giovedì 28 marzo 2013

SOGNI D'ORO



Bene. E’ arrivato il momento di dimenticare le donne che abbiamo amato, che (forse) ci hanno amato, che ci hanno fatto credere, o sperare, o dimenticare la sorte, l’unica, che ci attende alla fine del percorso, una morte sicura. Le stesse cui abbiamo fatto del male, a volte molto male, non per offenderle o ferirle, ma per un innato istinto di puerile egoismo, nel quale ci siamo trastullati a lungo, colpevolmente. Ma che ci hanno fatto scontare il male perpetrato nel peggiore del gioco delle parti, trasfigurati in un personaggio da dramma schilleriano, per poi sentirsi abbandonati, perduti, smarriti come un eroe foscoliano. Gli anni sono scivolati via come acqua su di una pietra lucida e levigata, il pelo increspato solo da piccoli sassolini acuminati: le frecce che si conficcano nel cuore, i dardi mortali imbevuti di un raro veleno dello Yucatan. Ora non è più tempo di dolcissimi rimpianti, struggenti malinconie: mi sollevo come l’Iperione, leggo, declamandolo, l’Arcipelago di Holderlin, per poi naufragare nel lento declinare di Sebastiano nel sogno di Trakl. Ci siamo dimenticati di quelle donne che hanno pensato di farci lentamente morire di frastagliate lacerazioni, grondanti il sangue benedetto della flagellazione del Tintoretto. Ho ancora negli occhi il volto santo della Madonna di Antonello da Messina, l’ho visto come in sogno in una donna incontrata l’anno scorso a Marienbad, mi promise che ci saremmo rivisti, ma era solo una morgana. Abbiamo molto peccato, molto fatto del male, ancora più fortemente abbiamo creduto, nell’unico Dio possibile, fatto di una sola persona, il Padre che attende con pazienza il nostro volo incendiario su quest’atomo opaco del male, per poi chinarsi sul nostro povero spirito, e raccoglierlo, custodirlo, preservarlo, baciandolo del più dolce possibile dei baci, quello del padre celeste: nessuna madre può baciare così.  Nidiate di pulcini pigolano sulla mia strada: li sento piangere aspettando il cibo, e questo rumore è l’unico che accompagna il mio cammino verso la clinica dell’Amore Perduto. Ho visto mio padre come il Cristo del Mantegna, appena ricomposto dopo lo scannatoio; la vita era fuggita, la dignità recuperata. Ma gli assassini fuggono dalla mia vista, tutte le mattine mi sveglio con in mano un lembo del loro camice. Ho ribaltato le figure del giorno, vedo persone, la gente intorno a me con gli occhi del futuro prossimo: sono invecchiati a dismisura, alcuni ormai decrepiti, qualcuno è morto, vedo uno scheletro camminare sul crinale del Partenone. Ma ormai tutto è mutato: le donne che abbiamo amato, che non ci hanno amato, non resta di loro che la pelle avvizzita, le rughe scavano i loro volti, la pelle flaccida rimanda a flemmoni mai guariti. Mi sveglio nella capanna, tutte le luci accese: leggendo un’ode di Keats mi prendo una fucilata in petto come Byron, mentre cado nel fossato, discendo lentamente, fotogramma per fotogramma, sino a fermarmi un attimo prima di morire. Altro destino attende la mia bambina. Il prezzo più alto lo ha pagato mia madre, un seno vuoto e un utero disseccato: la mente arida, un simulacro assurdo come vidi una volta in un quadro di Max Ernst. Lei , la madre dei fanciulli non nati, lei, la donna delicata che conserva in un’urna le ceneri di una pantera preda di un morbo atroce, trofeo esibito da un safari da tre soldi. Nella lunghissima notte di Valpurga, durante il colloquio in francese, io, inginocchiato davanti alla dama dagli occhi kirghisi, sussurro parole che non pensavo di conoscere, le dichiaro un amore impossibile, incapace di esprimersi, crescere e durare, lei mi ascolta con leziosa noncuranza, poi mi dice: “questa notte sarete colto dalle febbri, ve lo predico.” E anche oggi, imbalsamato nel ruolo del figlio perduto e ritrovato, mi ritrovo come nei Buddenbrook, con in mano una tazza di tè e nell’altra una bottiglia, a volte vuota, a volte piena di un’ambrosia che mi fa ritrovare le vite vissute vertiginosamente prima e dopo di me, mi fa percorrere alla velocità del suono l’azzurra monorotaia del centro caotico di Tokio, per poi cadere, a metà strada, nelle strade infernali, piene di fuochi accesi di una Saigon prima della vittoria. Ma poi bussano alla mia porta, l’uomo di Atlantide mi chiede con aria disperata se ho conservato sotto il letto barattoli di birra e piatti di lenticchie: non so cosa rispondere, ma il canto delle sirene si è ormai spento e la rosa dei venti accende un faro che taglia di luce i gelidi marosi. Nella girandola sul tetto le donne cha hai amato svaniscono d’incanto, non è più tempo di nostalgie, tutto è finito, tutto si compie, tutto si distrugge. Fiori di campo piovono sugli scogli: nel limbo dei ricordi la tua figura sovrasta anche la mia fantasia, non so distinguere i tuoi occhi, sono punte di spillo che forano il blu del cielo, ti vedo e non ti vedo, sulle tue braccia nude scivola il profumo delle chiome, sull’omero indugia una lacrima di cristallo, si allunga sui tuoi fianchi il crepuscolo dei ricordi. Memorie inconfessate, parole mai dette e sguardi stupefatti, non riesco più a capire, non posso più vedere, nella mano stringo ancora l’anello dei miraggi e delle fantasie, me l’hai sfilato, come un aedo cieco canto il mio ultimo inganno. Ma ora basta, se non riuscissi  a prendere sonno, cambia la posizione, il sonno poi ti viene, ti culla e ti stordisce, quindi ti porta via con sé. A chi mi dice: “bello, ma non l’ho capito”, rispondo: “i musicanti accordano il violino, stasera suoneranno sulla luna e non importa niente se la gente del caffè non capirà la loro anima: i musicanti non piangono mai”.


