martedì 6 agosto 2013

CARIGE: COME FAR CROLLARE UNA BANCA



A Genova dicono che siamo ormai alla resa dei conti nella più importante banca della Liguria e fra le prime dieci del panorama nazionale, motore immobile dell’economia cittadina. Banca Carige è nella bufera e il suo presidente-padre-padrone, Giovanni Alberto Berneschi, a 76 anni è sotto accusa e verrà di fatto dimissionato, sempre che non decida da sè di farsi da parte.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, che controlla la banca con il 47% delle azioni, ha deciso di voltare pagina dopo le dimissioni, seguite all’approvazione all’unanimità dei conti semestrali (con una perdita di 29,4 milioni di euro), di cinque dei quindici consiglieri di amministrazione: Piergiorgio Alberti, Luigi Gastaldi, Giovanni Marongiu, Alessandro Repetto e Cesare Castelbarco Albani.
Un sesto consigliere, Guido Pescione, si è dimesso ieri. I primi quattro sono stati indicati dalla Fondazione, gli altri due dai francesi di Bpce. Le dimissioni sono state motivate «dall’esigenza di conferire un nuovo assetto alla governance della banca, in conformità alle linee di indirizzo della vigilanza», ossia della Banca d’Italia. Almeno altri due consiglieri, Philippe Marie Michel Garsuault e Philippe Wattecamps, entrambi designati da Bpce, secondo i rumors dovrebbero dimettersi nelle prossime ore. In tal caso decadrebbe automaticamente l’intero consiglio.
L’articolo 18 dello statuto prevede a questo punto la convocazione urgente dell’assemblea degli azionisti per la nomina del nuovo consiglio. La lista di maggioranza, ossia la Fondazione, ha diritto a sette consiglieri, e i primi due del suo elenco sono automaticamente presidente e vicepresidente della banca. E’ escluso che Flavio Repetto, presidente della Fondazione, confermi Berneschi e il suo vice Alessandro Scajola, fratello di Claudio, ex ministro ed ex parlamentare del Pdl, il cui peso politico in Liguria è drasticamente ridimensionato.
Repetto ieri ha deciso di convocare, in via straordinaria, il cda e il consiglio di indirizzo della Fondazione «per le opportune informazioni ed eventuali determinazioni». Il presidente della Fondazione (e industriale dolciario che controlla i marchi Elah, Dufour, Novi e Baratti) ha avuto fin dal suo insediamento l’obiettivo di assicurare l’indipendenza e lo sviluppo di Carige, l’unica banca secondo lui in grado di sostenere realmente le pmi della Liguria.
Da qualche tempo Repetto è entrato in rotta di collisione con Berneschi e la sua filosofia di “uomo solo al comando”. Una governance non gradita nè all’ex governatore di Bankitalia, ora alla Bce, Mario Draghi, nè al suo successore Ignazio Visco. Proprio le iniziative di Via Nazionale hanno costretto Berneschi all’angolo dopo 25 anni di potere assoluto. Bankitalia già nei mesi scorsi ha imposto una drastica pulizia dei crediti in sofferenza, facendo iscrivere a bilancio rettifiche per 447 milioni e chiedendo un rafforzamento patrimoniale da 800 milioni.
Una seconda ispezione degli uomini di Visco, terminata venerdì scorso, ha imposto una nuova pulizia nel portafoglio crediti, questa volta in bonis, che ha portato a rettifiche per altri 240,7 milioni.
Repetto ha chiesto che gli 800 milioni siano ottenuti con la cessione delle controllate Carige Assicurazioni, Carige Vita Nuova e Carige Asset Management Sgr, oltre al 20,6% dell’Autostrada dei Fiori. Anche perché le direttive del Tesoro (l’organo di vigilanza delle Fondazioni) non consentirebbero all’ente genovese di sottoscrivere la propria quota. La Sgr è stata ceduta per 101 milioni, ma le altre trattative procedono a rilento, tanto che Berneschi sarebbe tornato alla carica per un parziale aumento di capitale cash (si parla di 400 milioni).
A quel punto, però, il 47% della Fondazione ( dal 2007 al 2012 ha investito in Carige 690 milioni di euro) verrebbe diluito, con la conseguente perdita del ruolo di azionista di maggioranza. Di fronte a scenari imprevedibili, mentre circolano voci incontrollate di mani sapienti che starebbero rastrellando il titolo (ai minimi storici a quota 0,41 euro), il banco è saltato. E con esso l’era Berneschi.
Teodoro Chiarelli per “La Stampa”


