mercoledì 28 agosto 2013

LA NOSTRA COSTITUZIONE E QUELLA UNGHERESE



Quello che segue è il preambolo della nuova Costituzione ungherese, stilata il 25 aprile del 2011, e la pubblichiamo volentieri perché è un raro esempio di carta costituzionale completamente fuori dalla storia e dalla cultura dei giorni nostri. Una simile costituzione sembra risalire ai primi anni del secolo scorso, quando due diversi totalitarismi erano destinati a fronteggiarsi. Il continuo richiamo all’amor di patria e ai valori dell’identità antropologica degli ungheresi ne fa, nella sostanza, una costituzione nazionalista, ostile a tutto quello che è straniero (altro da sé), fa trapelare la diffidenza per qualsiasi influenza o condizionamento esterno, rendendo così difficile qualsiasi tipo di dialogo con interlocutori non ungheresi. Il culto della propria storia e della propri nazione, l’ostilità per gli influssi “esterni”, considerati un pericolo per la preservazione della “purezza” della razza e dell’etnia ungherese, la mettono al di fuori dell’Unione Europea. Una simile costituzione va bene per uno stato totalitario, non per una nazione che intende far parte dell’Europa, con tutti i difetti che possiamo e dobbiamo riconoscerle. Leggendola, sarà più comprensibile per tutti il motivo delle perplessità dell’UE nei confronti del governo di questo paese, che non a caso è stato accusato da più parti di “neofascismo”.


Dio benedica gli ungheresi
PROFESSIONE NAZIONALE
Noi, membri della Nazione ungherese, all'inizio del nuovo millennio, con senso di responsabilità per ogni ungherese, proclamiamo quanto segue:
Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano abbia costruito lo Stato ungherese su solide basi e lo abbia reso parte dell'Europa cristiana mille anni fa.
Siamo orgogliosi dei nostri antenati che hanno combattuto per la sopravvivenza, la libertà e l'indipendenza del nostro paese.
Siamo orgogliosi delle eccezionali conquiste intellettuali del popolo ungherese.
Siamo orgogliosi che la nostra gente nel corso dei secoli ha difeso l'Europa in una serie di lotte e ha arricchito l'Europa con i suoi talenti e la sua diligenza.
Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nel aver preservato la nazione. Apprezziamo le varie tradizioni religiose del nostro paese.
Promettiamo di preservare l'unità intellettuale e spirituale della nostra nazione lacerata nelle tempeste del secolo scorso. Le nazionalità che vivono con noi fanno parte della Comunità politica ungherese e sono parti costitutive dello Stato.
Ci impegniamo a promuovere e a salvaguardare il nostro patrimonio, la nostra lingua, così diversa da tutte le altre, la cultura ungherese, le lingue e le culture delle nazionalità che vivono in Ungheria, insieme a tutto il patrimonio antropico e naturale del bacino dei Carpazi.
Noi ci riconosciamo responsabili nei confronti dei nostri discendenti, quindi proteggeremo le condizioni di vita delle generazioni future facendo un uso prudente delle nostre risorse materiali, intellettuali e naturali.
Noi crediamo che la nostra cultura nazionale sia un ricco contributo alla diversità dell'Unione europea.
Rispettiamo la libertà e la cultura di altri popoli, e ci impegneremo a collaborare con ogni nazione del mondo.
Noi riteniamo che l'esistenza umana sia basata sulla dignità umana.
Noi riteniamo che la libertà individuale non possa essere completa se non in collaborazione con gli altri.
Noi riteniamo che la famiglia e la nazione costituiscano la struttura principale della nostra convivenza, e che i nostri valori di coesione fondamentali siano la fedeltà, la fede e l'amore.
Noi riteniamo che la forza della comunità e l'onore di ciascuno sono basati sul lavoro, una conquista della mente umana.
Noi riteniamo che abbiamo un dovere generale di aiutare i più deboli e i più poveri.
Noi riteniamo che l'obiettivo comune dei cittadini e dello Stato sia quello di raggiungere la misura più alta possibile di benessere, sicurezza, ordine, giustizia e libertà.
Noi riteniamo che la democrazia sia possibile solo se lo Stato serve i suoi cittadini e amministra i propri affari in modo equo, senza pregiudizi o abusi.
Onoriamo le conquiste della nostra costituzione storica e onoriamo la Santa Corona, che incarna la continuità costituzionale della sovranità dell'Ungheria e l'unità della nazione.
Noi non riconosciamo la sospensione della nostra costituzione storica a causa delle occupazioni straniere. Neghiamo qualsiasi prescrizione per i crimini disumani commessi contro la nazione ungherese e i suoi cittadini, sotto le dittature del nazismo e del comunismo.
Noi non riconosciamo la costituzione comunista del 1949, dato che fece da base alla tirannide, pertanto la proclamiamo non valida.
Concordiamo con i membri del primo Parlamento libero, che proclamarono come prima loro decisione che la nostra libertà attuale è nata con la nostra rivoluzione del 1956.
Riconosciamo come data del ripristino dell’autodeterminazione del nostro paese, perduta il diciannovesimo giorno di marzo del 1944, al 2 maggio del 1990, quando si è formato il primo corpo di rappresentanza popolare liberamente eletto. Noi consideriamo questa data come l'inizio della nuova democrazia e del nuovo ordine costituzionale del nostro paese.
Noi riteniamo che, dopo i decenni del ventesimo secolo che portarono ad uno stato di decadenza morale, abbiamo un perdurante bisogno di rinnovamento spirituale e intellettuale.
Confidiamo in un futuro da costruire insieme e nell'impegno delle giovani generazioni. Crediamo che i nostri figli e nipoti renderanno di nuovo l’Ungheria grande con i loro talenti, perseveranza e forza morale.
La nostra legge fondamentale [la presente Costituzione] deve essere la base del nostro ordinamento giuridico: costituirà un’alleanza tra ungheresi del passato, presente e futuro; un quadro vivente che esprime la volontà della nazione e la forma in cui vogliamo vivere.
Noi, i cittadini provenienti da Ungheria, siamo pronti a fondare l'ordine del nostro paese sugli sforzi comuni della nazione.

