domenica 6 marzo 2011

L'ULTIMO SPETTACOLO


Per chi, come me, ha profondamente amato la stagione dei cantautori, li ha vissuti, ha assimilato le loro idee, le loro poesie messe in musica, assistere all’esibizione di Roberto Vecchioni al Festival di Sanremo non è stato un bello spettacolo. Da sempre Sanremo ha rappresentato un’idea ci canzone leggera e melodica lontana dall’impegno e dai contenuti. E’ vero che molti artisti lo hanno utilizzato come trampolino di lancio, esprimendosi, successivamente a ben altri livelli (anche Francesco De Gregori presentò la sua “Alice” al “Un disco per l’estate”), ma si è trattato di rare eccezioni, e quasi mai di artisti che scrivevano sia i testi che le musiche dei pezzi che presentavano. I cantautori che si sono avvicendati in questa kermesse canora sono stati, appunto, pochissimi: un Ivan Graziani dalla vena essiccata, Pierangelo Bertoli con i Tazenda, e pochissimi altri. Ma il discorso va inquadrato in un più ampio discorso: la generazione cantautoriale degli anni settanta, ha ormai un’età che supera i sessant’anni. Alcuni di loro, come Francesco Guccini, il più colto dei cantautori, ha scelto di non scrivere più canzoni, altri, come Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Eugenio Finardi, Ivano Fossati, hanno rallentato notevolmente la produzione, consapevoli del fatto che, trascorso il periodo della creatività più fervida, la loro opere cominciavano a prender un carattere di maniera, era un po’ come continuare a proporre stancamente la stessa canzone. Quanto detto vale soprattutto per un autore come Claudio Baglioni, che, dopo aver conosciuto un successo di pubblico come nessun altro, si ostina a riproporre delle pesantissime litanie senza capo né coda. Si apre qui il problema di quando, per un autore di successo, venga il momento di smettere, e di ritirarsi a vita privata. Con la sola eccezione di Guccini, tutti gli altri, a vario titolo, continuano, pur avendo 60 – 65 anni, a fare uscire delle compilation, delle cover, con qualche rarissimo brano inedito e cercare così di fare cassetta. Si tratta di operazioni commerciali che, fortunatamente, sono per la quasi totalità, destinate a fallire. La stagione dei cantautori, a cavallo fra gli anni settanta e ottanta, non era dovuta al solo, innegabile talento dei singoli autori, ma era soprattutto figlia dei tempi, di un fermento politico e sociale, un clima di voglia di cambiamento che, prendendo le mosse dai giovani universitari, aveva pervaso un altro veicolo fondamentale di quegli anni: le radio libere. Senza questo formidabile veicolo di diffusione e di informazione, il successo dei cantautori avrebbe conosciuto altre proporzioni. La stessa ispirazione dei singoli autori, doveva molto all’atmosfera di quegli anni: album storici come “Bufalo bill”, “Radici”, “Sotto il segno dei pesci”, “Agnese dolce Agnese” ecc. non avrebbero mai visto la luce. Per tutti questi motivi dispiace non poco che un autore come Roberto Vecchioni partecipasse ad uno spettacolino canoro di dubbia qualità, dove le canzoni passano in secondo piano, perché il palcoscenico deve essere occupato dalle bellone Belen e Canalis, e da uno spaesatissimo Gianni Morandi. Ma non basta. Vecchioni partecipa con una pessima canzone, i soliti due accordi, corredati da un testo ruffiano e gonfio di retorica, che senza offendere nessuno e riferirsi a nessuno, finisce, come accaduto, coll’accontentare tutti. La vittoria di Sanremo di Roberto Vecchioni corrisponde alla sua peggiore sconfitta. Parliamo del primo cantautore che ha affrontato senza retorica il tema del disagio psichico, la canzone era “sabato stelle” dall’album “Il re non si diverte”. Parliamo dell’autore di “Samarcanda”, di “Canzone per Sergio”, Stranamore” e, soprattutto, quello che può essere indicato come il suo capolavoro “L’ultimo spettacolo”. Ho amato molto le sue canzoni, le ascolto tuttora, vederlo vincitore a Sanremo mi ha messo a disagio, ho avvertito una nota stonata, ho istintivamente accostato la sua canzone con quella, assai più becera, naturalmente, presentata l’anno scorso, da Pupo ed Emanuele Filiberto. Forse penso tutto questo perchè appartengo ad una generazione che ha conosciuto il meglio di questa “eletta schiera”: i giovani di oggi probabilmente vivono questo signore anziano in tutt’altro modo. Ma per chi ha conosciuto il Vecchioni di “Mi manchi” e di “Lettera da Marsala” quello di Sanremo ha costituito una specie di sconfitta. Forse avrebbe fatto meglio a ritirarsi in campagna, a curare l’orto, invece di sfoderare una melassa retorica di cui avremmo volentieri fatto a ameno. Ci vuole coraggio, alto senso di autocritica e consapevolezza, per fare la scelta di Francesco Guccini, ma, considerando che il momento di ritirarsi viene per tutti, speriamo che dopo questa brillante vittoria, Vecchioni guadagni il suo buen retiro in collina, e trascorra le serate alla chitarra, ad allietare gli amici con le sue più riuscite ballate.