Fin qui la cronaca nuda. Ma per un ulteriore approfondimento occorre muovere alcune riflessioni. Abbiamo visto che, come nel caso del Monte dei Paschi, il ruolo della fondazione è basilare. Le due banche venivano di fatto controllate dalle rispettive Fondazioni, organi politici che fanno attività politica, non contabile. Flavio Repetto, uomo politico in quota PD, è stato anche presidente della Provincia di Genova in rappresentanza di quel partito. Il vice presidente di Carige, Alessandro Scajola è il fratello dell’ex, discutibile, ministro. Carige è sempre stata una banca ancorata saldamente al territorio, ha sempre fatto una politica improntata al “retail”, la raccolta di risparmio, piccolo e grande, ha sempre cercato di erogare prestiti alle medie e piccole imprese liguri, ha sempre avuto una vocazione culturale e sociale. Ha patrocinato piccole e grandi opere, infrastrutture in particolare, ha stimolato e sponsorizzato da sempre iniziative culturali nella nostra regione. Di contro, però, non ha mai assunto un fattorino per concorso, il sistema di reclutamento della banca ligure è sempre e solo stata la cooptazione (vale a dire la raccomandazione), essendo politicamente ispirata dalla fondazione ha concesso prestiti a soggetti non sempre in grado di restituirli (i cosiddetti “crediti deteriorati” di cui la banca è colma), ma che possedevano un discreto “appeal” nei confronti dei vertici della Banca o della Fondazione. Quanto all’aspetto culturale e sociale andrebbe benissimo, sarebbe anzi da lodare, se non ci trovassimo davanti ad un piccolo particolare: siamo nel bel mezzo di una contrazione economica globale, una depressione che fa impallidire quella del 1929, con tutto quello che un simile “cigno nero” comporta. E allora, in questo caso, una banca deve fare la banca. Punto. Non si può permettere di agevolare l’amico dell’amico, o di patrocinare la pur lodevole iniziativa letteraria o artistica. Deve produrre redditività, raccogliere risparmio, investire nel migliore dei modi i denari dei suoi azionisti e risparmiatori. E questo è un primo punto. Ma come è arrivata la banca più antica d’Italia, anteriore addirittura al Monte dei Paschi, nata dal Monte di Pietà, la banca di un popolo di mercanti come i genovesi, come ha potuto arrivare sull’orlo del fallimento? Intanto ci sono responsabilità oggettive: il Presidente Berneschi ed il direttore La Monica non sono stati in grado di governare la crisi. E questo è un fatto incontestabile. E’ terminata l’era dei “paròn” delle banche, i padri padroni, i banchieri puri che gestiscono da soli un potere smisurato. Oggi i gruppi bancari sono amministrati da un pool di manager, con tanto di pesi e contrappesi. nell’anno precedente poi, il 2012, è avvenuta una cosa che ha dell’inverosimile, tanto è triste e puerile. Le “sofferenze” di Carige, gli “incagli”, i crediti deteriorati sono stati portati nelle “attività”, quando dovevano essere, per una specifica direttiva di Bankitalia, portati in perdita. In questo modo si è creato un utile fittizio, basato su crediti inesigibili, e si è distribuito un dividendo agli azionisti che ha contribuito non poco all’emorragia di liquidità dalle casse dell’istituto. Carige, inoltre, ha fruito, con le altre banche italiane, del prestito denominato LTRO dalla BCE, all’interesse dell’1%, ed ora lo deve restituire. Ma dove li prenderà i 7 miliardi da rifondere alla BCE? Mistero. Carige si trova in uno stato comatoso per scarsa patrimonializzazione e assenza di redditività. I ratio della banca sono tutti negativi, a cominciare proprio dal quel famoso “Core tier one” di Basilea 3. Il core tier one è la relazione, il rapporto tra quanto una banca possiede di suo e i suoi impegni. Cioè tra il denaro che detiene in proprio la banca e quello erogato in prestiti. Tale rapporto, per far fronte ad eventuali emergenze, deve essere, per la convenzione di Basilea 3, superiore al 9%. Carige è al 6,7%. Per questo ed altri motivi il declassamento a “BB” operato da S&P e Fitch è assolutamente normale. Siamo nell’arera del “non investimento”, un gradino sopra la “spazzatura”. La Banca Popolare di Spoleto, appena commissariata, ha conti non dissimili da Carige. L’ipotesi, in effetti, considerato anche la caduta libera del titolo in Borsa, di un commissariamento da parte della Banca d’Italia, è plausibilissima, soprattutto adesso che il cda, Presidente compreso, è stato azzerato. La cessione dell’SGR, l’unico ramo veramente strategico, l’autentico gioiello di famiglia, per 93 milioni è stato un altro tragico errore. I due assets assicurativi, Carige Danni e Vita, contano 400 dipendenti, 200 più del necessario, per le note politiche di reclutamento clientelari e nepotiste. Due simili rami secchi, che hanno zavorrato la banca, chi se li compra? Sarà difficile trovare un acquirente. Così come è difficile, come vorrebbe Berneschi, trovare altri 700 milioni “cash”. Non si possono richiedere ai pochi azionisti rimasti un simile sacrificio, con una azione che ormai viaggia sotto i 40 centesimi di euro. Insomma, non ci sono apparenti vie di uscita. E’ un vicolo cieco. Consideriamo che altri istituti di credito versano nelle medesime condizioni: la Banca della Marche, la Popolare di Spoleto, la Popolare di Milano, il Manco Popolare dell’Emilia, Credem ecc.; è ovvio che il Tesoro dello Stato o la Cassa depositi e prestiti non potrà salvarle tutte, e allora bisognerà ricorrere alla famigerata “ristrutturazione del debito”. Sembra una bella parola, ma nasconde la tragedia che a pagare sono i soliti noti. I soggetti privati partecipano, a vario titolo e per gradi (azionisti, obbligazionisti subordinati, obbligazionisti senior, depositanti) al salvataggio della banca, con un “haircut”, un “taglio”, che può variare da un 25 ad un 30% del capitale posseduto. Per questo motivo stiamo assistendo ad una marea di vendite, in borsa, sul titolo Carige. Resta l’amarezza di vedere un patrimonio cospicuo di risorse umane e finanziarie, di competenze tecniche, di infrastrutture (tutte le filiali appartengono al patrimonio immobiliare Carige), che sta per essere disperso per l’incompetenza, la cecità e l’avventurismo di vertici non all’altezza. E triste e buffo allo stesso tempo vedere la banca dei genovesi, da sempre canzonati per la loro “oculatezza” andarsene in malora come una qualsiasi banca sorta come un fungo da un giorno all’altro.