lunedì 26 agosto 2013

LA COSTITUZIONE: PER BELLA CHE TU SIA...



Lo scorso weekend ascoltavo con grande interesse in un ristorante maltese il vociferare di un gruppo di italiani in vacanza che disquisivano sulle riforme necessarie della politica italiana e sui mali endogeni di casa nostra. Gran parte del conviviale era incentrato sul paradossale mantenimento delle province e sul senso di esistenza ed utilità del Senato. Inutile sottolineare le bestemmie e il turpiloquio dei nostri connazionali su questo o quel partito, su questo o quel leader: ognuno di loro difendeva giustamente il proprio credo politico. Quello che invece mi ha suscitato riflessione è stata la povera o quasi inesistente conoscenza della nostra Costituzione da parte del pittoresco siparietto italiano. Non mi voglio proclamare profondo conoscitore delle tematiche costituzionali, ma qualche lineamento di diritto costituzionale l'ho dovuto studiare durante il mio percorso di formazione universitaria. Abolire le tanto denigrate province o ridimensionare il ruolo del Senato o meglio ancora abolirlo definitivamente rappresentano alcune delle gettonate aspettative dell'opinione pubblica italiana.

Tuttavia queste aspettative si devono scontrare con una spiacevole constatazione ovvero che la Costituzione italiana è talmente inviolabile e blindata su se stessa da far invidia ad un caveau di una banca svizzera. Abolire le province presuppone una riforma costituzionale, per il Senato non ne parliamo in quanto verrebbe addirittura compromesso l'originario assetto istituzionale dei padri costituenti. Recentemente il comico Roberto Benigni durante un suo spettacolo di intrattenimento televisivo ha definito la Costituzione Italiana come la più bella del mondo. Originariamente in latino il termine “bello/a” significava “carino/a o grazioso/a”, ma non tanto per la valenza estetica quanto per una connotazione di proporzione appropriata nella disposizione delle parti. La nostra Costituzione da questo punto di vista etimologico è sicuramente molto bella, intesa come tra le più complete e organiche del mondo. Tuttavia in determinati contesti intercalati nella realtà odierna il termine “bello” può assumere anche il significato di “virtuoso” e “proficuo”. Da questo punto di vista la nostra Costituzione non lo è affatto, anzi se analizzata con un freddo occhio clinico diventa “iperprotettiva” e pertanto anche pericolosa.

