martedì 5 luglio 2016

MORTI LONTANO DALL'AGONIA DI UN PAESE



Gli Italiani trucidati a Dacca, rappresentano con la loro tragica fine, il meglio e il peggio di questo disgraziato paese.
Il meglio come individui che non hanno atteso provvidenze, sussidi e redditi di cittadinanza, mentre tutto va a rotoli, aziende, attività, affari e mercato. Il peggio è rappresentato dal loro paese natio l’Italia, capace ormai solo di offrire bonus e provvidenze ma soprattutto promesse, riducendo all’ozio e all’inedia permanenti, milioni di loro connazionali che certo non hanno trovato la morte a Dacca, ma vivono come schiavi di un sistema perverso di distruzione della ricchezza.
Dallo stato questi morti non hanno accettato elemosine. Tra qualche giorno dovranno sottostare all’unica elemosina ormai possibile per loro: i funerali di stato.
Il meglio e il peggio insieme di un’intera nazione, attorno ai tavoli di ristorante di un paese lontano e diverso, in un solo tragico minuto, ostaggi di un gruppo di sanguinari accecati da odio e fanatismo. Il meglio di loro come persone, e il peggio di una nazione dove il neo sindaco di Milano, ha costituito nelle stesse ore della tragedia, l’Assessorato alla Felicità. Quasi fosse la felicità una roba da ordinanza comunale !!!
Metterei il parassita sala, di fronte a uno dei congiunti brianzoli (tanto per rimanere sul territorio) di uno dei trucidati. Realizzerebbe quanto immensa è la sua stupidità umana e politica.
Ciascuna delle 9 storie di vita, provenienti da regioni del sud, del centro e del nord, racconta di persone che hanno provato a fare altrove, cose normali che qui non sono più possibili, e non da ieri: vivere, lavorare, sperare in un futuro migliore per i nostri figli.
La cosa davvero strabiliante, ma da cui non rimango sorpreso, è che questi nostri 9 connazionali non erano andati in California, a Seoul, Honkong o Londra, no. Si trovavano in un paese semisconosciuto e poverissimo, con una densità di popolazione spaventosa e problemi di ordine politico, sociale ed economico a non finire. Un paese dove, diciamocelo pure, nessuno andrebbe mai a trascorre neppure un giorno d’avventura.
Eppure costoro erano in Bangladesh, chi residente e chi solo di routine, per i loro bisogni vitali: realizzarsi e realizzare qualcosa. Quando ho appreso che persino lo chef (scampato alla strage) di quel ristorante era italiano mi sono detto: di cosa si sta a discutere in itaGlia ? di previsioni di confindustria, di riforme, di bonus, di reddito di cittadinanza !!!
Pensare che il Bangladesh possa costituire nonostante tutto, una possibilità per gli Italiani, lascia un’amarezza senza fine in tutti noi. E’ normale ritenere che se uno vive bene in un posto, può lavorare, prosperare, costruire qualcosa e sperare il meglio per i figli, in Florida o California ci va in vacanza. A Dacca non ci va neppure sotto tortura.
Gli è invece è che in questo nostro disgraziato paese ormai nulla è più possibile, neppure le cose essenziali come lavorare e non fare i parassiti.
E cosi si va via. Vanno via i giovani definitivamente, mettendo su famiglie altrove, facendo figli che saranno cittadini di altri paesi. Vanno via i pensionati che non ce la fanno più ad arrivare a fine mese, e con qualche risparmio affrontano le incognite di un trasferimento e di una nuova vita, anzichè la serenità della vecchiaia. Vanno via persone di ogni età e fascia sociale, compresi tanti imprenditori e liberi professionisti, a cui la vita è stata resa impossibile da una tassazione vergognosa, da una burocrazia che ha superato quelle dell’ex Unione Sovietica di 30 – 40 anni fa e della Corea del Nord attuale.
Colpisce la storia di Claudio Cappelli, genero del più famoso industriale Beretta, re dei salumi. Titolare il Cappelli con la madre della Star International, piccola azienda brianzola del settore tessile. Non conosco personalmente l’azienda, ma ho conosciuto negli anni, decine di aziende tessili della brianza, della bergamasca, della val sesia, del bresciano. Di quei grandi stabilimenti, quasi tutti producevano 24 ore su 24, non è rimasto più nulla. Le aziende hanno dovuto delocalizzare le produzioni e qui quando va bene è rimasto l’ufficio stile, il marketing, le vendite e la distribuzione. Insieme alle aziende tessili hanno delocalizzato o sono svanite nel nulla, decine di aziende costruttrici di macchine e attrezzature per il settore tessile. Ho lavorato negli anni per molte di loro, erano floride e occupavano migliaia di lavoratori. Non è rimasto più nulla.
La Star International  del povero sig. Cappelli operava in questa filiera. Anche Cappelli in cerca di fortuna in un paese poverissimo. Risparmiatevi per cortesia i luoghi comuni sul capitalismo becero che sfrutta i bambini, sulla speculazione e altre stupidaggini economiche. I commenti di questo segno verranno cancellatti senza appello.
