martedì 29 marzo 2011

GLI ULTIMI FUOCHI


La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra.
Mao Tse Tung, 1964

Nella sua parabola discendente, il capitalismo (nella odierna versione di liberismo avanzato) sta mostrando il suo volto peggiore. Come è ovvio per tutti i sistemi politici, economici e sociali, anche il capitalismo conoscerà la sua fine. Tutto, nella storia, ha avuto un inizio, una durata e un termine. Mi rendo conto che, odiernamente, ai nostri occhi di uomini e donne del presente, possa sembrare impossibile concepire un sistema socioeconomico differente, eppure è proprio così. La crisi economico finanziaria, che crisi non è, come più volte ribadito non solo dallo scrivente, me da ben più autorevoli autori, è solo il sintomo più evidente che il sistema capitalistico, così come lo conosciamo, ha imboccato il suo ultimo, lunghissimo, percorso. Facciamo un passo indietro. La nostra, la mia generazione, ha creduto  nelle illusioni del marxismo, semplicemente perché il capitalismo, in tutte le sue accezioni, è un recipiente senza contenuto, non ha una ideologia politica alle spalle, non è che un sistema economico basato sul profitto dell’impresa, nel migliore dei casi con un occhio di attenzione a quello che oggi si chiama “welfare”, giusto per garantire la pace sociale. Dagli anni settanta al primo scorcio degli anni ottanta, i giovani sia di destra che di sinistra erano irresistibilmente attratti da ideologie positive, animate da tensioni ideali e aneliti progressisti, il capitalismo era roba da reazionari revisionisti, da portare in soffitta. Così come l’estrema destra, pur mantenendo di fondo l’idea, tutta evoliana, di una differenza degli esseri umani fondata più che sulla razza sullo spirito, aveva ripreso gli ideali del primo periodo fascista, quello sansepolcrista, o quello della carta di Verona e dell’ultima esperienza delle repubblica sociale, anche gli estremisti di sinistra guardavano al marxismo come ad un sistema equo, egualitario, nel quale ognuno di noi, una volta realizzato e materializzato nella politica, poteva liberamente espandersi nel mondo secondo le sue inclinazioni e le sue abilità. L’estinzione finale dello stato, che chiude la monumentale opera di Marx “Il Capitale”, vagheggiava appunto una situazione del genere, una sorta di Eden nel quale gli uomini, una volta edificato il comunismo, avrebbero potuto fare a meno di una forma stato, e si sarebbero autogestiti autonomamente. Si trattava, come è ovvio, di utopie, ma allora pochi ne erano pienamente consapevoli. Il capitalismo allora, nel nostro paese, aveva il volto della Democrazia cristiana, un partito di cemento, granitico, incrollabile, che amministrava il potere senza strafare, era corrotto e concusso con discrezione, con senso della misura. Ma era un partito senza ideologia, senza aneliti o tensioni verso l’avvenire, un partito che si limitava a controllare il suo vero fine: la conservazione dello status quo, cioè del capitalismo. Gli anni a venire hanno dimostrato a tutti che il marxismo è stata una magnifica utopia, un sistema che, quando applicato nella realtà, si faceva dittatura, creava una nomenclatura di privilegiati all’interno del partito unico, e livellava gli uomini appiattendoli verso il basso: uguali sì, ma solo più poveri. Così, una volta crollato il muro di Berlino, una volta soppressi i blocchi contrapposti est-ovest, il capitalismo ha dilagato, finalmente, in tutto il mondo. Una volta globalizzato, il liberismo senza freni e senza correttivi, ci ha trascinato nella rovina. Finalmente il marxismo è stato sconfitto, una volta per tutte. Ma c’è da vergognarsi. Doveva essere, era stato concepito come il migliore dei sistemi possibili, e la sua applicazione nella realtà ha messo in risalto, ha rivelato il vero volto dell’uomo, la sua fragilità, la sua incurabile propensione per la corruzione e l’egoismo. I testi sacri del marxismo, a cominciare dagli scritti giovanili di Marx, i “Grundrisse”, fino agli scritti di Engels, a quelli di Lenin, come il “Che fare?”, o le citazioni del Presidente Mao Tse Tung (il famoso libretto rosso), sono, sotto un profilo teorico, ineccepibili. Peccato che, divenuti socialismo reale, si traducano in una serie di privilegi per la classe dominante e la riduzione in povertà del resto della popolazione. Sia come sia, il capitalismo lasciato a se stesso, diventato sistema dominante del mondo, è arrivato all’implosione preconizzata da Marx stesso. Il liberismo sfrenato, abbandonato a se stesso e alle alchimie dei grandi speculatori mondiali, hanno dato un pesante contributo all’inizio della presente crisi. Senza il capitalismo l’Irlanda non avrebbe potuto mettere in piedi una tigre di cartapesta, basata sul nulla dell’economia dell’Eire, che non poteva, col tempo, che condurre alla totale rovina dello stato. Senza il capitalismo una intera classe politica, come quella greca, non avrebbe potuto arrivare a vertici di corruzione mai visti prima, senza il capitalismo una leadership come quella di Berlusconi sarebbe stata impensabile: l’uomo più ricco del paese non avrebbe potuto scendere in politica e fare ingresso nell’incubo dal quale non siamo mai usciti del conflitto di interessi. Senza il capitalismo non si sarebbero create delle disparità nel mondo talmente profonde da non essere praticamente quantificabili: in quanti paesi speranza di vita è al di sotto dei quarant’anni? E’ possibile che ancora oggi un continente intero, quello africano, soffre i mali endemici della fame e della denutrizione? Una volta sconfitte le socialdemocrazie, che erano in grado, segnatamente quelle scandinave, di apportare correttivi ai mercati e ai giochi funambolici dei finanzieri creativi, stabilendo dei paletti invalicabili ai giochi delle borse, il liberismo ha potuto dilagare al punto di autodistruggersi. La bolla immobiliare americana, dalla quale ha preso le mosse la crisi mondiale, è il prodotto dell’ultima fase del capitalismo, la peggiore, la più dura, la più spietata. Non sappiamo ancora che cosa verrà dopo, il tunnel è ancora troppo lungo, ma sappiamo che quasi certamente si comporrà un sistema economico e sociale più giusto, più umano. Il trapasso è ancora lento, è appena iniziato, siamo costretti a mantenere in vita un sistema già morto e sconfitto, per il semplice fatto che dalla crisi non si esce se non mantenendo le attuali condizioni, solo dopo, sarà possibile pensare ed edificare un mondo diverso che conoscerà una dottrina economica che non pone alla sommità di ogni valore il profitto, ma, insieme a quest’ultimo, affiancherà lo sviluppo e l’equità sociale. Ma in crisi siamo, e ci resteremo per un pezzo, e dobbiamo per questo utilizzare le armi che possediamo, che questo sistema ci fornisce. Non possiamo fare altro: restare uniti, almeno nella moneta che ci tutela e ci protegge dai pescicani internazionali; in un futuro lontano (passeranno forse due generazioni) il capitalismo che ha ridotto in povertà nazioni intere, che ha fatto la fortuna di pochi sciacalli spietati, che ha permesso e incoraggiato il colonialismo e l’imperialismo, che ha impoverito le nostre case e privato di un futuro i nostri figli, lascerà il posto ad un sistema che ci auguriamo sia figlio di una ideologia e non faccia esclusivamente appello al nostro naturale egoismo, che non soddisfi semplicemente e non assecondi i nostri più bassi istinti, ma, facendoci usare la ragione ed il sentimento, metta in luce le contraddizioni più stridenti tra gli esseri umani, e sia in grado, Dio volesse, di costruire un mondo in cui il bisogno non spinga più un essere umano a modificare le proprie abitudini, a divenire disonesto, a delinquere, e a farsi ingoiare nel nulla della criminalità organizzata. Il mio più grande rammarico è appunto quello di non vivere abbastanza per vedere quello che verrà, di non poter provare il sottile piacere di pensare al capitalismo e a tutto quello che ha portato con sè come ad un lontano, disgustoso, ricordo.

Nella foto la locandina di "Taxi driver", con l'indimenticabile interpretazione di Robert De Niro. Lo stesso attore sarà protagonista anche del successivo "Gli ultimi fuochi", dal romanzo lasciato incompiuto da Francis Scott Ftzgerald.

lunedì 28 marzo 2011

ADELANTE, PEDRO, CON JUICIO!

Il Ministro Giulio "Pedro" Tremonti
 Pubblico di seguito un aggiornamento sull’andamento delle aste di titoli di stato italiani ed europei in genere, perché fotografa in modo impeccabile una congiuntura favorevole del mercato finanziario italiano, che speriamo possa perdurare. Lo spread con i bund tedeschi è contenuto, l’asta del 28 marzo è andata bene (anche per una sostanziale tenuta della propensione al risparmio delle popolazione italiana e di una rinnovata fiducia dei mercati sulla tenuta dell’Italia); non si può purtroppo dire altrettanto del Portogallo, una nazione sull’orlo della bancarotta che da molti mesi sta lottando per rinunciare agli aiuti europei che, a questo punto, appaiono indispensabili. Ma il dato di maggiore conforto ci deriva dal cosiddetto “decoupling”, dalla divaricazione che è ormai praticamente in atto tra il primo gruppo di stati periferici destinati alla caduta (Grecia, Irlanda e Portogallo) e il secondo gruppo (Spagna, Italia e Belgio) che non solo tengono, ma si stima che possano, nel medio termine, allontanarsi dalla “zona retrocessione”, stando anche alle ultime stime e valutazioni delle agenzie internazionali di rating. Nonostante la stagnazione evidente della produzione e dei consumi, nonostante il disastroso rapporto tra debito pubblico e PIL, il sistema bancario e finanziario dell’Italia sembra che possa tenere discretamente. Sono, purtroppo, allo studio altre riforme strutturali, le uniche che possano accorciare il divario debito/pil, questo significa ulteriori sacrifici in termini di pensioni e razionalizzazione della spesa pubblica, ma il netto rifiuto da parte di Tremonti di tassare le rendite finanziarie, se da un lato appare iniqua e improvvida, dall’altro è un ottimo segno che, ci auguriamo, possa concorrere ad una lenta ripresa. Questo non significa, ovviamente, che il peggio sia passato. Come ribadito più volte, non si tratta di una crisi economica: è qualcosa di più e di diverso. Si tratta di una svolta storica. Attendiamoci, di conseguenza, nuovi scossoni, nuove incognite. Ma, tutto sommato, se l’euro continua il suo percorso di concorrenza al bene comune e di protezione degli stati aderenti, ci sentiamo di dire, manzonianamente: “avanti, Pedro, con giudizio!”


