venerdì 25 marzo 2011

LISBONA ADDIO

Dopo un lungo periodo di incertezza ed instabilità, con i sempre crescenti spread tra bund e titoli di stato portoghesi, ieri sera sono arrivate le dimissioni del premier Josè Socrates come una liberazione dopo un lungo affanno. Il suo pacchetto di misure draconiane per cercare di raddrizzare le deboli finanze lusitane sono state sfiduciate dal Parlamento, e al Presidente della Repubblica non è rimasto altro da fare che aprire le consultazioni e valutare l’ipotesi di nuove elezione per la seconda metà di maggio. Le agenzie internazionali “Fitch” e “Standard & Poors” hanno tagliato il rating del paese rispettivamente in “A-“ e “BBB”. D’altronde, il Portogallo è in grado di far fronte al debito pubblico contratto con i suoi risparmiatori solamente fino alla scadenza di aprile, non è quasi certamente in grado di rimborsare i 4,3 miliardi di euro in scadenza per il mese di giugno. Entro quella data, nonostante la fiera resistenza delle istituzioni portoghesi, si dovrà fare ricorso all’aiuto da parte del fondo salva-stati dell’UE, già ampiamente annunciato dal presidente Junkers, e consistente in 75 miliardi di euro. Non si tratta, come è facile intuire, di una buona notizia. Intanto perché non è neppure stata trattata come una vera e propria notizia dagli stessi organi di informazione, con la sola eccezione della stampa del settore. Si fa un gran parlare della situazione libica, dello stallo probabile cui andremo incontro come sempre accade quando si inizia un conflitto armato, della tracotanza di un sempre meno sopportabile Sarkozy (ci voleva questa testa di legno per farci apprezzare Berlusconi, con tutte le sue manchevolezze), nessuno parla del fatto che anche il terzo stato del primo gruppo, che racchiude anche Grecia e Irlanda, sia caduto e costretto, con ogni probabilità a dichiarare la propria bancarotta. Il fatto, in sé e di per sé, non modifica sostanzialmente gli assetti economico finanziari dell’Europa; nel corso dell’ultima riunione dell’eurozona è stato semmai stabilito un ampliamento del fondo salva stati, accanto ad altre doverose misure come ulteriori stress test per i sistemi bancari dei singoli stati, e l’ingiunzione di sanzioni agli stati meno virtuosi, che non sono in grado di accorciare il divario tra debito pubblico e PIL. Le conseguenza, viceversa, sono, per così dire, più psicologiche che razionali. Qualcuno comincia già a parlare di “possibile effetto domino per la Spagna” e amenità di questo genere. Ora, occorre precisare una volta per tutte che non esiste nessun contagio per un paese come la Spagna, che versa in una situazione tutt’affatto diversa dal Portogallo: non esiste un effetto contagio come per una malattia infettiva. Ma tant’è, abbiamo imparato che anche gli asettici mercati finanziari sono spesso condizionati da componenti emotive. E poi, non dimentichiamo mai che dopo il primo gruppo, quello dei paesi periferici più deboli, l’Italia fa la sua bella figura nel secondo gruppo, insieme a Spagna e Belgio. La crisi, il pericolo default, per così dire, si sta avvicinando a noi, con la caduta del Portogallo. Per nostra fortuna, almeno per il momento e salvo sorprese sempre possibili, lo spread con i bund tedeschi è ancora contenuto (intorno ai 158 punti), i titoli emessi dal nostro stato non raggiungono i tassi record dell’8% cui è arrivato il Portogallo, il sistema bancario italiano è certamente meglio attrezzato, ma non dimentichiamo che la bolla dei derivati è dietro l’angolo e non sappiamo ancora di sicuro fino a che punto le casse dei nostri istituti di credito ne siano infetti. Dobbiamo, per onestà intellettuale, rendere l’onore delle armi al governo Socrates, che ha fatto quello che ha potuto in una situazione impossibile da gestire. A differenza della Grecia, governata da politicanti corrotti e inetti, e dall’Irlanda, che si è divertita a giocare con la finanza creativa, il Portogallo soffre di una arretratezza strutturale difficilmente colmabile in qualche decennio. Un processo di ammodernamento necessita di tempi lunghi, ed è sacrosanto dare ossigeno ad una nazione che si è comportata con dignità e lealtà e ha cercato di salvarsi con le proprie forze fino all’ultimo respiro. Anche dal piccolo, arretrato Portogallo, abbiamo qualcosa da imparare: magari non per le capacità manageriali, di leadership o di know how, ma in termini di onestà intellettuale e decoro politico. Impariamo, allora, dalla bella lezione di umiltà che ci arriva dai lusitani, che potrebbe arrivare anche per noi, magari in tempi non troppo lontani, il momento di presentarci a Bruxelles con il cappello in mano, per chiedere un aiuto che nessun organismo mondiale sarebbe in grado di fornirci, anche con la migliore buona volontà: la nostra caduta è valutabile intorno al milione di miliardi di euro, una somma talmente astronomica da non esistere nella realtà. Impariamo la lezione portoghese, facciamo quadrato intorno all’euro, sola possibilità di salvezza, cerchiamo di ridurre l’ignominia di una evasine fiscale da primato mondiale, proviamo a ridimensionare i numeri della corruzione dei pubblici amministratori (seconda sola a Romania e Grecia) e cerchiamo di sopportare con pazienza anche i vicini più scomodi, come quel guascone sciovinista di Sarkozy che, per una volta, sta dando di sé e del suo paese una delle immagini più tristi e degradanti degli ultimi cinquant’anni.