E arrivederci, è l'ora di scordarci
di quelle donne che han pensato di lasciarci
di quelle sere che c'è mancato il cuore
di aver creduto o fatto credere o sognare.

R.Vecchioni: “Sogni d’oro”



mercoledì 27 marzo 2013

L'ON. LOMBARDI E I LAVORI SOCIALMENTE UTILI



LE BANCHE E I DEBITI DELLA PA
Il termine “porcata” era stato sin qui riservato al nostro sistema elettorale. Da ieri è stato inopinatamente esteso al tardivo tentativo operato dal nostro Governo di saldare i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. La capogruppo alla Camera del M5S, Roberta Lombardi, ha urlato dal sito di Beppe Grillo e in un video la sua indignata opposizione alla “porcata di fine legislatura” e alla formazione della commissione parlamentare speciale per l’esame del provvedimento:
1) “I cittadini prendono un impegno per 40 miliardi di debito pubblico, di cui una parte (nessuno sa quanta) andrà direttamente alle banche e da questa generosa, ennesima, regalìa ci si aspetta che subito erogheranno prestiti e finanziamenti alle Pmi italiane”.
2) “Con questo decreto legge [...] ci stiamo giocando tutto l’indebitamento che possiamo stanziare per la crescita per il 2013″.
Andando al di là del linguaggio colorito, i dubbi espressi dall’onorevole Lombardi sono due, se capiamo bene. Primo, parte dei fondi andrebbero a beneficio delle banche e non delle imprese. Secondo, con questo provvedimento l’Italia si giocherebbe tutta la flessibilità concessa dalla Commissione UE nella gestione dei saldi di finanza pubblica, poiché il rapporto deficit/Pil salirebbe di mezzo punto percentuale, dal 2,4 al 2,9 per cento.
Entrambi i dubbi sono infondati. Bastava un minimo di attenzione e di documentazione per rendersene conto.
Sul primo, bisogna leggere i documenti e guardare ai numeri prima di parlare. Come spiega la nota di variazione del Documento di economia e finanza, “una parte dei pagamenti alle imprese confluirà immediatamente al settore creditizio, in quanto una quota del portafoglio di debiti risulta già ceduto (pro solvendo o pro soluto) alle banche”. In altre parole, bisogna rimborsare le banche perché i debiti della Pa di cui si parla sono in parte stati già ceduti dalle imprese alle banche. Ora, non si vede in nome di quale principio bisognerebbe penalizzare proprio quelle (poche) banche che hanno in (rarissime occasioni) accettato di anticipare alle imprese i loro crediti verso la pubblica amministrazione. Perché negare il diritto a queste banche di essere rimborsate? Di che regalia si tratta se hanno anticipato i fondi alle imprese? Dopotutto sono le banche (e non lo Stato) che in condizioni normali dovrebbero fornire liquidità alle aziende.
I numeri ci dicono, inoltre, che l’ammontare di debiti Pa ceduti alle banche, tramite la procedura di certificazione già introdotta dal Governo Monti, è irrisorio rispetto al totale dei debiti: lo stesso ministro Passera ammetteva nel febbraio scorso che si tratta di tre milioni (a fronte di richieste di certificazione per 45 milioni), che evidentemente sono una briciola rispetto ai 40 miliardi del provvedimento in discussione ora. Quindi agitare il populismo di maniera contro le banche sembra completamente fuori luogo in questo caso. Si dà semmai una scusa alle banche per continuare a non erogare credito alle imprese.

