martedì 19 luglio 2016

SE NON ORA, QUANDO?



Questo è il mondo in cui viviamo. E siamo costretti a guardarlo attraverso eventi diversi ma sconvolgenti che resettano quelli del giorno precedente. La modernità produce "irregolarità sociale" avvertono gli analisti e la comunicazione "molecolare" perennemente on line produce anche racconti di guerra, sangue e lacerazioni. Siamo così balzati in un attimo dall'agguato di Dallas al nuovo conflitto armato razziale in Lousiana che sconvolge l'America sul finire del secondo mandato di Barack Obama; dal terremoto Brexit all'orror di Dacca allo stragismo di Istanbul all'assurdo scontro dei treni in Puglia e alla mattanza di Nizza. E se serviva un altro spettacolo per le pubbliche opinioni internazionali esasperate e a corto di fiato, questo è andato in onda nella lunga notte del golpe fallito nella Turchia nella Nato e (quasi) europea e sta andando in onda oggi con il metodo Erdogan, altro evento che ha rimandato plasticamente l'immagine di un mondo che pensavamo morto e sepolto. Perché era dai tempi della guerra fredda che nell'Alleanza Atlantica un paese membro non era scosso da un colpo di stato militare.
Sangue di innocenti e grandi emozioni si inseguono e via via, e nel cinismo che è proprio dei media vengono presto archiviate e sostituite. Ma sono eventi molto difficili da razionalizzare ed elaborare nelle nostre teste. Stiamo vivendo, in fondo, un altro "secolo breve" e denso di tragedie, per dirla con Eric Hobsbawm. O forse, più semplicemente, è il vecchio mondo che si è solo capovolto. Ciò che da sempre ci viene raccontato come "normalità" nelle aree più rischiose e inaffidabili del pianeta - distruzioni, stragi, kamikaze, violenze, terrorismo, crudeltà - da qualche tempo vale anche per la nostra Europa.
Ci eravamo illusi, noi dall'alto della nostra civiltà e della nostra storia millenaria, di essere immuni dal male dopo averlo prodotto nella metà del secolo scorso. Eravamo certi che non ci saremmo mai risvegliati con gli occhi sbarrati per le più terribili e insensate stragi. Pensavamo di essere tutelati dallo "scudo Europa", che non sarebbe mai più toccato a noi ma sempre e solo agli altri, oltre i nostri confini allargati a Est. Che l'Europa di per sé fosse l'antidoto al terrore, e noi fossimo a distanza di sicurezza. Invece, anche la Promenade di Nizza indica quanto siamo anche noi dentro la trappola del terrorismo "molecolare". E quanto ci eravamo illusi con quel "The End of History and the last man", la fine della storia che fu il concetto-chiave dell'economista Francis Fukuyama che affascinò storici, politologi, sociologi e finanche psicanalisti: cosa sarà, argomentavano una ventina di anni fa, il nostro mondo dopo il crollo del muro di Berlino e con le ideologie morenti? C'era chi immaginava la noia mortale della fine della conflittualità, una nuova visione del mondo con una nuova etica e l'inizio del rispetto di nuovi diritti dell'uomo, la capacità di potersi concentrare finalmente con i fronti aperti sulla cartina geografica, le disuguaglianze e le miserie umane. Invece si stava riaprendo l'era del caos e delle esplosioni di conflitti purtroppo non governati o tragicamente alimentati da errori e omissioni plateali di alcuni vecchi leader europei: dall'invasione della Libia senza exit strategy modello Sarkozy all'invasione delI'Iraq con dati dell'intelligence falsi o incerti appena certificati dalla commissione di indagine Chilcot che inchioda l'ex premier Tony Blair a tante altre sottovalutazioni.
Nessuno si aspettava una tale concentrazione di storie figlie di errori clamorosi e disordine internazionale, e l'avanzare del terrorismo ibrido e asimmetrico e globalizzato. Tutto scorre oggi sui social alla velocità della luce, e noi siamo passeggeri sull'ottovolante delle emozioni. Scrive Walter Veltroni che "la nostra coscienza rischia di perdere il senso del tempo. Le cose accadono ma non abbiamo il tempo per capirle e per cercare le risposte giuste. Ci viene concesso giusto il tempo per la rassegnazione, la fuga, la rabbia. Proprio quello che gli strateghi del terrore sognano per il nostro domani".
