata di geni atti a non farsi sopraffare; il titolo di studio, tranne qualche caso isolato, non servirà a nulla, anzi magari li schiaccerà ancora più in basso a dove si trovano ora. Ma ritorniamo sui primi passi, come dicevo l’unica soluzione fai da te che si può per adesso implementare per proteggersi e per proteggere la propria famiglia è l’autoghetizzazione ossia ritirarsi a vivere all’interno di comunità residenziali chiuse dal resto del mondo.
Detta così sembra stia parlando di un altro pianeta in realtà si tratta di aree residenziali molto peculiari, riservate ad una fascia della popolazione generalmente benestante che predilige uno stile di vita in cui determinate minacce, rischi e pericoli sono completamente assenti. Tecnicamente si chiamano gated community oppure anche walled community ossia nuclei residenziali recintati e monitorati. In Italia non sono ancora presenti in misura massiva, ma basta aspettare e lo diventeranno presto. Dopo due anni di valutazioni e considerazioni personali anch’io ho scelto di andare a vivere in una struttura residenziale di questo tipo. Esistono in tutto il mondo occidentale, si va dal Messico a Cipro, dalla Spagna agli USA: rappresentano complessi urbani solitamente molto distanti dalle aree metropolitane, caratterizzati da grandi spazi verdi e vegetazione lussureggiante, molti di essi anche per ragioni di marketing sono ubicati in prossimità di aree costiere, ma mai a ridosso del mare, questo per evitare la massa, il rumore o i tipici fastidi che si hanno quando si vive a stretto contatto con persone appartenenti alle fasce economiche più basse (low class people). Queste gated community che solitamente sono costruite all’interno di grandi campi da golf sono dotate di un servizio di vigilanza e polizia privata: per entrare o uscire dalla comunità si deve passare per un check point vigilato giorno e notte in cui vengono registrati e monitorati gli accessi dei visitors ossia gli ospiti dei residenti. Ogni residence community al proprio interno è molto simile ad un piccolo paesino all’italiana, è presente tutto quello che serve per vivere senza pensieri, supermercato, pub, palestra, ogni sorta di impianto sportivo, scuola primaria, clinica medica, veterinario, boutique, wine bar, sportello bancario, edicola, parrucchiera, estetista, un ventaglio di ristoranti ed in taluni casi anche una chiesa (cappella privata).
Le auto circolano all’interno della comunità al massimo dei 30km orari ed in ogni caso vige un sistema di telecamere interno per sanzionare eventuali infrazioni, ognuno ha il proprio parcheggio numerato e coperto davanti casa sotto le fronde di qualche salice o betulla cosi che non si impazzisce a cercare un posto in cui lasciare l’auto, tutta la community si sviluppa attorno a sentieri immersi nel verde e viali per piste ciclabili o passaggi pedonali di modo che tanto persone anziane quanto bambini possono girare liberamente senza angoscia per i rispettivi genitori. Non ci sono spacciatori, violentatori, scippatori o balordi per i viali interni. Qui viene il bello che dimostra quanto l’integrazione forzata sia la più grande menzogna di questo secolo propagandata in Italia dal PD & Company: chi se lo può permettere si autoghettizza ossia si ritira a vivere in queste tipologie di enclave residenziali in cui state certi non vedrete mai islamici, asiatici, diversamente bianchi o sovietici. Tasso di criminalità interno pari allo zero per cento. Potete lasciare la vostra mountain bike da mille euro in giardino o al parcheggio del supermarket interno senza catenaccio, tanto non ve la tocca nessuno. La notte potete dormire senza serrare la porta di ingresso tanto nessuno si sogna di entrare. La vigilanza gira (con molta discrezione) armata giorno e notte, non c’è posto al mondo in cui ti puoi sentire più sicuro. Tecnicamente siete in una fortezza wasp. Questo acronimo sta per white anglo saxon protestant ed era utilizzata un tempo per indicare un cittadino statunitense discendente dei colonizzatori originari inglesi, non appartenente quindi a nessuna delle tradizionali minoranze etniche (afroamericani, ispanici o asiatici). Oggi invece è utilizzata per indicare la cultura e il modo di vita di gruppi circoscritti di persone, generalmente bianchi cristiani benestanti di origine nord europea, conoscitori della lingua inglese, stanziatisi a vivere in altri paesi da quello loro nativo.
Molte di queste gated community che arrivano ad accogliere nella generalità dei casi oltre cinquemila persone possono anche essere sono concepite come retirement village ossia complessi residenziali per accogliere ed ospitare anziani pensionati autosufficienti: la Florida ha creato un business unico al mondo attorno a queste realtà. In Europa abbiamo il Portogallo, con la regione dell’Algarve che ha fatto copia e incolla. Le comunità sono chiuse su se stesse per definizione: per acquistare una proprietà immobiliare (villetta indipendente, appartamento, casa a schiera) dovete essere ammessi dal consiglio di amministrazione della community, presentare determinate credenziali personali e avere referenze professionali, questo con lo scopo di proteggere e tutelare chi ha già scelto di viverci prima di voi quanto chi ha deciso di effettuare eventualmente un investimento immobiliare. Cosi facendo si evita ad esempio che possano entrare come residenti in pianta stabile nella comunità persone generalmente non gradite alla moltitudine. L’approccio può sembrare discriminatorio o a sfondo razzista in realtà rappresenta tanto una forma di difesa quanto una espressione di libertà assoluta ossia voglio essere libero di scegliere con chi vivere e di chi avere a fianco come vicino di casa. Questa è la motivazione principale che spinge ad effettuare queste scelte di vita radicali. Come italiani invece siamo ormai da più di tre anni che abbiamo persone all’interno delle nostre farlocche istituzioni che decidono per voi proclamandosi detentori della verità assoluta ed obbligandovi ad accettare la ricchezza culturale (chiamiamola cosi) di genti disperate che arrivano nel nostro paese con la certezza di andare alla fiera della cuccagna. Molti lettori mi scrivono chiedendo dove possono andare a vivere via dall’Italia per scappare da questo contesto delirante, tuttavia la risposta non è data da una nazione in sé ma dal come vorrete vivere all’interno di quel paese prescelto. L’escalation di terrorismo islamico ed una voluta immigrazione/invasione non controllata sono appena all’inizio. In questi termini la gated community (leggasi fortezza wasp) specie se avete figli ancora in tenera età, vi potrà aiutare a superare questa epoca di follia generazionale nella consapevolezza che il futuro difficilmente potrà essere migliore di adesso.
Eugenio Benetazzo - eugeniobenetazzo.com