Asta tranquilla quella di stamattina per l'Italia. E' stata buona la domanda, mentre i rendimenti sono stati misti per i Bot semestrali e i Ctz offerti del Tesoro. I Buoni semestrali sono stati collocati con un rendimento medio ponderato semplice dell'1,396%, in rialzo di 0,089 punti rispetto all'asta precedente, ai massimi di dicembre. In flessione, invece, i CTz scadenza 31/12/2012: la settima tranche è stata collocata con un tasso lordo semplice del 2,451%, in calo di 0,099 punti rispetto al precedente collocamento. Buona ma non eccezionale la domanda, pari rispettivamente a 12,89 miliardi per il BoT semestrale (offerto per 8 miliardi) e a 3,79 miliardi per il CTz, offerto per 2,5 miliardi. L'Italia ha tastato sul campo le novità introdotte dal nuovo Euro Patto per la stabilità e la crescita in europa. E l'ha spuntata. La guerra in Libia, l'allarme nucleare in Giappone e la crisi del Portogallo non hanno sfiorato Roma.
"Settimana scorsa tensioni erano emerse solo sugli spread di Portogallo e Irlanda. Il rischio contagio proveniente da Lisbona, Dublino e Atene è limitato. Il premio al rischio di Italia e Spagna non peggiora in automatico", segnalano i trader. Questo perché forse perché il mercato ha iniziato a farci il callo. C'è chi osserva che gli investitori hanno iniziato a valutare ogni paese di Eurolandia caso per caso. Non è certo una coincidenza se settimana scorsa il rischio Italia ha registrato spread in calo rispetto a quanto osservato a inizio anno. Lo confermano anche gli esperti contattati da Finanza.com. "L'asta odierna è andata bene. I rendimenti sono scesi in linea con il mercato e con nostre aspettative. Buona la domanda favorita da redemptions molto alte", commenta Elia Lattuga, Fixed Income Strategist di UniCredit. Oggi in effetti scadevano 9 miliardi di Bot e 11 miliardi di Ctz.
"La liquidità era abbondante e resta ancora abbondante: molto probabilmente andrà anche sui tre anni in arrivo a metà settimana", segnala l'esperto. Il Tesoro collocherà mercoledì BTp a tre e dieci anni e ancorati all'inflazione come anche i CcT indicizzati all'Euribor. "In generale comunque l'Italia sta performando bene sul secondario, nelle ultime settimane è emersa una tendenza a separare il destino dei Periferici: Italia, Spagna, Belgio stanno performando meglio di Portogallo e Irlanda. Segno che il mercato sta facendo distinzione a livello della periferia". Anche secondo Luca Jellinek, alla guida del team dei tassi di interesse del Credit Agricole Cib quella di stamattina è stata un'asta tipica. "E' un periodo in cui c'è domanda per tutti i periferici e anche per l'Italia: questi paesi sanno che devono concedere qualcosa sul prezzo e lo fanno. L'importante alla fine è la riuscita delle aste. Sarà comunque più interessante l'asta a lungo termine fra due giorni". "Aste come quella di stamattina godono di una domanda forte interna - segnala Biagio Lapolla di Royal Bank of Scotland - . Sarà più significativa la posizione che il mercato prenderà sul tre e sul dieci anni mercoledì: potremo capire come il mercato prezza l'Italia".
Meno tranquilla è la situazione in cui versa il Portogallo. Non a caso prosegue la tensione sul debito periferico d'Europa: mentre i titoli irlandesi limano (10,06%, -6 centesimi), mentre salgono i tassi sul debito greco (12,60%, tre centesimi in più). Sono ancora i rendimenti pagati dai titoli di Stato portoghesi a fare notizia: hanno bruciato nuovi record. I titoli decennali emessi da Lisbona sono arrivati oggi al 7,894%, massimo almeno dal 1997. Il premio di rendimento del decennale portoghese sul bund tedesco viaggia a 455,4 punti. Il piccolo paese lusitano da giovedì scorso - da quando si è dimesso il premier socialista Josè Socrates, sconfitto in parlamento sull'ultimo piano di austerità - è finito sotto i proiettori dei signori della politica europea e dei mercati e questa mattina si è svegliato ancora in un mare di incertezze. In poco più di un anno il premier socialista ha concordato con Bruxelles quattro piani di austerità lacrime e sangue per allontanare il paese dalla pistola dei mercati puntata alla tempia, con tagli di pensioni, stipendi pubblici, spese sociali e mediche, investimenti, aumenti di Irpef e Iva.
Il Paese, già il più povero d'Europa Occidentale, è in ginocchio. Mercoledì notte, sul quarto giro di vite, il premier socialista Josè Socrates è stato bocciato in Parlamento e si è dimesso. Venerdì scorso il capo dello Stato Anibal Cavaco Silva ha avviato sotto gli azulejos di Palazzo Belem le consultazioni con i partiti. Tutti hanno chiesto elezioni anticipate per fine maggio. I portoghesi, dal senso del pudore sempre alto, non si piangono addosso. Non sono come i greci che scendono in piazza e spaccano tutto o quasi. E sembrano decisi a punire nelle urne Socrates e il Ps, dopo oltre un anno di cure da cavallo che hanno tagliato il deficit senza allontanare il paese dalla spada di Damocle degli speculatori. Un sondaggio indica che il Psd di Pedro Passos Coelho, primo partito di opposizione di centrodestra se si votasse ora con il 47% dei voti conquisterebbe la maggioranza assoluta in Parlamento. Il Ps crollerebbe al 24,5%. Socrates è ai minimi storici per un premier dalla fine della dittatura: solo il 17,6% dei portoghesi ancora si fida di lui, contro il 71,7% che non gli crede più.
I giornali assicurano che un piano di salvataggio è quasi inevitabile. Di certo è quasi inevitabile anche per le agenzie di rating. Da qui a giugno, quando sarà formato il nuovo governo, probabilmente a guida Passos Coelho - il capo dello stato vorrebbe una larga coalizione Psd-Ps-Cds (l'altro partito di centrodestra), che però Passos Coelho accetterebbe solo se i socialisti defenestreranno Socrates - il Portogallo deve trovare sui mercati 9,3 miliardi, a condizioni accettabili. E senza un aiuto esterno, la strada sembra essere segnata.

(Micaela Osella - Riproduzione riservata)