Chiunque desideri modificare piccole parti della stessa si deve attrezzare con una apposita Legge Costituzionale nel rispetto da quanto previsto dall'articolo 138 della Costituzione. Quindi per revocare i vitalizi ai parlamentari o ridimensionare il loro trattamento economico (vista la presenza di implicazioni e riferimenti costituzionali), abolire le province o accorpare il Senato alla Camera per ottenere un'unica assemblea parlamentare vi è la necessità obbligata (purtroppo) di ricorrere ad una modifica costituzionale. Spendiamo qualche riga per ricordare che cosa significa cambiare un comma o un articolo della nostra carta suprema.  Una Legge Costituzionale, sia che integri o modifichi la Costituzione, è un atto normativo che necessita di un iter di approvazione parlamentare mediante una procedura più aggravata e complessa rispetto a quella prevista per qualsiasi legge ordinaria. L'approvazione del testo deve ottenere due distinte deliberazioni da parte di ciascun ramo del Parlamento, tra le quali devono intercorrere almeno tre mesi. Inoltre nella seconda deliberazione, quindi sia alla Camera che al Senato, viene richiesta la maggioranza assoluta dei votanti. 

La legge costituzionale una volta approvata viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale e devono passare tre mesi di silenzio/assenso prima che venga promulgata, in quanto durante tale periodo 1/5 dei deputati, 500.000 elettori o cinque consigli regionali possono chiedere un referendum confermativo alla popolazione. Solo in caso di seconda votazione con maggioranza qualificata (2/3 dei votanti) da parte di Camera e Senato la legge viene tosto promulgata senza possibilità di referendum confermativo. Significa che nell'ipotesi più ottimistica ci possono volere anche quindici mesi prima di poter arrivare alla modifica tanto osannata, sempre che non vi siano nel frattempo intralci da parte di qualche parte politica. Sapete quante Leggi Costituzionali di modifica ed integrazione sono state adottate dal 1948 ad oggi ? Appena 38, di cui quasi un terzo attinenti a modifiche degli statuti regionali.  Con un paese allo sbando economico privo di una governance politica credibile, a fronte della constatazione popolare di quello che si deve fare urgentemente per rilanciare l'economia e liberare il paese dal conservatorismo medioevale che lo caratterizza, ritrovarsi con l'attuale  iter di riforma costituzionale è un po' come pilotare il Titanic sapendo dell'esistenza del fatidico iceberg ma trovandosi con la barra del timone bloccata . 
Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com