E noi non sappiamo ancora se l'ultima carneficina di Nizza ha il copyright dell'attentatore suicida o se questo folle era in franchising col terrorismo jihadista che l'ha rivendicata solo post mortem. Nessuno ci sa dire con certezza se Mohamed Lahouaiej Bouhlel era un loro "soldato" affiliato e figlio della radicalizzazione Oltralpe o se si tratta di puro terrore fai-da-te del lupo solitario psicologicamente instabile e dominato da depressione e rabbia. Non si sa ancora se e da quando era in contatto con il branco di lupi assetati di sangue che può averlo aiutato e ispirato. Sappiamo però che siamo di fronte all'ennesimo caso che dimostra la facilità con la quale i figli di questa Europa possono saltare dalla marginalità sociale, dalla subcultura della violenza urbana, dalla psicopatologia nella rete della retorica e della mitologia della jihad, nella scelta di farla finita immolandosi nel martirio anche senza aver seguito l'iter classico della partecipazione alle prediche dell'odio contro l'Occidente e magari senza nemmeno praticate e conoscere il Corano.
Quel che emerge aumenta però il rischio. E la strage di Nizza rientra perfettamente nel salto di qualità nella strategia del Califfato. La centrale del terrore globale ci avverte che nessuno può e deve sentirsi al sicuro, crede di poter colpire quando, come e dove pensa di poter colpire; e nemmeno la comunità islamica (assurdamente confusa tout court col radicalismo) verrà risparmiata. Ci dice che il nostro tempo non deve essere più libero ma soffocato e sotto minaccia. Cercano l'effetto devastante del panico e della chiusura in noi stessi, in una nuova forma di stress e paura. La selezione degli obiettivi sempre civili e mai militari, deve trasmettere la costante sensazione d'incertezza nel nostro quotidiano. E fare i conti, in queste ore, con i consigli a blindare le nostre vite, ad adottare misure di prevenzione e difesa personale come quelle create dal clima ad alta tensione che vivono da sempre a Tel Aviv o Beirut o Kabul era inimmaginabile fino a ieri.
Di una cosa però siamo certi: non possiamo assuefarci e cedere al panico del terrorismo con la sua contabilità funerea. Dobbiamo invece difendere la nostra libertà, la nostra civiltà, il nostro diritto alla vita. Ma per farlo dobbiamo chiedere uno scatto soprattutto a chi governa questa Europa. Siamo entrati in un nuovo mondo dove la guerra all'Isis, bestia ferita e in ritirata sui fronti della Siria e dell'Iraq dimostra la sua pericolosità. Usino allora tutte le armi - militari, di intelligence, politiche, culturali di inclusione ed educazione - per sconfiggere anche culturalmente questo mostro. Spetta a questa nostra Europa, pur smarrita e fiaccata, attaccata dai fronti populisti e disgregata dai nazionalismi ciechi che fanno a gara ad alzare muri alle frontiere quando la minaccia è interna, dimostrare di essere capace di una svolta nel sistema-colabrodo della sicurezza continentale. Sul campo, purtroppo, vediamo all'opera troppi ispettori Clouseau: dai flop di Bruxelles al terrorista di Nizza che dice ai gendarmi "trasporto gelati" con un Tir da 19 tonnellate e lo lasciano passare sulla Promenade pedonale e superaffollata.
Ma cosa altro deve accadere? Ci metta la faccia ora, il governo dell'Unione, faccia quel che solennemente ha promesso a noi europei e ai familiari delle vittime dopo il Bataclan e gli altri massacri. Se siamo davvero alle "car jihad", riorganizzi seriamente e prima che sia troppo tardi una politica di sicurezza comune, rivedendo in emergenza anche i trattati, perché vanno individuati in tempo schegge impazzite, gli attentatori fatti in casa, i foreign fighters, i potenziali jihadisti prima di essere ingaggiati tra carceri e ghetti urbani e inquadrati militarmente nelle cellule dell'Isis. Non li lascino liberi di armarsi e di uccidere senza pietà.
Per favore, ora basta con le parole e abbattete la scandalosa Babele dei 28 (o 27) servizi nazionali di intelligence con i loro apparati di polizia e di investigazione e linguaggi e codici diversi che non cooperano come dovrebbero. Contro il network del terrore organizzatela davvero la Procura europea specializzata, la Fbi federale continentale, l'Agenzia di Intelligence dell'Unione, come chiede da tempo e inutilmente il governo italiano. Cari Hollande e cara Merkel togliete il vostro veto e impegnate subito i migliori e metteteli al lavoro. Fate sul serio, e col marchio Ue inviate operatori e mediatori culturali nelle scuole e nei vari ambiti sociali più a rischio per dare un senso all'operazione "un euro in sicurezza e un euro in cultura", come nuova cultura dell'integrazione per provare a battere il radicalismo islamico armato e raddrizzare la deriva europea.