domenica 27 marzo 2011

UN EROE DEI NOSTRI TEMPI

Questa volta parliamo di Roberto Saviano. Basta leggere le scarne righe di Wikipedia per capire che Saviano, prima dell’uscita del fortunato “Gomorra” era un nessuno perfetto. Non aveva scritto nulla degno di nota, anche come giornalista, titolo di cui si fregia, non se ne hanno particolari notizie. Dunque, questo personaggio, nato nel 1979, deve la sua fortuna ad un libro come “Gomorra”. Dopo, è da notare, non ha praticamente scritto altro che remake del primo libro. Anche il meno fortunato “Vieni via con me” è il prodotto della collaborazione con un altro discutibilissimo personaggio come Fabio Fazio, di cui discorreremo più avanti. Vediamo un po’ più da vicino il libro: non si tratta di un romanzo, ma di un libro-documento, di una infinita noia (io stesso ho durato fatica ad arrivare all’ultima riga), una giustapposizione di documenti, eventi, commenti per lo più asettici su quanto prima esposto dall’autore. Tanto valeva leggere il rapporto annuale della Direzione Antimafia. Saviano non ha il dono della scrittura: non sa appassionare, elenca ma non convince, non sa calamitare l’interesse del lettore sulle sue pedanti osservazioni. Dunque, con Saviano abbiamo scoperto che c’è la Camorra. O bella, ma questo lo sapevamo già. Sapevamo benissimo che una cospicua parte del territorio italiano gode di uno strano regime politico ed economico di extraterritorialità, un po’ come se fosse una enclave in terra straniera, o uno stato sovrano come San Marino. Che un quartiere come Scampia fosse nelle mani della criminalità organizzata non ha fatto sobbalzare sulla sedia nessuno. Che le infiltrazioni della Camorra fossero arrivate ed abbiano profondamente intriso il tessuto economico e sociale del Nord, beh, anche questo non può sorprenderci più di tanto: il denaro non emana cattivo odore, e i politicanti e pubblici amministratori del nord non hanno fatto troppa fatica ad adeguarsi a taluni costumi, per così dire, disinvolti tipici del mezzogiorno. Quindi la domanda è: ma ci voleva proprio Saviano per farci conoscere una realtà che è sotto gli occhi di tutti? Sono passati da molto tempo gli anni in cui qualche notabile democristiano, alla domanda “secondo lei che cosa è la mafia?” rispondeva, con disarmante candore: “la mafia? Mai sentita, secondo me non esiste.” Qual’è allora il mistero del successo di un noiosissimo libro e di uno scrittore che non sa neppure scrivere bene e che prima e dopo “Gomorra” ha prodotto ben poco, se non nulla? La spiegazione è che intorno a Saviano si sono coagulate diverse spinte e diversi interessi convergenti che ne hanno fatto, strumentalizzandolo, un mito, e, allo stesso tempo, hanno guadagnato in termini di notorietà e ritorni economici. Anzitutto il film. Diretto da un vero talento (lui sì) , Matteo Garrone, esce nel 2008 per la produzione di Rai Cinema e Sky. Saviano partecipa alla stesura del soggetto e della sceneggiatura solo formalmente: il film è solo di Garrone, non esiste alcun collegamento tra il libro (che, ripetiamo, non è un romanzo) e la sua trasposizione cinematografica. Garrone ha fatto un film da vero professionista, che appartiene a lui solo e ai suoi protagonisti, un buon film che fortunatamente non rispecchia la noia mortale del libro. Tra il libro e l’uscita del film, la politica ha cominciato ad occuparsi del fenomeno Saviano, contribuendo non poco a crearne il personaggio. E siccome in Italia tutto deve avere, tassonomicamente, una etichetta ed occupare una posizione precisa nel panorama ideologico, si è deciso che Saviano e la sua denuncia delle malefatte della Camorra sono di sinistra, così come il nucleare è di destra, e l’eutanasia è di sinistra. Sulla base di questa colossale sciocchezza (la mafia non ha colore politico, non ci sono pubblici amministratori, di destra o di sinistra, esenti dalla corruzione) Saviano, che di per sé, spiace dirlo, non brilla per originalità o genialità, si è lasciato trasportare dalla corrente, probabilmente consapevole di non possedere un irresistibile talento  e intravedendo lui pure la possibilità di sviluppi futuri, ha deciso di optare apertamente per la sinistra, è diventato in breve un predicatore, pur non possedendo doti particolari di oratore, e si è fatto imprimere il marchio di qualità di “contestatore di sinistra”, come se la guerra alla criminalità organizzata fosse appannaggio di questa sola parte politica. Poi, sempre dalla stessa parte politica, fa capolino un personaggio del quale ci siamo già, in altre circostanze occupati, una specie di gatta morta della televisione, un buono a nulla capace di tutto, lezioso, affettato, col vezzo di balbettare all’incipit di ogni frase, con la sua faccina pulita e ordinata, le sue cravatte strette e i suoi abiti dimessi, uno che gioca a fare il personaggio incolore, e poi, quando non te lo aspetti, lancia il suo affondo contro il nemico politico. Questa specie di Alfonso Signorini della sinistra, ha subito fiutato, dopo aver presentato il libro nella sua trasmissione, l’odore del buon affare, ha soppesato bene il personaggio che gli stava di fronte e, da vecchia volpe del politicamente corretto, lo ha lanciato, sponsorizzato, blandito, fino alla confezione, tutta di Fazio, della mini serie “Vieni via con me”, trasmissione che sfruttava l’idea del libro della mera elencazione, arricchita però della partecipazione e comparsata di una serie di personaggi, alcuni ormai dimenticati dal grande pubblico, che sono sfilati come in una passerella propagandistica, andando a comporre un grande spot a favore della parte politica di Fazio. Di seguito, dopo le naturali perplessità dell’Editore di Saviano, Mondatori, questo giovane scrittore abbandonava la casa editrice di “Gomorra”, per farsi accogliere come un eroe dei nostri tempi dall’editore Feltrinelli, più adatto ai nuovi panni vestiti dal giovane (ma non troppo) talento. Altro libro, “Vieni via con me”, un “instant book” dove c’è poco di Saviano, giusto qualcuno dei suoi poco appassionanti sermoni, e molto della volpe Fazio, alla ricerca di un eventuale riciclaggio nel caso di una cacciata da casa madre RAI. Intanto, l’eroe dei due mondi, minacciato pesantemente dalla camorra, vive sotto scorta in diverse località segrete, una vita dorata, alle spalle dei contribuenti che, pagando, ringraziano. Il punto è che non si capisce bene se le minacce siano davvero autentiche, dal momento che il danno arrecato alla camorra da Saviano è semplicemente risibile, anzi, se ne potrebbe dedurre che, paradossalmente, il ritratto tratteggiato dallo scrittore della criminalità organizzata non faccia che accrescere, negli ambienti meno acculturati e più predisposti a delinquere, la fama e la leggenda dell’”onorata società”. Da questo punto di vista, in fondo, la Camorra ringrazia e non credo abbia particolare interesse ad eliminare un personaggio divenuto ormai di “carta”, completamente svincolato dalla realtà, divorato dal business della comunicazione, approdato alla televisione come intrattenitore, un personaggi insomma, totalmente incapace di nuocere seriamente alla malavita. Eppure, questo perfetto signor nessuno, vive sotto scorta dal 2006 in luoghi sempre diversi, si gira l’Italia a nostre spese e se la gode. Si dirà :“ma vivere sotto scorta è una privazione della propria libertà, si teme ogni giorni per i propri cari”. E’ vero, ma non per Saviano, che, prima dell’uscita del libro, non era nulla. Ora è diventato una star, e una limitazione alla propria libertà, in cambio di notorietà, prebende, diritti di autore, salati gettoni di presenza per qualche comparsata televisiva, tutto sommato è sopportabile. Ed ecco come una persona mediocre, un buon osservatore, certo, ma senza particolari talenti, ingoiato dallo “star system” diventa una specie di eroe che ha sfidato la Camorra, un mito di cartapesta senza sostanza e senza spessore. In compenso i gatti e le volpi come Fazio hanno lucrato e tratto profitto da questo “eroe dei giorni nostri”, lo hanno plasmato, ne hanno forgiato un candidato perfetto al tritacarne televisivo e massmediologico, ne hanno fatto una icona, un santino non più in grado di nuocere. Perché il bello di questa storia è che se il signor Saviano avesse realmente avuto l’intenzione di arrecare un danno alla camorra, se fosse stato veramente deciso ad intaccare il potere mafioso nella sua terra, si sarebbe comportato come Riccardo Iacona, un vero giornalista, un vero scrittore, un vero uomo. Riccardo Iacona, con le sue inchieste e i suoi libri ha veramente toccato diversi nervi scoperti della società italiana, dalla criminalità organizzata, alla spaventosa corruzione di politici ed amministratori. Ma Iacona, che è giornalista vero e coraggioso, ha sempre rischiato in prima persona, non possiede alcuna scorta, ha diligentemente svolto, con grande, incomparabile professionalità, il compito che si è dato: denunciare, divulgare, non pensando alla propria carriera e a diventare una macchina da soldi, ma facendo semplicemente bene il suo lavoro, come un buon artigiano della televisione. Ecco, ecco chi è l’eroe, quello che non vedi, quello che non riempie le pagine dei rotocalchi, rosa e non, che non partecipa alle trasmissioni ruffiane, che non si fa strumentalizzare da nessuno, che non soffre di protagonismo, che fa tutti i giorni, onestamente e senza clamori, il suo mestiere. Se proprio abbiamo bisogno di esempi o di eroi, ecco, pensiamo a Riccardo Iacona, che non ha la scorta, pur rischiando enormemente di più di un annacquato Roberto Saviano. Se un giorno, Dio non voglia, qualcuno dovesse attentare alla vita di Iacona, allora saremo tutti pronti a dire “ma certo, era un giornalista indipendente che faceva denuncia, inchieste scomode, non aveva neppure la scorta…” si parlerebbe, allora sì, di morte annunciata. Ma noi non vogliamo eroi postumi, ma neppure eroi ipocriti confezionati dalla politica o dalla televisione.
La prossima volta che assisteremo ad una intervista o ad un inchiesta di Iacona  mettiamolo a confronto con i fronzoli televisivi e i sermoni pedanti di Saviano: forse riusciremo meglio a capire la differenza che corre tra chi fa vera denuncia e colpisce il potere mafioso e chi, giocando a fare la televisione, pensa solo al proprio, probabile, futuro politico e personale.

Riccardo Iacona

sabato 26 marzo 2011

CONFESSIONI DI UN NUCLEARISTA

E’ ancora fresca l’enorme impressione che ha suscitato il disastro di Fukushima, disastro tuttora in corso, e i cui contorni sono ancora oggi incerti. Ciononostante, rimango personalmente favorevole al ricorso all’energia nucleare, non per una particolare antipatia per le cosiddette “energie rinnovabili” (eolico, fotovoltaico, biomasse ecc.), ma per il semplice fatto che queste decisioni, per quanto impopolari e drammatiche, non si prendono sull’onda dell’emotività, e, soprattutto, per il semplice fatto che non esistono, ad oggi, alternative all’energia nucleare, che, posta a confronto con quelle alternative, risulta ancora l’unica via percorribile. Nessuna centrale nucleare di terza, quarta o prossima generazione sarà mai a rischio zero, il rischio dell’incidente è insito nel contenuto fisico e chimico stesso del principio di “fusione” e di “fissione”, e gli elementi che debbono essere utilizzati, appartengono in ogni caso a quelle famose “terre rare” della tavola periodica, che hanno nella radioattività la loro caratteristica peculiare. Tutto ciò premesso, continuo a considerare il nucleare una “dolorosa necessità”, qualcosa da affrontare senza entusiasmi, ma con consapevole serietà.

Riassumiamo i principali argomenti a favore dell’utilizzo dell’energia nucleare:
 
- E 'disponibile tutto l'anno, tranne durante il tempo di rifornimento di carburante (circa un mese all'anno)

- Consente di rispettare Kyoto, perché l'energia nucleare è l'unica che non emette CO2.

- Oggi è possibile eliminare tutti i rifiuti ad alta durata (periodo di disintegrazione di milioni di anni). Le scorie devono comunque essere conservate per circa di 100 anni.

- E 'molto a buon mercato rispetto a tutte le rinnovabili, tranne l'energia idroelettrica, ma quest'ultima è limitata territorialmente e dal flusso dei fiumi.

- I problemi che si sono verificati nel corso della storia (Chernobyl e, adesso, Fukushima) hanno avuto a che fare con una mancanza di consapevolezza in relazione alla sicurezza (Chernobyl) e una  cattiva gestione, dettata da motivi di risparmio di spese di manutenzione (Fukushima). In ogni caso, molte più persone muoiono ogni anno in seguito all’ esposizione ai prodotti dell’industria chimica,  ( basti pensare all’esempio dei 30.000 contaminati a Bhopal, India).

- Tutti gli esseri umani sono esposti alla radiazione di fondo naturale dallo spazio cosmico. Abbiamo ricevuto un carico notevole di radiazioni quando abbiamo preso un aereo o quando ci si sottopone ad una TAC, rispetto a un anno di vita nei pressi di una centrale nucleare. La quantità di radiazioni cui siamo esposti è diversa a seconda del luogo ove risediamo: la radiazione che riceviamo, naturalmente, a Bilbao, è sei volte inferiore a quello che arriva fino ad un abitante di Madrid. 
L'energia nucleare è pulita e migliore per l'ambiente, tenendo conto delle esigenze della nostra società. L'energia solare, idroelettrica ed eolica sono largamente insufficienti ai nostri fabbisogni. Credo che l'energia nucleare è l'unica che si adatta al concetto di "sviluppo sostenibile". E’ inoltre l'unica che può soddisfare la crescente domanda di energia, e anche ad evitare l'emissione di gas ad effetto serra di qualsiasi tipo per l'atmosfera.
Eolica, solare, geotermico e tutte le altre “rinnovabili” sono demagogiche ed illusorie.
Tuttavia, se qualcuno ritiene che se ne possa fare a meno, tenuto conto che gli idrocarburi si esauriranno nel giro di cinquat’anni al massimo, immagini il seguente scenario. Si dovrebbe iniziare a ridurre drasticamente i consumi: spegnere il computer, la televisione e tutto ciò che veicola cultura e informazione. Spegnere tutte le lampadine in casa nostra, lavatrici, cicalini, scaldabagni. Poi  si torna alla bicicletta. Basta aerei, niente auto, niente autobus, neppure i treni. Poi, dopo aver fatto tutto questo ci si può, a ragione, ritenere coerenti con le proprie idee.