venerdì 23 agosto 2013

FEMMINICIDIO: VERITA' E LUOGHI COMUNI



Il decreto legge sul femminicidio approda alla Camera per la sua approvazione. Sul tavolo,  il  pacchetto di nuove norme varate d’urgenza dal governo che prevedono pene più severe (arresti in flagranza, querela irrevocabile, aggravanti per coniuge e compagno anche non conviventi, etc.) per contrastare l’ondata di delitti, praticamente uno ogni tre giorni, che dall’inizio dell’anno hanno una donna come vittima.
Sul fenomeno - omicidi efferati, dunque particolarmente odiosi e inaccettabili in un contesto civile -  si sono mobilitati in tanti. Peccato che in tanta mobilitazione sia mancato l’elemento più importante sul piano dell’informazione, e cioè i dati.
Il ministero dell’Interno, che sarebbe il primo deputato a fornirne, non ne ha. Il chè è già un dato preoccupante. Quei pochi che ci sono provengono o da data-base giornalistici, o dall’Istat (ma sono fermi al 2009), o da qualche istituto di ricerca indipendente come l’Eures. Pochi ma buoni? Se sì, è sorprendente come i dati a disposizione dicano cose diverse da quella che è la percezione del fenomeno. Nel senso che, nonostante quello che possa far supporre l’amplificazione data dai media, non è assolutamente vero che il 2013 (81 le vittime dall’inizio dell’anno fino a oggi) sia una sorta di anno record per quanto riguarda i femminicidi.
Né che questi ultimi siano in qualche misura aumentati rispetto agli anni scorsi. Dai giornali, difatti, si apprende che nel 2012 le donne uccise in Italia (nel 75% dei casi dal partner o dall’ex partner, e al 63% fra le mura di casa) sono state 124, e 137 nel 2011. Secondo l’Istat, le cui statistiche coprono il periodo dal 1992 al 2009, i femminicidi sono passati da 186 (1992) a 131 (2009), il che farebbe pensare a un fenomeno addirittura in calo.
In realtà non è nemmeno così, perché nel periodo sono presenti oscillazioni che, secondo l’Eures, vanno da 98 (i minimi storici di delitti verificatisi nel 2005 e nel 2007) ai 199 del 2000, anno record in negativo dell’ultimo ventennio. Insomma, a spanne i dati indicano che si tratta di un fenomeno costante nel tempo, e con una media che si attesta più o meno sui 120 casi l’anno, dunque 10 al mese. Ossia circa dieci volte di meno delle donne suicide o dei morti sul lavoro, per arginare i quali non risultano provvedimenti legislativi in arrivo.
Detto della differenza fra i fatti e la loro percezione - fenomeno sociologicamente tutt’altro che nuovo quando si ha a che fare con il tam-tam di giornali e tv - dai dati reali arriva un’altra fragorosa smentita, e cioè l’analisi secondo cui alla base dell’ondata di femminicidi nel nostro paese ci sia il maschilismo degli italiani. Frutto, sempre secondo la vulgata, non solo di mamme iperprotettive o castranti, ma più in generale di una società maschilista (la pubblicità osèe, la donna oggetto, le discriminazioni sul lavoro) ancora imbevuta di quella non-cultura per la quale per esempio fino al 1981 era ancora valido nel nostro codice penale il delitto d’onore che di fatto “derubricava” l’uccisione del partner fedifrago con pene da 3 fino a un massimo di 7 anni (praticamente come dare fuoco a uno scooter…).
Oddio, il discorso in generale è vero, se è vero che sono un milione e mezzo le donne italiane che hanno denunciato violenze dei loro partner, e che secondo magistratura e forze dell’ordine rappresenterebbero solo la punta dell’iceberg (il 6-7%) delle violenze di genere. E’ anche vero però che se paragoniamo l’Italia con gli altri paesi europei, i dati dicono un’altra cosa. E cioè che si uccidono molte più donne in Francia, in Germania e anche nella Svezia culla dell’emancipazione femminile. Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, difatti in Germania negli anni Ottanta i femminicidi erano il doppio che in Italia.  Mentre il paese europeo dove si ammazzano più donne è di gran lunga sapete chi? La Finlandia, in media 4-5 volte più che da noi. E dove, sempre in proporzione al numero degli abitanti, vantano anche il poco esaltante record europeo degli omicidi maschili. Dal che si deduce: o il maschio italiano non è affatto maschilista. O, se lo è, lo è meno dei suoi colleghi europei
Furio Stella per disinformazione.it