Colpisce ancora la storia di Marco Tondat, friulano. Ho sentito il fratello dichiarare tra i singhiozzi: “mio fratello era andato via perchè non si rassegnava a fare il precario qui, in un paese dove nessuno più ha responsabilità del disastro economico che abbiamo intorno”. Tondat lavorava come supervisore in uno stabilimento manco a dirlo del settore tessile, proprietà di un suo amico imprenditore, friulano anche lui, scappato via da questo inferno fiscale e collettivista.
Storia parallela quella di un altro friulano, Cristian Rossi. Sempre settore tessile, ex dipendente di un colosso tessile friulano che aveva cessato l’attività negli anni scorsi. Leggete cosa scriveva il Fatto Quotidiano il 3.1.3.2015 a tale proposito: (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/31/gruppo-bernardi-falliti-per-cartella-equitalia-200-milioni-annullata/1552283/)
Si era messo in proprio il Rossi quando si era trovato in mezzo a una strada e come tanti connazionali, ha dovuto aprire una partita iva, spesso ultima spiaggia per poter fare qualcosa e non vivere d’inedia e sussidi.
Il tragico della faccenda è apprendere ogni anno dalle statistiche Istat, che il numero di p.iva crescenti rappresenta una crescita dell’economia, incredibili start-up, intraprendenza italica !! Non è affatto stupefacente per me. Le statistiche vengono giust’appunto predisposte dai parassiti dell’istat che non hanno mai lavorato sul mercato ma solo per lo stato. I dirigenti Istat sono nominati dai partiti. Cristian Rossi faceva parte di questa decantata intraprendenza italica, “grazie” alla quale secondo i funanboli dell’Istat ha trovato la peggiore delle morti, per mano di sanguinari aguzzini. Ricordo a qualcuno che non è abbastanza informato sull’Istat che il suo attuale presidente, tale Alleva, nominato nel 2014 ha dichiarato : “Il reddito di cittadinanza ridurrebbe di molto la povertà ed è ben congegnato perché proporzionato al reddito e versato al singolo, che così ha autonomia di scelta. Andrebbe però attuato bene per evitare che incentivi il lavoro nero, su cui l’Italia non ha mai fatto vere politiche di contrasto. Costa 14,9 miliardi, ma non è all’ordine del giorno. Così ci priviamo di una misura di welfare adottata in gran parte dei Paesi europei“.
Manca di spiegare l’Alleva e tutti i parassiti della sua invereconda categoria, chi paga il conto. Ma tanto per i parassiti come lui, il conto lo pagherà sempre qualcun’altro. Qualche capitalista alla Tondat, alla Cappelli si trova sempre da spennare, fosse anche a Dacca.
Uno di questi “capitalisti” era Cristian Rossi. Infatti invece di aspettare lo stato è andato a cercarsi un lavoro fino a Dacca !!! E morendovi tragicamente.
Colpiscono ancora le storie di Nadia Benedetti, Claudia D’Antona, Adele Puglisi che lavorava a Dacca per l’Artsana di Grandate (CO) che in quel paese ha delocalizzato. E di Vicenzo D’Allestro, Maria Riboli, Simona Monti.
Hanno quasi tutte un fattore comune queste storie : aziende chiuse in italia, produzione delocalizzate o smantellate definitivamente, difficoltà di fare affari o semplicemente avere un reddito da lavoro qui in Italia.
Presto ci saranno i funerali di stato. Maruzzella dopo l’affranto suffraggio alle vittime, terrà l’omelia funebre. Il fonzye che nessuno sapeva di avere per familiare, è diventato tutto d’un tratto cugino o cognato anche mio e di “tutti gli italiani che oggi si sentono una grande famiglia”. Anche lui sbrodolerà luride dichiarazioni da nullafacente, adattate alle circostanze funebri.
Non ci sarà consolazione per i familiari ovviamente, non ci saranno parole che potranno bastare. Costernati dal dolore e dall’angoscia, assisteranno muti e in lacrime ai riti di stato e privati che seguiranno. Anche noi che non viviamo di stato, assistiamo muti e affranti. Più di tanti altri, pemettetemi di dirlo. Perchè capiamo la tragedia umana che deve aver preceduto la morte di questi poveri Italiani: l’emigrazione e il peregrinare internazionale per motivi di lavoro.
I maruzzaella, i fonzye, e tutti gli altri parassiti giù a sbrodolare le loro consunte giaculatorie d’ordinanza, con la faccia di tolla di sempre, nel loro grigiume d’abito e d’animo, rinchiusi nella loro ormai insopportabile incoerenza. Non stanno zitti e non spariscono neppure di fronte a questa tragedia che non è dei 9 morti ma di una nazione intera che induce tantissimi a cercare fortuna altrove, persino in posti come il Bangladesh, dove invece di poter sperare hanno trovato la morte.