Vediamo che ne pensa il colonnello Giuliacci, del Centro Epson Meteo:

Le energie rinnovabili posso affrontare il problema?
Queste energie non sono sufficientemente efficaci. Nessuna è in grado sostituire il combustibile fossile. Né il solare, né l’eolico, né le biomasse.
Faccio un esempio. Se in Italia si volesse puntare, con tutti gli sforzi, sulle rinnovabili si potrebbe sopperire, entro 20 anni, al 25% del fabbisogno energetico. E l’altro 75%?
Attualmente c’è una sola energia, abbondante, prodotta a costi ragionevoli e a impatto zero per quanto riguarda le emissioni di gas serra: il nucleare.
Il nucleare spaventa.
Lo so, la gente ha paura, ma dovrebbe fare un esame di coscienza. Per prima cosa perché le attuali centrali sono più sicure e producono una quantità inferiore di scorie. E poi perché il pericolo è solo potenziale. L’incidente di Chernobyl è stato dovuto alla pessima gestione dell’impianto e quello di Fukushima ad un evento naturale di eccezionale portata: un terremoto di magnitudo 8.9.
Ammetterà, però, che il problema della scorie radioattive è serio.
Sicuramente, ma il matrimonio con il nucleare per fissione non sarà eterno. Sarà un passaggio, un periodo di transizione, in attesa che diventi realtà un’altra fonte energetica, il termo-nucleare, un’energia tendenzialmente pulita.
Si riferisce al nucleare per fusione, cioè quella forma di energia in grado di riprodurre la reazione che avviene nel Sole e nelle altre stelle?
Sì. E’ una forma di energia che ha bisogno, come carburante, solo di due elementi che si trovano nell’acqua, il deuterio e il trizio. Produce poche scorie, la cui radioattività si abbatte in periodi di circa 100 anni. Recentemente i paesi maggiormente industrializzati, Usa, Unione europea, Cina e India, hanno sottoscritto un accordo per la costruzione di una centrale termonucleare sperimentale nel sud della Franca, a Cadarache. Il progetto è stato chiamato ITER e prevede la fine dei lavori nel 2015.
Credo che nel giro di 50 anni la fusione possa diventare una realtà in grado di risolvere, definitivamente, la fame di energia dell’uomo, senza modificare i delicati equilibri climatici del pianeta.

Sentiamo il parere di Umberto Veronesi a questo proposito:

Prima di tutto, bisogna fare un salto indietro, e andare a vedere che cosa successe veramente nel 1987. Ricordiamoci che pochi mesi prima il 26 aprile 1986, c’era stato il disastro di Chernobyl, e che l’opinione pubblica era facilmente influenzabile. Tutto si svolse in un clima politico dominato dall’emotività, e non dalla ragione, e le lobbies del petrolio e del metano ebbero buon gioco a soffiare sui timori dell’uomo della strada e sulla buona fede degli ambientalisti.
Innanzitutto, quella che poi ha continuato a essere chiamata la Scelta, non fu affatto un referendum pro o contro l’energia nucleare, anche se poi politicamente fu interpretato così. Chi andò a votare, ricorda che il quesito referendario non parlava di nucleare bensì dell’abrogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi. In altre parole, a quei comuni e regioni che avessero centrali elettriche alimentate con energia nucleare. Era un modo come un altro di aggirare una difficoltà giuridica, perché la Costituzione vieta referendum abrogativi su norme comunitarie, e trent’anni prima con il Trattato di Roma, l’Italia aveva assunto l’impegno di sviluppare una potente industria nucleare. Inutilmente, persone del calibro di Leo Valiani sostennero che si trattava di una scelta che non era opportuno affidare a un referendum, ricordarono le vicinissime centrali nucleari francesi e profetizzarono (come è avvenuto) che la rinuncia ci avrebbe reso poco competitivi economicamente.
Nel febbraio 1987 si tenne la Conferenza nazionale sull’energia. La stragrande maggioranza degli interventi fu a favore del proseguimento del programma nucleare. Vi furono portati anche i motivati pareri favorevoli di tre commissioni nominate dal governo. Una di queste fu presieduta da me, le altre due da Paolo Baffi e da Leopoldo Elia. Io ero stato chiamato a presiedere la commissione di studio su ambiente e sanità. Dopo la grande crisi energetica del 1973 anche in Italia il problema delle fonti energetiche non poteva più essere ignorato. Il mio gruppo, composto da fisici chimici, medici, avrebbe dovuto valutare l’impatto ambientale delle varie fonti di energia.
Fu un momento per me di grande coinvolgimento intellettuale e morale, anche perché su noi si avvertiva la forte pressione dei gruppi ambientalisti e dei radicali, tutti oppositori del nucleare Io stesso, devo dire, all’epoca ero molto prevenuto sull’atomo. I miei figli giravano con un grosso bottone giallo alla giacca con la scritta Nucleare? No, grazie, e io non mi discostavo molto da questa linea.
Il lavoro della commissione fu molto intenso; interpellammo, attraverso 150 questionari, esperti e tecnici che con la loro ricerca spaziavano in diverse direzioni dalla fisica alla geologia, dalla medicina all’ingegneria. Man mano che procedevamo nel lavoro, la mia posizione antiatomo vacillava, e alla fine mi trovai convertito alla tesi nucleare. Fu una conversione che poggiava su dati, su fatti. Le centrali termoelettriche (per funzionare bruciano petrolio o carbone) comportano un rischio ambientale di tumore infinitamente superiore alle centrali che usano la fissione atomica. Gli impianti termoelettrici liberano nell’atmosfera grandi quantità di sostanze cancerogene, idrocarburi e nitrosamine, e di polveri anch’esse sospette di avere a lungo andare proprietà oncogene. Dovetti prendere atto che invece la centrale nucleare produce un’energia totalmente pulita: dalla scissione del nucleo si sprigiona un’enorme energia. Non c’è alcuna combustione che libera sostanze cancerogene, non c’è consumo di ossigeno né produzione di quell’anidride carbonica che sta surriscaldando il pianeta. è del tutto ininfluente, in condizioni di normalità, anche la contaminazione radioattiva. Lo smaltimento delle scorie non presenta problemi insormontabili: la quantità di scorie residuate dalla scissione dell’uranio e enormemente inferiore a quella dei combustibili fossili.
In base ai lavori svolti dalla commissione mi sento di poter esorcizzare anche lo spettro di Chernobyl: in un impianto moderno, realizzato con procedure rigorose, anche il rischio di incidente tecnico o di cattivo funzionamento era risultato molto basso. Quando, sempre nel 1987, consegnai al governo il nostro lavoro, in quel momento mi sentii orgoglioso, come quando si è soddisfatti di aver fatto, e bene, il proprio dovere. Ma il governo, come è noto, decise la messa al bando del nucleare. A distanza di tanti anni giudico questa scelta ancora irragionevole. E credo che i tempi per un ripensamento siano ormai maturi. L’uscita dal nucleare ha pesato enormemente sul bilancio dello Stato, contribulto alla crescita del deficit pubblico e ha isolato l’Italia dall’Europa. Hanno fatto la scelta nucleare Germania, Belgio, Spagna, Francia, Finlandia, Olanda, Gran Bretagna, Svezia, Svizzera.
Umberto Veronesi, Tratto dal settimanale “OGGI” (RCS)
 
Vediamo, infine, che cosa pensa a questo proposito la nota astrofisica Margherita Hack:
 
Professoressa Hack, tutti questi allarmi sul nucleare sono esagerati?
"Il nucleare sicuramente ha grossi pericoli che vanno affrontati con una grande serietà, che spesso in Italia manca. Ma va affrontato razionalmente e il caso del Giappone è stato un caso estremo. Noi oggi dal punto di vista energetico siamo completamente dipendenti dall'estero e compriamo energia nucleare dalla Francia".
In Italia il dibattito è aperto e gli scienziati si dividono tra favorevoli e contrari...
"Io credo che il nucleare sia necessario, perché c'è un problema sempre crescente di energia. Però in Italia c'è un problema di conformazione e bisognerebbe scegliere zone non sismiche come la Sardegna".
Quanto c'è di irrazionale in questa repulsione al nucleare?
"Di irrazionale c'è molto, c'è molta paura e c'è molta ignoranza. E fare il referendum dopo l'episodio del Giappone è del tutto scontato..." 
Lei cosa voterà al referendum?
"Io credo che il nucleare ci voglia, credo che sia una necessità". 

Mi rendo perfettamente conto che il presente post potrà apparire intempestivo e di pessimo gusto (se non altro rispetto alle vittime di Fukushima), ma penso sia doveroso, per una volta, intervenire in relazione ad un argomento che sta sollevando prese di posizione ricche di emotività al limite dell'isterismo, e soprattutto, da parte di persone che non posseggono le più elementri nozioni di chimica e di fisica nucleare. Ricordiamo sempre che, per esprimere una opinione che sia degna di rispetto e oggetto di discussione e confronto, è indispensabile un minimo di cultura scientifica, senza la quale la presa di posizione estemporanea scivola sul fragile terreno dell'ideologia e della retorica pressapochista. Riflettiamoci sempre, prima di formulare il nostro pensiero, che solo in quel caso, sarà degno di nota e preso in considerazione.


 