mercoledì 21 agosto 2013

SERVICE TAX: CAMBIA IL NOME MA LA MUSICA E' SEMPRE LA STESSA



Ci avevano già provato qualche tempo fa, sempre giocando sull’Imu, aumentando, invece, gli acconti di Irpef e Ires. Adesso, invece, il gioco di prestigio è diventato più complicato, giusto per non farsi scoprire subito. Visto che le scadenze di accavallano e settembre si avvicina, come risolvere il problema? Accorpando le tasse fondendole e delegando agli enti locali e ai Comuni il compito di definirne i particolari. Un gioco di carte degno di un illusionista.
E per iniziare si parte sempre dal far contento il pubblico, facendogli credere di aver la situazione a proprio favore: la scadenza di giugno non si dovrebbe pagare anche perchè ci penserebbe il governo ad anticipare i 2 miliardi per non far scattare la clausola di salvaguardia . MA, ebbene c’è un ma, non significa che l’Imu sia stata abolita. Più precisamente è stata “riformulata”.
“Tassa unica di stampo federalista, gestita dai Comuni” la sua nuova identità. Unica perchè ingloberebbe la Tares (e c’è da chiedersi come fare visto che l’Imu riguarda i proprietari, la Tares, invece, gli inquilini e in caso di affitto le due figure non coincidono) ma intantosi deve ricordare che i 2 miliardi e mezzo circa che servono per tappare la falla del 16 settembre ovvero quella della scadenza di giugno che a suo tempo venne rimandata, in teoria ancora sono da trovare. Almeno con certezza matematica da momento che il bello di tutto questo è proprio il fatto che sui numeri, a differenza delle parole, non si può mentire.
Quindi? Il problema passa ai Comuni, che tra parentesi devono presentare i bilanci a settembre, anche come prova di autonomia finanziaria, quel federalismo tanto atteso ma che alla fine potrebbe non fare la differenza. Infatti lasciando a loro la possibilità di includere o meno le prime case. Resta il problema delle case sfitte che doveva riequilibrare la deducibilità dell’Imu dal reddito di impresa e da lavoro autonomo. Infatti adesso possono essere scalati i capannoni, quindi meno tasse per le imprese, mentre va male per i proprietari con case sfitte che dovranno pagare di più. Ma a conti fatti, come spesso accade, cambierà la forma ma non la sostanza: la stessa (o quasi) cifra di prima. Si è solo pensato a confondere le acque.
Rossana Prezioso per Trend-online