LA QUESTIONE DEL DISAVANZO
Sul secondo punto, bisogna ricordare che la flessibilità concessa dalla UE è legata solo a interventi straordinari legati alla restituzione di debiti pregressi: non può essere utilizzata in altre (peraltro imprecisate) direzioni. Il fatto è che questa operazione ha effetti soprattutto sul debito (sullo stock) più che sui disavanzi annuali (sui flussi). L’aumento di questi ultimi è legato unicamente alla parte che riguarda le spese in conto capitale (per esempio investimenti in infrastrutture) perché nei conti nazionali italiani la spesa in conto capitale viene registrata in termini di cassa e non di competenza (ESA95 lo consente).
Opporsi oggi all’intervento serve a rafforzare le posizioni più oltranziste in seno alla Bce e nell’Eurogruppo, che non vorrebbero concedere neanche questa possibilità al nostro paese. Bisogna infatti ricordare che per il 2013 il Governo Berlusconi si era impegnato al raggiungimento dell’obiettivo del bilancio in pareggio, aggiustato per il ciclo. Pertanto non ci sono margini per altri interventi che aumentino il disavanzo.
Infine, bene ricordare che fornire liquidità alle imprese in un momento in cui sono private di accesso al credito, nel mezzo di una crisi finanziaria, è la cosa più utile che si possa fare per rilanciare l’economia.
Le argomentazioni grilline sono quindi del tutto pretestuose. Sarebbe un vero peccato se esse, grazie anche alla convergenza di qualche parte del Pd (si vedano le dichiarazione di ieri di Stefano Fassina) facessero saltare un provvedimento da molti ritenuto vitale in questo momento per le imprese.
Lenin sosteneva che anche una cuoca avrebbe potuto fare il capo dello Stato. Ma le cuoche raramente sono talmente presuntuose da ritenersi in grado di sapere tutto. Guardano il ricettario e, quando vogliono innovare, sperimentano su di sé o con pochi conoscenti prima di proporre il nuovo piatto al vasto pubblico. La capogruppo M5S invece ci preannuncia uno stile di rappresentanza nelle istituzioni in cui l’urlo precede qualsiasi ragionamento e consultazione. Conta la velocità di esecuzione più che l’apprendimento. E’ un deja vu. Altro che nuova politica! Ne ha almeno parlato coi suoi colleghi di partito? Sorprendente se chi teorizza la democrazia diretta su Internet non si consulta almeno con coloro a nome dei quali prende la parola.
Lavoce.info

Ci permettiamo sommessamente di suggerire all’on. (pardon, cittadina) Lombardi di dedicarsi ai lavori socialmente utili. Per una paladina come lei dei diritti dell’uomo, una rappresentante del popolo, una tribuna della plebe, una persona concreta che non fa giri di parole e va direttamente alla meta, diventare una LSU farebbe comodo al paese e ci priverebbe di un personaggio disutile, ignorante, velleitario e soprattutto pericoloso per il governo dell’Italia. Si tratta delle proverbiali “braccia rubate all’agricoltura”: vada a dissodare la terra oppure studi, per anni, l’economia politica, la scienza delle finanze, la storia delle dottrine politiche, la storia della filosofia. Non si va in Parlamento facendo l’apologia del fascismo della prima ora, o definendo “porcata” un provvedimento sacrosanto che darebbe ossigeno alle nostri imprese ed impedirebbe una buona fetta di licenziamenti. Se si possiede un simile grado di impreparazione, occorre avere il buon gusto di prenderne atto e dedicarsi al volontariato. A proposito: i deputati del movimento 5 stelle si chiamano “cittadini” fra di loro, e pensano al loro movimento paragonandolo alla rivoluzione francese senza ghigliottina. Per favore siamo seri. Dietro alla rivoluzione francese c’era l’illuminismo di Rousseau e di Locke, dietro al movimento 5 stelle ci sta un guitto populista come Grillo ed il fondatore di Scientology Italia Casaleggio. Tra le due cose corre una siderale differenza.

venerdì 22 marzo 2013

NANI E BALLERINE (l'orgoglio di essere italiani)



La vicenda dei Marò è qualcosa di allucinante, una sceneggiata all’italiana come poche, una tragicommedia che vede l’Italia sempre nel suo solito ruolo di nazione-macchietta: fa la voce grossa e poi si piega ai diktat di un paese del terzo mondo come l’India, che in fatto di rispetto degli accordi e degli impegni presi non può certo insegnare nulla a nessuno.
Ecco dunque il Governo Monti – a questo punto, quanto di meno autorevole esista in Italia – che inscena la più brutta recita che sia mai stata scritta in questa vicenda: prima decide di trattenere i marò in Italia, approfittando di un “permesso” elettorale dato ai due per votare; poi l’India “sequestra” il nostro ambasciatore come ripicca, e cosa fa il Governo tecnico? Ci ripensa, e mogio mogio restituisce i marò, con l’assicurazione che non verranno condannati alla pena capitale.
E ci si chiede poi perché poi l’Italia non è presa sul serio in ambito internazionale. Di più: ci si chiede come sia possibile che si sia arrivati a una simile vergogna. Il sospetto è che l’Europa e i poteri forti ci abbiano messo lo zampino, anzi lo zampone. Troppi interessi nel paese dove si adorano (ancora) le vacche; interessi italiani e non solo, che non potevano essere pregiudicati per la misera vita di due fucilieri della marina italiana. E quel colpo di testa non s’aveva da fare. Trattenere i marò in Italia e lasciar sfumare contratti, commesse e chissà quali altri affaracci italiani e stranieri? Non se ne parla nemmeno.
Ecco il perché del titolo. Zero orgoglio, zero senso di patria, zero senso nazionale, zero, zero, zero. Siamo sempre e solo la colonia di qualcuno. Una colonia che oggi non ha neanche la forza di opporsi ai soprusi dell’ultimo venuto. Ma del resto cosa pretendiamo da un paese che non è neanche in grado di esprimere un governo?
Rischiocalcolato 

La domanda che ci dobbiamo fare è: se al posto di Latorre e Girone ci fossero stati due soldati francesi o, meglio, di sua Maestà britannica, pensate davvero che sarebbe finita così? No, dopo quindici giorni i soldati coinvolti in questa vicenda avrebbero fatto ritorno in patria. Adesso, dopo l'ennesima pagliacciata di questa specie di governo tecnico, i due marò sono destinati a restare in India (un paese lontanissimo dallo stato di diritto, dove vige la pena di morte ed una burocrazia inestricabile) per diversi anni. Saranno rimpallati da un tribunale all'altro che si contenderanno la competenza a giudicarli, saranno condannati, dovranno attendere altri mesi o anni per l'appello e il contrappello. Rimarranno invischiati nella mostruosa, farraginosa, imperscrutabile macchina della giustizia indiana che è tutto tranne che giusta. Le vittorie hanno molti padri: le sconfitte, in genere, sono orfane. Oggi abbiamo vissuto una cocente, grottesca, sconfitta internazionale. Ma noi sappiamo che si tratta di una sconfitta con un padre e anche una madre. Quest'ultima è un governo del Presidente che doveva fare solo cose economiche e si è occupato di questioni che non comprende e non è in grado di gestire. Il padre è un signore che si chiama Giulio Terzi, dice di essere il ministro degli esteri, prima annuncia che i marò sarebbero restati in patria, poi fa marcia indietro dicendo la cosa più stupida che si potesse concepire: "ci hanno garantito che non li condanneranno a morte". E ci mancherebbe altro! Il signor Terzi appartiene ad una delle due categorie citate nel titolo del presente post. Non aggiungo altro per non incorrere in una querela. 

domenica 17 marzo 2013

L'OTTUSA RETORICA DI GRAMELLINI



Massimo Gramellini, vicedirettore della “Stampa” e ospite fisso di “che tempo che fa”, ci sciorina ogni settimana le sei “chicche” più gustose dela settimana e ci propina  un breve commento, in genere gonfio della retorica dei “buoni sentimenti”, tanto cara a certa sinistra. Non ci risparmia nulla del repertorio fatto di emarginati, derelitti, reietti, poveri immigrati sbarcati in Italia in cerca di sopravvivenza, vittime di soprusi, carnefici impietosi e crudeli, politicanti corrotti e voraci, povertà, fame e miseria del terzo mondo, morti ammazzati, depredati, violentati, brutalizzati. Il tutto ricoperto da una glassa demagogica da far rabbrividire anche il più agguerrito dei seguaci di Demostene, il capostipite di quest’arte retorica. Ora, è vero che molta parte delle storie raccontate da Gramellini sono pienamente condivisibili, e di questo gli siamo grati, detto senza ironia. Ma rimane, ahimè, la parte sottratta all’enfasi di quella sinistra retrograda e conservatrice di cui faremmo volentieri a meno. E’ proprio in questa matrice culturale che sono stati allevati e cresciuti i cosiddetti “grillini”, il mito del “buon selvaggio” applicato ad ogni  straniero che approda in Italia (dimenticando il fondamentalismo islamico, il terrorismo dei kamikaze e l’enorme disprezzo che questi buoni selvaggi nutrono nei confronti dell’occidente civilizzato), il mito della “democrazia diretta”, senza intermediari, vissuta e praticata solo attraverso la rete di internet, dimenticando che l’analfabetismo informatico ha percentuali elevate in Italia, e gli anziani che non sanno neppure cos’è un computer o a cosa serve internet, sono alcuni esempi di questa impronta ideologica. Il brodo culturale di Gramellini è lo stesso nel quale hanno allignato per anni i grillini.  Il pressapochismo culturale, la faciloneria dell’analisi politica, una cultura superficiale che non ha mai approfondito i temi etici e filosofici, l’eloquio costituito solo di slogan, frasi fatte, luoghi comuni. La banalità imperante, in Gramellini come nel movimento 5 stelle, è figlia di un sistema universitario andato alla deriva, che non forma più culturalmente i giovani, ma fornisce loro semplici nozioni sminuzzate che si dimenticano al primo soffiare di brezza. Facciamo due esempi: il discorso di insediamento alla Presidenza della Camera dei deputati di Laura Boldrini, estremista di SEL di Vendola, la paladina dell’immigrato: i suoi voli pindarici, la suo prosa alata degna di un discorso del neo eletto Papa Francesco. Il suo restare accanto agli ultimi, francamente, ha stancato tutti quanti. Abbiamo problemi urgenti qui, a casa nostra: prima pensiamo ad uscire dall’emergenza che, in seguito a questo voto elettorale sciagurato, si è prodotta, poi penseremo anche ai poveri immigrati. Non passa giorno che una azienda, grande o piccola, non abbassi la serranda, il plotone di disoccupati si accresce di minuto in minuto, la cassa integrazione, soprattutto quella in deroga, sta per terminare, si parla di marzo, aprile al massimo, occorrono risorse aggiuntive ora, subito. La recessione comincia a sfiorare il -2% de PIL e la Presidente della Camera pronuncia un discorso bolso e grondante di buoni sentimenti sugli “ultimi della terra”. I quali ultimi meritano tutto il nostro rispetto e il nostro aiuto, ma qui sta bruciando la casa, cara onorevole Boldrini, adesso dobbiamo pensare a trarre in salvo i nostri concittadini, altrimenti sarà difficile aiutare coloro che bussano alla nostra porta. Se l’eurozona fallisce, se l’euro va in break up, l’Africa, ancor prima di noi, subirà un contraccolpo mortale. Sgomberiamo il campo da questa inutile demagogia. La seconda notizia che sottolineava Gramellini riguardava i nostri  due fucilieri della marina, Latorre e Girone. Il giornalista osservava che ci dobbiamo vergognare di aver mancato alla parola data. Tutto vero, peccato che Latorre e Girone siano ostaggio degli indiani ormai da un anno intero, e in questo lasso di tempo l’India, una nazione complessa con una fragile democrazia ed una burocrazia spaventosa, non solo non li ha ancora giudicati, ma tra un rinvio e l’altro, non ha ancora capito quale tribunale sia quello competente. Andando avanti di questo passo i due marò sarebbero rimasti in India altri due o tre anni, mentre le varie istituzioni di quel paese avrebbero tranquillamente continuato a farli rimbalzare da un tribunale all’anno. Sono due soldati italiani, che hanno agito in acque internazionali, è ovvio per chiunque che non devono essere giudicati in India, ma da un arbitrato internazionale. Se li avessimo lasciati in India, prima del primo grado di giudizio sarebbe trascorso un altro anno, per il secondo ci sarebbe voluto chissà quanto altro tempo. Questo aspetto lo ha considerato il super garantista Massimo Gramellini? Per una volta che, grazie al Ministro Terzi, l’Italia solleva il capo e fa sentire le sua voce, ce ne lagniamo, diciamo che siamo inaffidabili, che la nostra parola non conta nulla. Come siamo bravi a giocare al massacro in nome dei sani principi del moralismo di sinistra. Vorrei dire a Gramellini, infine, di spegnere il suo ardore a favore del "5 stelle" e di destinarlo a miglior causa. Il solo fatto che in nessun dibattito televisivo si sia mai presentato un loro esponente la dice lunga sul loro concetto di democrazia. Utilizzano gli strumenti democratici per conquistare il potere. Lo hanno dichiarato apertamente: vorrebbero il 51% dei voti. Usano le istituzioni democratiche per instaurare una sorta di democrazia diretta, sul modello dei soviet creati dai bolscevichi in Russia. Da qui alla dittatura del proletariato il passo è breve. Loro sono il popolo, lo incarnano e impersonificano, possono e devono quindi governarlo. Peccato che l’esperienza sovietica si sia tradotta nella generazione di una “nomenclatura” che ha instaurato un regime totalitario . In ogni dibattito televisivo si parla sul nulla, perché manca regolarmente un loro esponente. Ma la democrazia è fatta anche di queste cose: non si rifiuta il confronto rifugiandosi nella torre d’avorio della rete internet.  E quelli che non hanno un computer? E gli anziani che non sanno neppure cosa sia internet? Vogliamo lasciarli fuori dalla “democrazia diretta della rete”?  In realtà non vogliono contraddittorio perché non sanno cosa rispondere, e affidano la loro linea di pensiero a lunghe e noiose sbrodolature rilasciate su internet, che nessuno ha voglia di leggere. Fazio è un ipocrita qualunquista, Gramellini un demagogo populista. Preferisco Scilipoti agli adepti della setta del movimento 5 stelle, che non fanno un passo senza il consenso del capo assoluto, oggetto di culto della personalità (un altro tratto bolscevico). I dilettanti, soprattutto nelle emergenze economico finanziarie, sono pericolosissimi: possono produrre danni incalcolabili. Siamo in Europa e ci dobbiamo restare se non vogliamo finire peggio della Grecia. Confidiamo in un commissariamento della troika, perché noi italiani non siamo in grado di autodeterminarci da soli. Un ultimo dato, di cui non hanno parlato né la Boldrini, né, tanto meno, il garrulo Gramellini: L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso noto in un comunicato che la speranza di vita nei paesi mediterranei, Italia compresa si è bruscamente arrestata e ha cominciato una lenta marcia indietro. Per gli uomini è tornata a 77 anni circa, per la donne arretra di un paio d’anni, a circa 80 anni (anche per l’accresciuto consumo di alcol e fumo di sigaretta). In Grecia l’aspettativa di vita è addirittura precipitata. L’OMS indica come unica causa le restrizioni al welfare, lo stato sociale. Per questo e mille altri motivi è meglio cercare di sanare il più possibile le ferite di casa nostra prima di pensare alla condizione degli immigrati che premono alle nostre porte.