venerdì 25 marzo 2011

LISBONA ADDIO

Dopo un lungo periodo di incertezza ed instabilità, con i sempre crescenti spread tra bund e titoli di stato portoghesi, ieri sera sono arrivate le dimissioni del premier Josè Socrates come una liberazione dopo un lungo affanno. Il suo pacchetto di misure draconiane per cercare di raddrizzare le deboli finanze lusitane sono state sfiduciate dal Parlamento, e al Presidente della Repubblica non è rimasto altro da fare che aprire le consultazioni e valutare l’ipotesi di nuove elezione per la seconda metà di maggio. Le agenzie internazionali “Fitch” e “Standard & Poors” hanno tagliato il rating del paese rispettivamente in “A-“ e “BBB”. D’altronde, il Portogallo è in grado di far fronte al debito pubblico contratto con i suoi risparmiatori solamente fino alla scadenza di aprile, non è quasi certamente in grado di rimborsare i 4,3 miliardi di euro in scadenza per il mese di giugno. Entro quella data, nonostante la fiera resistenza delle istituzioni portoghesi, si dovrà fare ricorso all’aiuto da parte del fondo salva-stati dell’UE, già ampiamente annunciato dal presidente Junkers, e consistente in 75 miliardi di euro. Non si tratta, come è facile intuire, di una buona notizia. Intanto perché non è neppure stata trattata come una vera e propria notizia dagli stessi organi di informazione, con la sola eccezione della stampa del settore. Si fa un gran parlare della situazione libica, dello stallo probabile cui andremo incontro come sempre accade quando si inizia un conflitto armato, della tracotanza di un sempre meno sopportabile Sarkozy (ci voleva questa testa di legno per farci apprezzare Berlusconi, con tutte le sue manchevolezze), nessuno parla del fatto che anche il terzo stato del primo gruppo, che racchiude anche Grecia e Irlanda, sia caduto e costretto, con ogni probabilità a dichiarare la propria bancarotta. Il fatto, in sé e di per sé, non modifica sostanzialmente gli assetti economico finanziari dell’Europa; nel corso dell’ultima riunione dell’eurozona è stato semmai stabilito un ampliamento del fondo salva stati, accanto ad altre doverose misure come ulteriori stress test per i sistemi bancari dei singoli stati, e l’ingiunzione di sanzioni agli stati meno virtuosi, che non sono in grado di accorciare il divario tra debito pubblico e PIL. Le conseguenza, viceversa, sono, per così dire, più psicologiche che razionali. Qualcuno comincia già a parlare di “possibile effetto domino per la Spagna” e amenità di questo genere. Ora, occorre precisare una volta per tutte che non esiste nessun contagio per un paese come la Spagna, che versa in una situazione tutt’affatto diversa dal Portogallo: non esiste un effetto contagio come per una malattia infettiva. Ma tant’è, abbiamo imparato che anche gli asettici mercati finanziari sono spesso condizionati da componenti emotive. E poi, non dimentichiamo mai che dopo il primo gruppo, quello dei paesi periferici più deboli, l’Italia fa la sua bella figura nel secondo gruppo, insieme a Spagna e Belgio. La crisi, il pericolo default, per così dire, si sta avvicinando a noi, con la caduta del Portogallo. Per nostra fortuna, almeno per il momento e salvo sorprese sempre possibili, lo spread con i bund tedeschi è ancora contenuto (intorno ai 158 punti), i titoli emessi dal nostro stato non raggiungono i tassi record dell’8% cui è arrivato il Portogallo, il sistema bancario italiano è certamente meglio attrezzato, ma non dimentichiamo che la bolla dei derivati è dietro l’angolo e non sappiamo ancora di sicuro fino a che punto le casse dei nostri istituti di credito ne siano infetti. Dobbiamo, per onestà intellettuale, rendere l’onore delle armi al governo Socrates, che ha fatto quello che ha potuto in una situazione impossibile da gestire. A differenza della Grecia, governata da politicanti corrotti e inetti, e dall’Irlanda, che si è divertita a giocare con la finanza creativa, il Portogallo soffre di una arretratezza strutturale difficilmente colmabile in qualche decennio. Un processo di ammodernamento necessita di tempi lunghi, ed è sacrosanto dare ossigeno ad una nazione che si è comportata con dignità e lealtà e ha cercato di salvarsi con le proprie forze fino all’ultimo respiro. Anche dal piccolo, arretrato Portogallo, abbiamo qualcosa da imparare: magari non per le capacità manageriali, di leadership o di know how, ma in termini di onestà intellettuale e decoro politico. Impariamo, allora, dalla bella lezione di umiltà che ci arriva dai lusitani, che potrebbe arrivare anche per noi, magari in tempi non troppo lontani, il momento di presentarci a Bruxelles con il cappello in mano, per chiedere un aiuto che nessun organismo mondiale sarebbe in grado di fornirci, anche con la migliore buona volontà: la nostra caduta è valutabile intorno al milione di miliardi di euro, una somma talmente astronomica da non esistere nella realtà. Impariamo la lezione portoghese, facciamo quadrato intorno all’euro, sola possibilità di salvezza, cerchiamo di ridurre l’ignominia di una evasine fiscale da primato mondiale, proviamo a ridimensionare i numeri della corruzione dei pubblici amministratori (seconda sola a Romania e Grecia) e cerchiamo di sopportare con pazienza anche i vicini più scomodi, come quel guascone sciovinista di Sarkozy che, per una volta, sta dando di sé e del suo paese una delle immagini più tristi e degradanti degli ultimi cinquant’anni.

mercoledì 23 marzo 2011

UN MOMENTO SOLO PER TE

Ci sono delle occasioni, come questa, in cui è bene isolarsi almeno per un momento, da tutto quello che ci circonda, dalle notizie che ci incalzano dal mondo, una peggiore dell’altra, dalla vita monotona e avvilente di ogni giorno, dalle cose che si fanno e ripetono continuamente, quando le giornate ci scivolano addosso senza che la parte più importante e profonda di noi partecipi minimamente a quello che stiamo facendo. Ma almeno oggi, stiamo lontani dai mercati, dalle oscillazioni della borsa, dalle noie querule e stucchevoli del lavoro, dai comportamenti  non sempre amichevoli degli altri, dalla nostra stessa natura ingannevole. In questi momenti, tutti soli nella nostra stanza, o passeggiando sul lungomare, è facile scivolare lungo il piano inclinato della struggente nostalgia, non di qualcosa o di qualcuno, ma la “nostalghia” dei russi, che è quella del poeta espatriato, ma anche quella delle persone che cercano di superare la propria alienazione spirituale e ricucire la propria separazione fisica dagli altri esseri umani. Non è più la nostalgia della casa o della patria avita, di qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle molti anni fa, ma è un sentimento sorgivo nell’animo umano, è la nostalgia di quello che siamo stati e non siamo più, di quello che saremmo potuti essere e non siamo. In questo senso, non è la nostalgia di un luogo o di una situazione, ma di una condizione umana. In questo stato di grazia è facile sentirsi più ricettivi, affinare le nostre capacità di percezione e di analisi, sentire nell’aria tutti gli odori che porta con sé una giornata di primavera accanto al mare. Allora, in luogo di abbandonarsi all’ondata dei ricordi, è facile seguire in avanti la freccia del tempo, immaginarsi in qualche posto dove non siamo mai stati (chissà poi perché), un tavolo sotto una veranda nel crepuscolo marino, una “still life” con una bottiglia di vino nero piena a metà, un piatto abbandonato ancora ricolmo di croste di pane abbrustolito e tracce di olio e sale mescolati, vicino all’ampolla dorata luccicante negli ultimi bagliori del tramonto. Scorrono davanti agli occhi immagini di luoghi e situazioni mai vissute o immaginate: una primavera lungo le strade brulicanti e caotiche di Calcutta, i profumi deliziosi e i colori abbacinanti del bazar di Istanbul, le strade polveroso bianche di calce di Port Said, un’estate in riva al lago nel clima fresco e secco del Vermont, una passeggiata in silenzio lungo il viale che porta al camposanto di Granada, l’esplosione lilla delle bouganville che cadono a cascata da una balaustra di Rangoon, il sole opprimente e l’aria torrida del delta del Mekong, a Battambang, ma anche la foresta che si sta lentamente riprendendo, con gli artigli dei suoi rampicanti, le rovine di Angkor Vat, quello che rimane di un bivacco sulla spiaggia serale di San Josè, ma anche una notte trascorsa in una immemorabile dimenticanza, sprofondati nell’amore e nella tenerezza, tra le lenzuola e il profumo della persona che si è addormentata accanto a noi, che ci siamo appena sciolti in un abbraccio e in un bacio pieni di passione e di  languida dolcezza . Ti ripeti che queste cose non sono vere, probabilmente non sono mai accadute, ma cosa c’è di vero nelle nostre vite sbagliate, fatte degli stessi gesti e delle stesse convenzioni, non è più reale il tempo della coscienza, dove tutto viene dilatato smisuratamente nella dimensione perenne della memoria, dove non esiste altro che il nostro spirito bello, non  passato , né futuro, ma l’onnipresenza di tutto quello che abbiamo radunato in una vita di emozioni, sensazioni, pensieri, ricordi, affetti e parole non dette. Se è vero che non esiste uno spazio e un tempo assoluti, ma un continuum spazio-temporale, se è vero che lo spazio è curvo, anche se non lo percepiamo con i nostri poveri sensi, forse e possibile aprirsi un varco nella curvatura dello spazio, e camminare in mondi immaginari, ma veri, come sono vere le dimensioni altre da noi. Se la velocità della luce è una barriera insuperabile, questi varchi costituiscono dei corridoi nello spazio tempo, che ci portano in mondi come il nostro, ma dove possiamo vivere altre vite, con altri pensieri , con altri amori e altre speranze. Abbandonati allora, qualche volta, a queste sensazioni, allontanati da quello che sei per come lo vedono gli altri, ecco, questo è un momento tutto per te. Non ci sei che tu e la tua fantasia, ma forse non si tratta solo di fantasia, e nemmeno di egoismo: esci per un attimo dalla tua persona e viaggia oltre i confini dell’orizzonte degli eventi. In mezzo allo sfolgorio delle luci, alle danze sfrenate tra i vapori della sera, con in mano un bicchiere ricolmo di pinacolada e in testa un buffo cappello, lasciati guidare da chi ha già percorso queste vie, che sono le vie del cuore, lasciati condurre da chi conosce il posto dove stai per arrivare, da chi ti ristora e ti da sollievo, da chi non giudica e sa amare, da chi conosce il riposo del viandante, siedi un momento sul muretto a secco, sopra la caletta, abbandonati tra le sue braccia: è lui che ti consola e ti addormenta piano, quando la tenebra mostra il suo vero volto.

Ad E.F., che, nonostante tutto, lo ha letto. Ma, purtroppo, non lo ha mai commentato.