venerdì 16 agosto 2013

QUANTO CI COSTA FEDERICA PELLEGRINI



C’è un comportamento che viene insegnato a coloro che svolgono attività sportiva in maniera professionale: mai parlare pubblicamente dei propri compensi.
Il motivo è evidente, gli sportivi di alto livello, in un anno di attività hanno introiti che una persona “normale” può solamente sognarsi di guadagnare in tutta una vita lavorativa.
Sono quindi delle persone “privilegiate” che dopo aver “lavorato” per un limitato numero di anni, possono tranquillamente, a fine carriera, ancora giovanissimi, permettersi di vivere di rendita per il resto della loro esistenza e, se sono persone oculate, anche assicurare un futuro agiato ai loro figli, nipoti e pronipoti.
Sono personaggi “pubblici”, generalmente idolatrati dai propri tifosi, che vedono in loro dei “valori” universali, quali l’attaccamento ai propri colori, lo spirito di sacrificio, il costante impegno ed l’abnegazione.
Tutto ciò, naturalmente, stride col vil denaro, nell’immaginario del pubblico che segue con passione le gesta sportive, l’atleta, oltre ad avere doti fisiche eccezionali, è una persona virtuosa, disposta a sopportare grandi sacrifici indipendentemente dal tornaconto economico.
Ne consegue, quindi, che lo sportivo non parli mai pubblicamente dei propri guadagni, ed anche i giornalisti, essendo a loro volta “dell’ambiente”, evitino domande su questo argomento.
Non sentirete mai, infatti, un giornalista chiedere ad un nostro atleta appena insignito di un alloro olimpico se sia contento di aver guadagnato 168.000 euro (il premio che il Coni ha riconosciuto a coloro che si sono fregiati di una medaglia d’oro alle ultime Olimpiadi di Londra).
Insomma, non parlare del vil denaro per gli sportivi è prassi talmente consolidata che sono rimasto sbigottito quando ho saputo che la nuotatrice Federica Pellegrini aveva postato un tweet molto polemico nei confronti della Federazione Italiana Nuoto, rea, a suo dire, di averle riconosciuto solo 3.000 euro per i tre record del mondo e le due medaglie vinte ai mondiali di nuoto svoltisi a Roma nel 2009.
Solo una persona stupida poteva postare su twitter, quindi rendere più che pubblica, una sua rivendicazione di tipo economico. Perché non chiedere esplicite delucidazioni, in privato, direttamente alla Federazione?
Agendo in questo modo, la nuotatrice azzurra, ha ovviamente “obbligato” la Federazione Nuoto a dare, a sua volta, una risposta pubblica ed è stato precisato che i 3.000 euro non sono affatto il compenso per i record e le medaglie vinte a Roma 2009, bensì un ulteriore riconoscimento alla società di appartenenza della Pellegrini, l’Aniene, che in precedenza aveva già percepito circa 16/17.000 ed usufruiva di strutture federali per gli allenamenti.
Per le prestazioni ai mondiali di Roma, la Pellegrini aveva già ricevuto la bellezza di 147.000 euro e, precisa sempre la Federazione, dal 2006 al 2012 ha incassato personalmente l’iperbolica cifra di 750.000 euro.
E questo solo dalla Federazione Nuoto, perché i compensi per le prestazioni olimpiche vengono erogati dal Coni, ed anche quelli sono molto sostanziosi (168.000 euro per l’oro, 90.000 euro per l’argento e 60.000 euro per il bronzo oltre a contributi vari).
E forse non è superfluo ricordare che questi sono tutti soldi pubblici, rivenienti perciò dalle tasse pagate da tutti i cittadini.
E’ banale, poi, fare una semplice considerazione, riportiamo proprio con un copia/incolla il tweet della nuotatrice veneta:
Questo e’ quello che ho guadagnato vincendo 2 mondiali con 3 record del mondo in una sola edizione!!fate voi!!! pic.twitter.com/ac9XJmrp8Z
se la Pellegrini, leggendo un trafiletto della Gazzetta dello Sport, è convinta di aver guadagnato solo 3.000 euro per le prestazioni nei mondiali di Roma vuol dire che quando ha ricevuto il bonifico di 147.000 euro non se ne è neppure accorta.
Ne deve avere talmente tanti che 147.000 euro in più o 147.000 euro in meno non le fanno differenza!
Ed in effetti i soldi ricevuti dalla Federazione e dal Coni, pur essendo una montagna di quattrini, diventano spiccioli se rapportati con quelli incassati dagli sponsor e come testimonial per diverse pubblicità, il che rende a questo punto il suo tweet assolutamente offensivo nei confronti di tutte le persone che lavorano.
E’ per questo motivo che sono subito scesi in campo, in sua difesa, proprio i suoi sponsor, che, resisi conto immediatamente della clamorosa gaffe (prima avevamo usato un’espressione più colorita), e temendo per questo un crollo della popolarità della nuotatrice veneta, che andrebbe a vanificare i loro investimenti pubblicitari, hanno cercato di cambiare le carte in tavola minimizzando l’accaduto.
Ma avrebbero fatto meglio a dare un consiglio alla Pellegrini: quello di starsene zitta!
Sì, perché se i tweet iniziali li abbiamo definiti “stupidi” la controreplica alla precisazione della Federazione della nuotatrice azzurra è semplicemente “demenziale”!
Visto che non poteva contestare di aver ricevuto la bellezza di 147.000 euro solo per i mondiali di Roma e 750.000 euro in sei anni, ha definito la doverosa e puntuale precisazione un “calcolo ragionieristico sui premi” e, “sarebbe fin troppo facile rispondere con l’elenco di medaglie e primati conquistati dal 2004 a oggi”.
In pratica quella montagna di soldi, per lei, sarebbero nulla in confronto ai risultati ottenuti, un’ulteriore offesa a tutti coloro che lavorando dalla mattina alla sera, fanno fatica ad arrivare a fine mese!
In conclusione, verrebbe da chiosare, tutto ha una logica, il buon Dio era già stato estremamente generoso con la Pellegrini, dandole un fisico assolutamente straordinario e fuori dalla norma, non poteva eccedere anche con l’intelletto.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro