sabato 30 luglio 2016

CARO FRANCESCO SIAMO IN GUERRA, ED E’ UNA GUERRA DI RELIGIONE



Papa Francesco sostiene: «Il mondo è in guerra, ma sono gli altri a volerla, non le religioni». D’accordo.
Ma poi afferma: «Questa non è una guerra di religione, C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli».
Per queste ragioni che sanno di stantia sociologia è stato dunque sgozzato, secondo il papa, il sacerdote di Saint-Etienne du Rouvray. Sconcertante.
Non solo nel merito, assolutamente inattendibile, ma anche in prospettiva.
IL PAPA TRAVISA L'EVIDENZA. Un pontefice che non comprende e travisa in tal modo l'evidenza, che sostiene che gli assassini di Rouen, Nizza, Parigi si sono trasformati in kamikaze per «interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli» induce una larga parte dei fedeli a dare retta alle più oscure sirene della xenofobia anti-islamica.
È infatti assodato che dentro il corpo dell’Islam si è formata una grande componente scismatica (che peraltro gode di enormi consensi popolari), che conduce proprio una guerra di religione.
Guerra innanzitutto di musulmani contro musulmani – ma nel nome di un Islam “puro”, con ampie e profonde basi teologiche nella tradizione islamica e ideologi di peso come Ibn Taymmyya, e il più recente Sayyed Qutb -, ma anche guerra contro 'i crociati' e gli ebrei.
UNA SCELTA INFAUSTA. È giusto che il papa rifiuti da parte della Chiesa e dell’Occidente qualsiasi tentazione di fare una guerra di religione.
Ma è altrettanto chiaro che non può negare l’evidenza: decine di migliaia di musulmani stanno oggi conducendo una feroce guerra di religione, col consenso di una parte assolutamente minoritaria ma consistente della umma.
Negare questa realtà è una scelta infausta, che avrà terribili conseguenze, anche in Europa.
D’altronde, quando ho letto che A.K, il macellaio che ha sgozzato il parroco di 86 anni di Saint-Etienne du Rouvray, si è radicalizzato nell’entusiasmo per il massacro di Charlie Hebdo, non ho potuto non tornare allo sconcertante commento a quella strage da parte di papa Francesco: «Se uno mi offende la madre, gli do un pugno».
Parole accompagnate dal gesto di un pugno trattenuto verso uno dei giornalisti che l’accompagnavano in aereo.
L'interpretazione reattiva del jihadismo islamico
Naturalmente, il pontefice ha anche aggiunto a queste parole una netta condanna della violenza e di chi «uccide nel nome della fede».
Ma resta la sostanza, oggi drammatica, di un papa che non comprende le motivazioni ideologiche e religiose identiche che legano il massacro dei giornalisti di Charlie allo sgozzamento blasfemo di un sacerdote ai piedi dell’altare.
Ancora una volta, in quell’occasione, il papa diede un’interpretazione “reattiva” del terrorismo e del jihadismo islamici: ci colpiscono perché abbiamo fatto loro del male, dei torti.
Non è così, non era così a Charlie, non a Nizza, non a Saint-Etienne du Rouvray e nelle decine di posti insanguinati dal jihadismo.
LA LEZIONE BIBLICA DI CAINO. E poi, chi sono questi “altri”? Una indeterminatezza che crea solo confusione.
Il fatto è che questo papa, a differenza di Ratzinger, si rifiuta di prendere atto delle radici profondamente islamiche di quello che resta pur sempre uno scisma. Che ha però infiniti legami e intrecci con il grande alveo dell’Islam.
Addirittura, Francesco più e più volte dà la concreta e inquietante sensazione di aver dimenticato la lezione biblica di Caino, il mistero della pulsione omicida, fratricida, che è dell’uomo, del figlio di Adamo. E ha attribuito con veemenza la causa di tante guerre, in primis di quelle civili siriana e irachena, «al commercio delle armi».
IL TRAFFICO D'ARMI NON C'ENTRA. Questo traffico nulla ha a che fare con il vero nodo ideologico e di fede di una “religione della morte”, intrisa di tradizione, liturgia, interpretazione coranica tutte e solo musulmane, che segna l’aspetto più nuovo di un conflitto fratricida che ha mille motivazioni (a partire dal conflitto tra sciiti e sunniti), tranne quella del commercio di armi, ben ultima tra le tante.