domenica 20 marzo 2011

UN UOMO QUALUNQUE

E così, non contenti del lungo periodo senza conflitti all’interno dell’Europa, dopo una settantina d’anni, ci siamo portati un conflitto armato alle soglie di casa nostra. Si dirà che la Libia era oppressa da un dittatore feroce e sanguinario, che ha massacrato il suo stesso popolo, armando milizie di mercenari, che è stato così pazzo e criminale da non capire che dopo oltre quarant’anni di governo assoluto fosse suonata la campana della storia anche per lui, come per Ben Alì in Tunisia e per Mubarak in Egitto. Tutto vero, ma si può eccepire che tutte queste cose le sapevamo anche venti anni fa. E nonostante tutto, con questo signore, dominatore assoluto e monarca della sua terra, abbiamo fatto grandi e convenienti affari (con l’ENI per il petrolio, con Unicredit per la parte finanziaria), ci siamo genuflessi, consentendogli di farneticare sulla dominazione italiana che avrebbe ridotto in miseria la sua gente (quando, al contrario, l’abbiamo arricchita di infrastrutture senza guadagnare il becco di un quattrino), gli abbiamo baciato la mano, gli abbiamo consentito di piantare le sue ridicole tende ovunque, lo abbiamo accolto sempre, con tutti gli onori, anche quando si è presentato vestito come un pagliaccio da circo. Dopo le fraterne dichiarazioni di eterna amicizia, seguite allo svolgimento da parte dello spietato dittatore della funzione di controllo delle sue frontiere marine, impedendo un numero impressionante di sbarchi di clandestini sulla nostra penisola, senza mai domandarci che fine avessero fatto i disgraziati che arrivavano sulla costa libica senza la possibilità di imbarcarsi alla volta di Lampedusa. La sorte di questi sciagurati non ci è mai particolarmente premuta: cosa gli succedeva? Svanivano, evaporati nel deserto, venivano ingoiati dalle dune, o, più verosimilmente, terminavano le loro esistenze in qualche terrificante gattabuia libica?
Ecco, adesso che la guerra è cominciata, perché di guerra si tratta, e ce lo riveleranno molto presto le risposte dei mercati e delle borse, se non bastassero le scarne informazioni ed immagini che ci arrivano dl teatro del conflitto, ecco, dicevo, ora che gli attacchi aerei sono partiti, ci rendiamo improvvisamente conto che c’è qualcosa, da qualche parte, che non gira a dovere, che non funziona. E quello che non funzione è che non si possono fare affari e mantenere rapporti di tenera amicizia con un losco figuro fino a ieri ed oggi, come folgorati sulla via di Damasco, comprendere che avevamo a che fare semplicemente e puramente con un dittatore, feroce o meno, non ha importanza, i dittatori sono tutti uguali, non usano le buone maniere, non dialogano con l’opposizione, mettono anzi in prigione gli oppositori, quando non gli tagliano la testa, opprimono il loro popolo, facendo profitti personali, edificando un sistema autocratico dove il potere è nelle mani di parenti ed amici. Questo hanno sempre fatto i dittatori e non ce ne possiamo accorgere solo adesso. Ma non è tutto. Quel gentiluomo di Barack Obama, smesse le buone maniere di risoluto democratico, ha calato la maschera e ci ha mostrato il volto che non vorremmo mai vedere degli Stati Uniti: quello di poliziotto del mondo. Navigando sulla stessa scia di Nixon, Johnson, Reagan, Bush padre e figlio, ha forzato le mani all’ONU, una specie di Società delle Nazioni che ha sede, guarda caso a New York, fortemente influenzata dalla politica estera americana, e che dopo aver tentennato per parecchi giorni, mentre il rais continuava le sue scorribande sul terreno libico, divertendosi come un ragazzino davanti ad un videogioco, ha rotto gli indugi, ed è pervenuto alla famosa risoluzione 1973, sulla “No fly zone”. Con la sostanziale astensione di Russia e Cina, gli USA hanno preso le redini della situazione, hanno stabilito le loro basi logistiche e il loro comando sul territorio italiano, e sotto il diretto comando di Obama, hanno lasciato l’iniziativa alla NATO, che non è esattamente coincidente con l’ONU. E la NATO, in una delle sua performances migliori, ha dato il meglio di sé travalicando, e non di poco, i limiti chiaramente imposti dalla risoluzione dell’ONU. In luogo di svolgere una azione di controllo e pattugliamento della “No fly zone” sui cieli libici, ha di fatto attaccato militarmente un paese sovrano (è una dittatura, ma resta un paese sovrano, almeno fino a qualche giorno fa era riconosciuto tale da tutti gli organismi internazionali), bombardando le città costiere della Libia, da Bendasi a Tripoli. Cercando sicuramente gli obiettivi ”sensibili”, non lo mettiamo in dubbio, ma provocando altresì, come sempre in questi casi, i famosi “effetti collaterali”, centinaia di morti tra i civili. Ora che è chiaro l’intento di Obama (svolgere funzioni di polizia internazionale, quasi che questo mandato gli fosse arrivato da Domeneddio in persona) e quello di quella testa calda di Sarkozy (il cui intento immediato francamente ci sfugge, ma forse nemmeno esiste), sia la Russia di Putin, che la Cina e soprattutto la Lega Araba cominciano a guardare con una certa perplessità allo svolgersi delle operazioni militari, una perplessità che si tramuterà molto presto in aperto disaccordo e Dio solo sa che altro. Obama e Sarkozy, i due signori che hanno fortemente voluto e scatenato questa ennesima catastrofe, dovranno cercare di far capire alla Lega Araba che quello che stanno facendo è una semplice operazione militare per la salvaguardia delle vite dei civili messe a repentaglio dal feroce dittatore, ma i metodi che sono stati messi in campo non facilitano certo una comprensione di questi intendimenti da parte della Lega. E adesso, finalmente,  Gheddafi può finalmente recitare la parte del martire dei crociati occidentali che hanno mire espansionistiche e neoimperialistiche nei confronti del sacro suolo isalamico. E il bello è che i fatti gli danno ragione. Ha armato il suo popolo, spostando l’attenzione dalla repressione della sua dittatura sull’attacco e sui bombardamenti dei crociati, e ad una possibile, prossima invasione di terra del suolo libico. Se, tra parentesi, si dovesse verificare uno spostamento del teatro bellico dai cieli alla terra, si scatenerebbe un conflitto mondiale tra occidente impazzito e paesi arabi che tornerebbero a farsi ispirare dai fondamentalisti guerrafondai. Non si creda che si tratta di uno scenario troppo spinto. Delle eventuali operazioni terrestri sarebbero destinate non solo ad affondare nel pantano di una guerra di posizione, non solo provocherebbe un altro Afghanistan, ma potrebbe realmente causare la mobilitazione dell’intero mondo islamico, rappresentato dalla Lega Araba, che muoverebbe i suoi eserciti contro i nostri. Qui o ci si ferma subito, o saranno guai seri, per tutti.
Ma torniamo a lui, a quest’uomo qualunque che è Barack Obama. Un uomo senza particolari qualità, se non una discreta presenza, modeste doti di oratore, una quasi assoluta ignoranza nei settori dell’economia e degli esteri. Adesso comprendiamo meglio quanto andavo scrivendo sulle pagine di questo blog tempo fa, vale a dire che un premio Nobel attribuito sulla fiducia, solo per il colore della sua pelle, non è stato solo un atto grottesco, è stato un tragico errore. Questo perfetto signor nessuno, male affiancato e gestito da una pletora di consiglieri fraudolenti, quando non interessati, non è solo un uomo qualunque, è un uomo pericoloso, perché non sa quello che fa. Non si possono affidare le sorti del paese più importante del mondo ad una persona velleitaria, un dilettante circondato da pessimi consiglieri. Ci pensino gli americani, quando eleggeranno il prossimo presidente, e pensiamoci anche noi, in modo da non farci coinvolgere in operazioni di cui si conosce benissimo l’inizio, ma sulla cui fine nessuno può dire nulla. Quando si comincia una guerra, pur con le migliori intenzioni di questo mondo, si entra in un gioco pericolosissimi al massacro, che non si può mai sapere dove andrà a parare. Abbiamo bisogno di pace, ci bastano già le catastrofi naturali come quella di Fukushima, abbiamo bisogno di concordia per cercare di superare tutti insieme, nel mercato globalizzato, di uscire dal tunnel della crisi economico finanziaria. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di fare la guerra a qualcuno. C’è, in questi mesi, una concatenazione di eventi disastrosi, di circostanze fatali, di cieche prese di posizione, che rifanno pensare ad una corsa folle di questo mondo verso la proprio rovina, verso il disastro finale. L’esplosione del mondo arabo, il terremoto e il disastro nucleare giapponese, ed ora la folle corsa verso la guerra di Obama. C’è una sorta di “cupio dissolvi”, una corsa verso il nulla, verso il proprio annientamento che rasenta la follia. Ma questi sono tempi folli, sono tornati, dopo tanto, i tempi  della “distruzione della ragione” di cui parla Lucaks, il tempo della “crisi del mondo moderno” di Guénon, i tempi del “tramonto dell’occidente” di Spengler, un tramonto che si rivela dall’atteggiamento dell’uomo qualunque Obama, il quale, non sapendo come fronteggiare il surclassamento economico da parte del terzo mondo che risorge, risponde rabbiosamente con l’ultima risorsa che gli resta: il conflitto armato. Ma è, appunto, l’ultima risorsa, terminata questa, c’è solo la resa al nuovo che arriva.

venerdì 18 marzo 2011

ORIZZONTI PERDUTI (breve riassunto della crisi)

A gentile richiesta da parte di qualche visitatore, cercheremo di riassumere, in parole semplici, talmente semplici da rischiare l’inesattezza (e di questo mi scuso in anticipo) la situazione economica ai tempi della crisi, soprattutto sotto l’angolazione finanziaria.
L’attuale crisi  prende le mosse da due fattori fondamentali, entrambi diffusi capillarmente negli USA, ma non solo. Il primo, quello dei cosiddetti “mutui subprime” è tutto americano. Con questo termine si intende la concessione da parte delle banche americane di mutui a famiglie che dovevano acquistare una casa ma con l’unico difetto di non essere palesemente in grado di onorare il debito contratto. La prima bolla, dunque, è quella immobiliare. Il secondo fattore decisivo si può identificare con la “finanza creativa”. Questo è più difficile da spiegare. In un sistema liberista come il nostro, privo di sostanziali controlli correttivi dei mercati, è possibile operare delle transazioni finanziarie che siano completamente slegate dall’economia reale. Si tratta di operazioni funamboliche, giocate tutte sulla speculazione (sulla base cioè della speranza di un futuro guadagno) ma le cui conseguenze vengono spostate dal soggetto speculatore ad un altro soggetto, come un istituto bancario o, più facilmente, uno o più risparmiatori. Strumenti essenziali alla finanza creativa, sono le cartolarizzazioni e l’emissione di derivati. La cartolarizzazione è la cessione di attività o beni di una società definita tecnicamente originator, attraverso l'emissione ed il collocamento di titoli obbligazionari. Il credito viene ceduto a terzi, e il rimborso dovrebbe garantire la restituzione del capitale e delle cedole di interessi indicate nell'obbligazione. Se il credito diviene inesigibile, chi compra titoli cartolarizzati perde sia gli interessi che il capitale versato. Uno strumento derivato è considerato ogni contratto o titolo il cui prezzo è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi, ecc.). I derivati hanno raggiunto solo recentemente una diffusione enorme nel mondo grazie alla globalizzazione dei mercati e alla contestuale introduzione dei computer per il calcolo di prezzi in relazione talvolta complessa tra loro. Esistono derivati strutturati per ogni esigenza e basati su qualsiasi variabile, perfino la quantità di neve caduta in una determinata zona. Gli utilizzi principali sono:arbitraggio, speculazione e copertura (detta hedging). Ora, appare evidente anche ad un profano che si tratta di mezzi che, se non regolamentati, possono provocare distorsioni assai negative. Un esempio: un prodotto strutturato come un derivato può comportarsi, se mal gestito da biechi speculatori, come una cambiale: il titolo passa di mano n mano, rimandando ad un debitore futuro che, alla fine della catena, risulterà insolvibile. A questo punto l’ultimo anello della catena rimane col cerino in mano e deve portare il credito in perdita. Sono i famosi “incagli”, le sofferenze di banche e istituzioni. Il derivato, così utilizzato, diventa come un gioco di scatole cinesi vuote; per questo i derivati vengono definiti “strumenti di carta”. E’ evidente il totale ed assoluto svincolamento dall’economia reale, si tratta di giocare un gioco pericoloso, che non si fonda sul lavoro e sull’impresa, ma solo sui trucchi speculativi della borsa. Precisiamo meglio, a questo proposito il concetto di speculazione in finanza. Il concetto di speculazione finanziaria indica soltanto l’assunzione di forti rischi, il prendere posizione sulla base di aspettative non immediatamente visibili all’orizzonte. In pratica, a differenza degli investitori, gli speculatori non sono tanto interessati ai titoli in sé e a come procede l’attività sottostante i prodotti finanziari che acquistano, ma semplicemente al movimento (in senso di salita o discesa delle quotazioni) dei medesimi. Lo speculatore è uno che scommette, che rischia. A volte guadagna anche molto bene, a volte perde. Ora, è ovvio che una sana speculazione è necessaria ai mercati, è naturale, rientra nella loro logica, ma non va più bene quando si concentra sulle valute dei paesi a rischio default o non è regolamentata e concede agli speculatori di osservare come vanno i mercati onde avere il tempo di ritirare o perfezionare le loro transazioni. Il concetto di speculazione è di per sé aleatorio: come precisato sopra lo speculatore può accumulare profitti se abile e fortunato, può perdere se meno abile o sfortunato. Ma in una situazione come quella attuale (che tuttora perdura) i margini di rischio per lo speculatore sono estremamente ridotti. Per questo di parla di mercato deregolamentato. In ogni caso, per convenzione, l’inizio della crisi finanziario è identificato con il primo, grande fallimento di un gruppo bancario americano, la Lehman & Brothers. La crisi, prendendo le mosse dalla bolla immobiliare, si è propagata a macchia d’olio, anche in Europa, coinvolgendo i settori più vulnerabili del vecchio continente, la finanza creativa di cui parlavamo, una finanza disancorata dall’economia e dalla realtà, un gioco come il Monopoli, ma che porta a delle conseguenze ben diverse dal Monopoli. La propagazione immediata del contagio in altri settori della finanza è dovuto alla cosiddetta “globalizzazione”. Possiamo dire tutto il male possibile della globalizzazione, dal momento che, per noi europei, non ne sono derivati che dispiaceri. Siamo stati tutti felici ed orgogliosi nell’assistere alla memorabile pagina di storia rappresentata dalla caduta del muro di Berlino. Peccato che, da quel momento in poi, ha avuto inizio il nostro declino. Il capitalismo come lo abbiamo concepito noi occidentali funzione solo nei sistemi chiusi. Fino a quando le economie erano divise in due blocchi contrapposti e isolati, quello dei paesi cosiddetti socialista e quelli occidentali, le cose sono andate per il meglio. Dal momento in cui il capitalismo e il liberismo senza regole hanno dilagato in tutto il mondo, le nazioni colonizzate dalla vecchi Europa hanno trovato la loro rivalsa sugli antichi colonizzatori. Paesi dove il costo del lavoro è un dodicesimo del nostro, paesi giovani, con voglia di crescere e capaci di riprodurre il nostro stesso know how, si sono messi nella conduzione di produrre i nostri stessi articoli con costi enormemente inferiori e con lo stesso standard di qualità. Tutto questo ha contribuito a far nascere, anche in quei luoghi, una classe media che ha dato vita ad un mercato potenzialmente enorme e capace di rilanciare dei consumi non paragonabili ai nostri. Tutto questo non ha fatto altro che impoverire i nostri paesi, un tempo potenze economiche indiscusse, ed ora costretti a chiudere buona parte delle loro imprese, o, come si dice oggi, a “delocalizzarle”. Da qui prende le mosse la crisi economica, cominciata come crisi finanziaria. Sotto il profilo finanziario, appunto, gli speculatori, un pugno di uomini, perlopiù banchieri ebrei americani, tengono in scacco, con le loro facili speculazioni, i mercati mondiali. In questo panorama giocano un ruolo fondamentale e discusso, le agenzie di rating. Tali agenzie, Moody’s, Standard & Poor e Fitch, ben lungi da essere indipendenti e super partes, hanno assunto un enorme potere. I loro giudizi sulle nazioni e sui loro debiti sovrani, hanno il potere di spostare milioni di euro al giorno, sono in grado di condizionare le sorti economico finanziarie di nazioni intere, come Grecia, Irlanda e Portogallo. Legittimamente il sospetto che non siano completamente indipendenti è chiaramente fondato, e sarebbe buona norma sostituire le valutazioni di queste discusse agenzie, con degli organismi internazionali, come il Fondo Monetario, che offrono una maggiore garanzia di obiettività. La crisi economica si è dunque innescata su quella finanziaria. Molti imprenditori italiani, con la scusa della crisi e della stretta creditizia messa in opera dalle banche italiane (non a torto) hanno colto l’occasione, che accarezzavano magari da tempo, e hanno spostato le loro fabbriche o le loro aziende nell’est europeo, o in paesi asiatici come la Mallaysia o l’Indonesia. La crisi economica, così sviluppatasi, ha determinato una svolta epocale per il nostro paese e per l’Europa. Per il nostro paese, che non sarà, tra qualche anno, più un paese dotato di una industria  pesante, tutto ciò si traduce nella scomparsa di una intera classe sociale, quella dei metalmeccanici. Chi ci governa dovrebbe cominciare seriamente ad una riconversione dell’Italia, cercando di valorizzare l’unico patrimonio che possediamo: il patrimonio storico artistico. Ma finchè ministeri considerati chiave per lo sviluppo continuano ad essere destinati a gente come la Signora Brambilla, francamente è difficile essere ottimisti. Una persona che per prima cosa, una volta occupato il dicastero, pensa a sistemare il suo parentado, non offre delle grandi garanzie di abilità professionale. E così, mentre paesi come la Grecia (per l’inettitudine e la corruzione dei suoi dirigenti), l’Irlanda (per aver giocato con la finanza creativa senza possedere una economia in grado di produrre alcunché, se non un modesto quantitativo di birra) e il Portogallo, (nazione endemicamente arretrata per un fatto storico e strutturale), sono stati salvati da iniezioni di liquidità da parte dell’UE, un secondo gruppo di paesi (Spagna, Italia e Belgio) stanno cercando di uscire dalle sabbie mobili dei paesi in default, con sforzi non sempre premiati dai mercati e dalle agenzie di rating (oltre che dalla speculazione). Un discorso a parte merita il debito sovrano dei singoli paesi. Per debito sovrano, grosso modo, si intende il debito pubblico. Gli stati in crisi per uno sfavorevole rapporto debito pubblico/PIL devono ricorrere alle famose "aste" dei titoli di stato allo scopo di farsi prestare soldi dai cittadini. Per conseguire questo scopo gli interessi che gli stati devono pagare sulle obbligazioni emesse devono essere appetibili, pena trovarsi di fronte ad un'asta andata deserta. Come ci si regola per stabilire il tasso di interesse considerato "equilibrato " sia per lo stato che per i cittadini.? Si prendono come riferimento i "bund" tedeschi, i titoli di stato della Germania, considerata la pietra di paragone per i titoli di stato europei. Lo "spread", espresso in punti, stabilisce la distanza tra le emissioni dei titoli degli stati europei in confronto a quelli tedeschi, Più alto è lo spread e più il paese che emette titoli con interessi vertiginosi si avvicina alla bancarotta. E' intuitivo che se uno stato è costretto a ricorrere ad emissioni ad alto o altisimo interesse non farà altro che avvitarsi su se stesso, ed entrare in una spirale senza fine che porterà al collasso delle finanze statali. Di positivo occorre sottolineare che, in questo primo scorcio del 2011 l’Europa ha compreso che nessun paese può mettersi al sicuro uscendo dall’euro. Abbiamo finalmente compreso che dobbiamo uscirne tutti insiemi, uniti sotto la moneta unica, unico scudo contro la volatilità dei mercati. Certo, il debito pubblico fuori misura dell’Italia rappresenta anche il suo tallone d’Achille, ma dobbiamo aggiungere, come ha correttamente osservato il ministro Tremonti, che occorre considerare accanto al debito pubblico anche quello privato, che solleverebbe l’Italia al di sopra di altri paesi europei, il cui sistema bancario non è paragonabile al nostro. In conclusione, proprio adesso che cominciavano ad arrivare segnali positivi dalla finanza, è proprio l’economia che sta zavorrando la finanza e i mercati. La nostra crescita è risibile, se non inesistente: una crescita dell’1% fa pensare ad un dato di facciata, che nasconde un’altra ben triste realtà: il fatto che l’italia sia a crescita zero, si trovi cioè in quella che si chiama stagnazione. E poi, nel mondo globalizzato, qualsiasi fenomeno di una certa entità ha riflessi più o meno diretti sull’andamento dei mercati e delle borse. La crisi del mondo arabo e la tragedia nucleare giapponese ne sono due eclatanti esempi. Se va in bancarotta un paese con pochi milioni di abitanti come l’Irlanda, il contraccolpo non è mortale, se cade un paese come l’italia, un paese da un mille miliardi di Euro, il botto è talmente grande da coinvolgere il mondo intero. Per questo crediamo che sia scongiurata l’ipotesi di un nostro default. Resta però l’incognita del “cigno nero”, quell’imprevisto, quell’imponderabile sempre in agguato, che può modificare gli interi assetti economici mondiali. Ricordiamo, con Tremonti, che la bolla dei derivati deve ancora esplodere e che le casse delle nostre banche e dei nostri enti locali ne sono intossicate. Prepariamoci ad un altro scossone. Ma fortunatamente il nostro sistema bancario, grazie ai risparmiatori e grazie alla politica di nostri istituti di credito, riluttanti a concedere prestiti a vuoto, offrono delle discrete garanzie di solidità.
Questo, grossomodo, è lo stato delle cose. Non è, ancora una volta, possibile fare previsioni che vadano aldilà di qualche mese. Cerchiamo di capire sempre di più, ma non seguiamo l’andamento delle borse giornalmente: ci sono spesso rimbalzi e controrimbalzi, poi, dopo un certo periodo di tempo, si arriva in genere ad una stabilizzazione. Investiamo allora con la maggiore oculatezza possibile, senza farci prendere dal panico, e senza stare incollati ai listini tutti i giorni. In un modo o nell’altro, se l’euro continua a fornirci un indispensabile ombrello, dovremmo poterne uscire senza le ossa rotte.


mercoledì 16 marzo 2011

L'ITALIA E' UN TRISTE PAESE

Purtroppo, una volta di più, non possiamo che constatare la povertà dei nostri mezzi, l’inefficacia delle nostre misure, la miseria delle nostre coscienze. Davanti al disastro storico di Fukushima, al terremoto di uno dei massimi gradi della scala Richter, al conseguente tsunami, la reazione dei giapponesi non può che suscitare la nostra ammirazione, che dico, la nostra più profonda e sincera compassione. Ma noi, in cuor nostro, sappiamo fin troppo bene come avremmo reagito in circostanze simili. Non si tratta qui di fare dell’autolesionismo, di autoflagellarci come qualcuno asserisce, soprattutto da una certa parte politica. Qui si tratta solo di guardare in faccia la realtà. Anzitutto un terremoto di magnitudo 8.9 avrebbe cancellato una buona metà della penisola; la cementificazione anarchica e la non osservanza dei più elementari criteri idrogeologici avrebbero fatto il resto. Già solo dopo un simile terremoto e maremoto ci saremmo pianti addosso per i prossimi dieci anni e i nostri politicanti si sarebbero sbranati come cani rabbiosi pur di scaricare le colpe del consueto “disastro annunciato”. Se poi al terremoto, si fosse aggiunto l’incidente nucleare, il panico più totale si sarebbe impadronito di tutti, cittadini ed istituzioni. Ora, la compostezza ed il senso altissimo di dignità che contraddistingue, in queste ore, il popolo giapponese, sono tali da meritare almeno una riflessione commossa da parte nostra. Come non pensare ai 50 tecnici giapponesi che, esponendosi consapevolmente ad un livello intollerabile di radiazioni, allo scopo di garantire i primi interventi sui reattori, hanno sacrificato le loro vite per adempiere al loro dovere... La sera stessa del terremoto, nel corso di una trasmissione condotta da Andrea Vianello su RAI3, tra gli invitati compariva anche un economista, che, dopo un conteggio sommario dei morti, si è messo a formulare previsioni sulle possibili reazioni dei mercati e sulle probabili ricadute del disastro sulle nostre economie. A questo siamo arrivati. Non abbiamo neppure il pudore di aspettare l’assestamento del cataclisma, che già siamo pronti a far i conticini di casa nostra. E’ evidente che la terza economia mondiale condizionerà le nostre finanze, ma dobbiamo considerare che, a differenza della nostra inclinazione alla sceneggiata, il popolo nipponico non solo sopravviverà, ma saprà trovare certamente le risorse per risalire la china, con buona volontà e senza troppi vittimismi. Come è triste il confronto con gli altri paesi! Abbiamo una classe politica inconcludente pilotata da uno bizzarro personaggio, e le caratteristiche generali di noi italiani non raggiungono certo l’eccellenza. Non è vero che i popoli, le nazioni sono tutti uguali. La nostra costante, ipocrita paura di scivolare nel razzismo ci fodera gli occhi di mortadella. Non ci possiamo paragonare che so, al popolo olandese, che, avendo a disposizione un solo lembo di terra, ha strappato un terzo del territorio al mare, e ha dominato gli oceani per parecchi decenni. Il nostro porto di Genova, pur possedendo enormi potenzialità, per la cecità e la cupidigia di chi lo ha amministrato (e dei lavoratori stessi) è stato ampiamente surclassato dal porto di Rotterdam. Non si tratta, come è evidente, di differenze razziali, ma di popoli che si sono costituiti, secoli fa, in nazioni. Noi italiani tolleriamo che, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’unità nazionale, un partito politico facente parte della maggioranza di governo, non solo non partecipi alle celebrazioni,  ma che le  boicotti deliberatamente. Si tratta di un partito separatista, che mira, nella sostanza, alla secessione di una parte del paese. Ma il solo fatto che esponenti leghisti del governo dileggino apertamente i festeggiamenti dell’unità nazionale, è semplicemente intollerabile. L’immagine del nostro paese all’estero è ormai grottesca: ci troviamo a metà strada tra i paesi dell’america latina e quelli di tipo “presidenziale” africani. Se non siamo alla bancarotta statale (non bancaria!) è solo perchè l’Europa, quella vera, costituita da Germania, Francia, Regno Unito e Olanda, ha deciso di serrare i ranghi e mantenere in vita lo scudo dell’euro, cercando di non escludere nessuno, compresi i paesi dal debito sovrano fuori misura. Se per un motivo imponderabile, ma sempre possibile, considerando quello che sta accadendo (crisi del mondo arabo, incidente nucleare in Giappone), dovessimo tornare alla nostra valuta nazionale, saremmo rovinati nel giro di poche settimane.
Non è vero, allora, che tutti i popoli sono uguali, a noi è toccato in sorte di nascere a queste latitudini, non possiamo fare altro che rassegnarci, o, per chi se lo può permettere, trasferirsi in qualche posto meno incline alla farsa e più propenso al “buon governo”.

martedì 15 marzo 2011

HIROSHIMA MON AMOUR

Pubblico il seguente articolo di Elena Pomelli (Il sole 24 ore) per la sua concisione e al tempo stesso accuratezza di analisi della terrificante situazione dei reattori giapponesi di Fukushima, un nome destinato a diventarci tristemente familiare. Ribadisco che a tutt’oggi non siamo in grado di capire perfettamente quello che sta accadendo, soprattutto nel famigerato reattore 2, dove, purtroppo, si teme la fusione del nocciolo, che in questo malaugurato caso provocherebbe la fuoriuscita di materiale nucleare che si infiltrerebbe nel terreno sottostante, provocando un danno paragonabile a quello di Chernobil, dal momento che nell’incidente di Three Mile island, nonostante la fusione del nocciolo stesso,  non si ebbe fuoriuscita di materiale radioattivo disperso nell’ambiente. La presenza di plutonio, e la non adamantina fama del gestore della centrale farebbero temere il peggio. Si tratta, come più volte ripetuto, della centrale meno avanzata del paese e la cui manutenzione è affidata ad una società che in passato si era distinta per scarsa trasparenza e professionalità. Le sorti del Giappone e, in fondo, del mondo sono legate ancora ad un filo di speranza.  

La crisi nucleare giapponese si sta aggravando. Dopo le esplosioni verificatesi nei reattori 1 e 3 della centrale di Fukushima Daiichi, con relativa fuoriuscita di radioattività, è ora il surriscaldamento del reattore 2 a tenere il mondo con il fiato sospeso.
In questa unità, l'ultima esplosione non ha fatto saltare il tetto come negli altri casi e quindi potrebbe aver danneggiato le strutture interne di contenimento.
L'acqua di mare che viene pompata continuamente per raffreddare il nocciolo, infatti, sparisce a una velocità superiore rispetto ai normali tempi di evaporazione, di conseguenza c'è il sospetto di una perdita dalla camera interna del reattore. L'altra ipotesi è che la temperatura sia talmente alta all'interno da far evaporare l'acqua molto più in fretta del previsto. 
L'esplosione è da ricondursi, come negli altri casi, alla tendenza dell'acqua a dividersi in ossigeno e idrogeno, in presenza di metallo. L'idrogeno può esplodere al contatto con l'aria esterna, quando viene sfiatato per diminuire la pressione. Ma da qui a danneggiare la camera interna del reattore, ce ne corre. Il combustibile nucleare è contenuto in un rivestimento, che a sua volta è alloggiato in un cilindro d'acciaio chiamato "vessel". Attorno a questo c'è un'altra struttura blindata di cemento armato di spessore notevole, che resiste anche alle bombe atomiche. Poi c'è una terza barriera, a prova di bomba, che racchiude tutta l'area nucleare nel cemento armato speciale spesso un paio di metri. L'esplosione dell'idrogeno è avvenuta all'esterno di queste tre barriere.

L'azienda elettrica Tepco e l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare Nipponica (NISA) ritengono che le strutture di contenimento del reattore non siano state danneggiate, ma è stato comunque chiesto l'aiuto dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. Secondo la Nisa, le possibilità di un'estesa fuga di vapore radioattivo dalla centrale sono "estremamente basse", mentre l'Aiea ha per il momento classificato l'incidente di Fukushima al livello 4 della scala Ines (nessuna contaminazione radioattiva dell'ambiente circostante ma danni a cose e persone a diretto contatto con la camera di sicurezza del reattore). La struttura di contenimento del reattore numero 2 della centrale nucleare di Fukushima in Giappone «non ha più tenuta stagna» ha dichiarato alla stampa il presidente dell'Autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn), André-Claude Lacoste.
In realtà, dopo l'ultima esplosione questa classificazione non è più corretta, perché sono stati registrati livelli pericolosi di radioattività nel giro di 30 chilometri dalla centrale e picchi anomali anche a Tokyo, a 250 chilometri di distanza, seppure non pericolosi per la salute umana.
Nel cuore del reattore, intanto, la temperatura continua a salire. L'azienda elettrica Tepco ha ammesso che il processo di raffreddamento non si è ancora stabilizzato e quindi le barre di combustibile del reattore 2 sono state esposte per tre volte, con inizio di fusione del nocciolo. Probabilmente anche nelle unità 1 e 3 le barre sono state esposte per un certo tempo. Bisognerebbe sapere quanto tempo è durata l'esposizione per capire se siamo arrivati alla fusione del nocciolo. Questo avviene se il sistema di raffreddamento non riesce a star dietro alle perdite d'acqua dovute all'evaporazione (o altro) e la temperatura all'interno del vessel diventa così alta da danneggiare o disallineare le barre di uranio e grafite spesse un centimetro, che bombardate di neutroni producono calore. La fissione allora diventa incontrollata e nel giro di qualche ora porta alla fusione. "Non possiamo controllare se sta accadendo, ma è probabile", ha detto il capo di gabinetto del governo di Tokyo, Yukio Edano.
Una fusione del nocciolo non è ancora la peggiore delle ipotesi. Nel caso dell'incidente di Three Mile Island, il nocciolo fuso è rimasto all'interno del vessel, senza far danni all'esterno. Con la fusione, però, le barre di uranio possono raggiungere temperature fino a duemila gradi, nel qual caso potrebbero bucare le barriere di contenimento e sprofondare nel terreno, rilasciando nell'ambiente quantità massicce di materiale radioattivo. Questa è la peggiore delle ipotesi. Sarebbe la prima volta nella storia. Per evitarlo, bisogna puntare a riprendere il controllo del processo di raffreddamento, sperando che le barriere di contenimento tengano fino a quando la temperatura nel vessel comincerà a diminuire. E' quello che i tecnici giapponesi stanno cercando di fare.
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