Non una parola Francesco ha mai pronunciato su quella recente aberrazione scismatica (introdotta da Khomeini) che è il martirio quale sesto pilastro dell’islam. Martirio non più affrontato come evenienza –come in tutte le fedi e le culture - ma come precetto che ogni buon musulmano deve perseguire uccidendosi per uccidere infedeli.
L'incontro con il controverso Imam Ahmed al Tayeb
In realtà, tutta la gestione del pontificato di Francesco è improntata a un tatticismo nei confronti del mondo islamico che confonde addirittura gli interlocutori affidabili.
Ecco allora che questo papa riceve in Vaticano quell'Ahmed al Tayeb, grande Imam dell’università coranica di al Azhar e commette tre errori.
Il primo riguarda la rappresentatività di al Azhar nel mondo musulmano, totalmente sopravvalutata dalla Curia vaticana.
Al Azhar non è affatto influente nel mondo sunnita, ormai largamente egemonizzato dal wahabismo-salafismo.
Nello stesso Egitto la sua influenza è ampiamente erosa dalle numerosissime moschee che fanno riferimento alla Fratellanza Musulmana.
LA RIFORMA MANCATA. Ahmed al Tayeb, peraltro, non ha minimamente risposto al pressante invito rivolto ad al Azhar dal presidente egiziano Al Sisi, con toni sferzanti, di riformare l’Islam.
Sono passati due anni e nulla è uscito dalla più “antica università del mondo” che andasse in tal senso.
Infine, ma non per ultimo, Tayeb è lo stesso Imam che il 20 gennaio 2011 ha presieduto il Consiglio di al Azhar che ha deciso di sospendere ogni rapporto con Ratzinger, accusandolo per il discorso di Ratisbona e per «la recente inaccettabile intromissione del pontefice, che ha chiesto la protezione dei cristiani copti».
UN INTERLOCUTORE POCO AFFIDABILE. Dunque, il fatto che un papa, dopo l’orrendo attentato della notte di Capodanno in una chiesa, avesse chiesto «protezione per i cristiani» è stato giudicato da al Azhar, da questa al Azhar, da questo Tayeb, una offensiva «intromissione».
Si comprendono ovviamente le ragioni complesse che hanno spinto papa Francesco e la curia a ricucire quello strappo, in nome di una convivenza normale con l’Islam, ma non l’opacità di questa ricomposizione che lascia inalterate le grette ragioni e le settarie visioni di questo peraltro poco affidabile interlocutore.
L'errore di abbandonare la strada intrapresa da Ratzinger
Inoltre, il papa ha ricevuto recentemente in Vaticano Mozah bint Nasser al Missned, moglie dell’ex emiro del Qatar Khalifa al Thani e onnipotente madre del nuovo emiro Tamim al Thani.
Il merito del Qatar agli occhi del Vaticano è l’avere favorito la costruzione della più grande chiesa cattolica della penisola arabica.
Ma questo non può far passare in secondo piano gli enormi demeriti del Qatar e dei suoi regnanti: i finanziamenti alle correnti più integraliste del wahabismo, e persino del jihadismo, e una gestione di al Jazeera che vede lo sheikh al Qaradawi tenere una rubrica «Consigli della fatwa», nella quale ha legittimato dal punto di vista coranico gli attentati kamikaze contro civili israeliani compiuti da donne.
RAPPORTO CONFUSO CON L'ISLAM. Francesco è influenzato in questo confuso rapporto con il mondo islamico da una sua precedente esperienza pastorale, in una Argentina nella quale 1,4 milioni d cittadini di origine araba (alcuni cristiani, la maggioranza islamici) si sono insediati a partire dall’800 e convivono in termini pacifici con le altre fedi.
Ma resta una sgradevole certezza: questo pontefice ha completamente abbandonato la strada della ricerca indicata da Ratzinger nella sua eccellente prolusione di Ratisbona.
Quella era la strada, da un punto di vista teologico e quindi anche dal punto di vista della politica vaticana, per impostare un fruttuoso confronto-dialogo con l’Islam.
UN ELEVATO TERRENO DI RICERCA. Una indicazione che fu respinta con rabbioso e violento spirito settario dal mondo musulmano. Al Azhar in testa.
Spiace dunque constatare che Francesco abbia rifiutato di seguire il suo predecessore su quell'elevato terreno di ricerca.
Anche quando è costretto ad affrontare un jihadismo islamico che lo smentisce platealmente, da Charlie Hebdo a Saint-Etienne du Rouvray.