venerdì 18 marzo 2011

ORIZZONTI PERDUTI (breve riassunto della crisi)

A gentile richiesta da parte di qualche visitatore, cercheremo di riassumere, in parole semplici, talmente semplici da rischiare l’inesattezza (e di questo mi scuso in anticipo) la situazione economica ai tempi della crisi, soprattutto sotto l’angolazione finanziaria.
L’attuale crisi  prende le mosse da due fattori fondamentali, entrambi diffusi capillarmente negli USA, ma non solo. Il primo, quello dei cosiddetti “mutui subprime” è tutto americano. Con questo termine si intende la concessione da parte delle banche americane di mutui a famiglie che dovevano acquistare una casa ma con l’unico difetto di non essere palesemente in grado di onorare il debito contratto. La prima bolla, dunque, è quella immobiliare. Il secondo fattore decisivo si può identificare con la “finanza creativa”. Questo è più difficile da spiegare. In un sistema liberista come il nostro, privo di sostanziali controlli correttivi dei mercati, è possibile operare delle transazioni finanziarie che siano completamente slegate dall’economia reale. Si tratta di operazioni funamboliche, giocate tutte sulla speculazione (sulla base cioè della speranza di un futuro guadagno) ma le cui conseguenze vengono spostate dal soggetto speculatore ad un altro soggetto, come un istituto bancario o, più facilmente, uno o più risparmiatori. Strumenti essenziali alla finanza creativa, sono le cartolarizzazioni e l’emissione di derivati. La cartolarizzazione è la cessione di attività o beni di una società definita tecnicamente originator, attraverso l'emissione ed il collocamento di titoli obbligazionari. Il credito viene ceduto a terzi, e il rimborso dovrebbe garantire la restituzione del capitale e delle cedole di interessi indicate nell'obbligazione. Se il credito diviene inesigibile, chi compra titoli cartolarizzati perde sia gli interessi che il capitale versato. Uno strumento derivato è considerato ogni contratto o titolo il cui prezzo è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi, ecc.). I derivati hanno raggiunto solo recentemente una diffusione enorme nel mondo grazie alla globalizzazione dei mercati e alla contestuale introduzione dei computer per il calcolo di prezzi in relazione talvolta complessa tra loro. Esistono derivati strutturati per ogni esigenza e basati su qualsiasi variabile, perfino la quantità di neve caduta in una determinata zona. Gli utilizzi principali sono:arbitraggio, speculazione e copertura (detta hedging). Ora, appare evidente anche ad un profano che si tratta di mezzi che, se non regolamentati, possono provocare distorsioni assai negative. Un esempio: un prodotto strutturato come un derivato può comportarsi, se mal gestito da biechi speculatori, come una cambiale: il titolo passa di mano n mano, rimandando ad un debitore futuro che, alla fine della catena, risulterà insolvibile. A questo punto l’ultimo anello della catena rimane col cerino in mano e deve portare il credito in perdita. Sono i famosi “incagli”, le sofferenze di banche e istituzioni. Il derivato, così utilizzato, diventa come un gioco di scatole cinesi vuote; per questo i derivati vengono definiti “strumenti di carta”. E’ evidente il totale ed assoluto svincolamento dall’economia reale, si tratta di giocare un gioco pericoloso, che non si fonda sul lavoro e sull’impresa, ma solo sui trucchi speculativi della borsa. Precisiamo meglio, a questo proposito il concetto di speculazione in finanza. Il concetto di speculazione finanziaria indica soltanto l’assunzione di forti rischi, il prendere posizione sulla base di aspettative non immediatamente visibili all’orizzonte. In pratica, a differenza degli investitori, gli speculatori non sono tanto interessati ai titoli in sé e a come procede l’attività sottostante i prodotti finanziari che acquistano, ma semplicemente al movimento (in senso di salita o discesa delle quotazioni) dei medesimi. Lo speculatore è uno che scommette, che rischia. A volte guadagna anche molto bene, a volte perde. Ora, è ovvio che una sana speculazione è necessaria ai mercati, è naturale, rientra nella loro logica, ma non va più bene quando si concentra sulle valute dei paesi a rischio default o non è regolamentata e concede agli speculatori di osservare come vanno i mercati onde avere il tempo di ritirare o perfezionare le loro transazioni. Il concetto di speculazione è di per sé aleatorio: come precisato sopra lo speculatore può accumulare profitti se abile e fortunato, può perdere se meno abile o sfortunato. Ma in una situazione come quella attuale (che tuttora perdura) i margini di rischio per lo speculatore sono estremamente ridotti. Per questo di parla di mercato deregolamentato. In ogni caso, per convenzione, l’inizio della crisi finanziario è identificato con il primo, grande fallimento di un gruppo bancario americano, la Lehman & Brothers. La crisi, prendendo le mosse dalla bolla immobiliare, si è propagata a macchia d’olio, anche in Europa, coinvolgendo i settori più vulnerabili del vecchio continente, la finanza creativa di cui parlavamo, una finanza disancorata dall’economia e dalla realtà, un gioco come il Monopoli, ma che porta a delle conseguenze ben diverse dal Monopoli. La propagazione immediata del contagio in altri settori della finanza è dovuto alla cosiddetta “globalizzazione”. Possiamo dire tutto il male possibile della globalizzazione, dal momento che, per noi europei, non ne sono derivati che dispiaceri. Siamo stati tutti felici ed orgogliosi nell’assistere alla memorabile pagina di storia rappresentata dalla caduta del muro di Berlino. Peccato che, da quel momento in poi, ha avuto inizio il nostro declino. Il capitalismo come lo abbiamo concepito noi occidentali funzione solo nei sistemi chiusi. Fino a quando le economie erano divise in due blocchi contrapposti e isolati, quello dei paesi cosiddetti socialista e quelli occidentali, le cose sono andate per il meglio. Dal momento in cui il capitalismo e il liberismo senza regole hanno dilagato in tutto il mondo, le nazioni colonizzate dalla vecchi Europa hanno trovato la loro rivalsa sugli antichi colonizzatori. Paesi dove il costo del lavoro è un dodicesimo del nostro, paesi giovani, con voglia di crescere e capaci di riprodurre il nostro stesso know how, si sono messi nella conduzione di produrre i nostri stessi articoli con costi enormemente inferiori e con lo stesso standard di qualità. Tutto questo ha contribuito a far nascere, anche in quei luoghi, una classe media che ha dato vita ad un mercato potenzialmente enorme e capace di rilanciare dei consumi non paragonabili ai nostri. Tutto questo non ha fatto altro che impoverire i nostri paesi, un tempo potenze economiche indiscusse, ed ora costretti a chiudere buona parte delle loro imprese, o, come si dice oggi, a “delocalizzarle”. Da qui prende le mosse la crisi economica, cominciata come crisi finanziaria. Sotto il profilo finanziario, appunto, gli speculatori, un pugno di uomini, perlopiù banchieri ebrei americani, tengono in scacco, con le loro facili speculazioni, i mercati mondiali. In questo panorama giocano un ruolo fondamentale e discusso, le agenzie di rating. Tali agenzie, Moody’s, Standard & Poor e Fitch, ben lungi da essere indipendenti e super partes, hanno assunto un enorme potere. I loro giudizi sulle nazioni e sui loro debiti sovrani, hanno il potere di spostare milioni di euro al giorno, sono in grado di condizionare le sorti economico finanziarie di nazioni intere, come Grecia, Irlanda e Portogallo. Legittimamente il sospetto che non siano completamente indipendenti è chiaramente fondato, e sarebbe buona norma sostituire le valutazioni di queste discusse agenzie, con degli organismi internazionali, come il Fondo Monetario, che offrono una maggiore garanzia di obiettività. La crisi economica si è dunque innescata su quella finanziaria. Molti imprenditori italiani, con la scusa della crisi e della stretta creditizia messa in opera dalle banche italiane (non a torto) hanno colto l’occasione, che accarezzavano magari da tempo, e hanno spostato le loro fabbriche o le loro aziende nell’est europeo, o in paesi asiatici come la Mallaysia o l’Indonesia. La crisi economica, così sviluppatasi, ha determinato una svolta epocale per il nostro paese e per l’Europa. Per il nostro paese, che non sarà, tra qualche anno, più un paese dotato di una industria  pesante, tutto ciò si traduce nella scomparsa di una intera classe sociale, quella dei metalmeccanici. Chi ci governa dovrebbe cominciare seriamente ad una riconversione dell’Italia, cercando di valorizzare l’unico patrimonio che possediamo: il patrimonio storico artistico. Ma finchè ministeri considerati chiave per lo sviluppo continuano ad essere destinati a gente come la Signora Brambilla, francamente è difficile essere ottimisti. Una persona che per prima cosa, una volta occupato il dicastero, pensa a sistemare il suo parentado, non offre delle grandi garanzie di abilità professionale. E così, mentre paesi come la Grecia (per l’inettitudine e la corruzione dei suoi dirigenti), l’Irlanda (per aver giocato con la finanza creativa senza possedere una economia in grado di produrre alcunché, se non un modesto quantitativo di birra) e il Portogallo, (nazione endemicamente arretrata per un fatto storico e strutturale), sono stati salvati da iniezioni di liquidità da parte dell’UE, un secondo gruppo di paesi (Spagna, Italia e Belgio) stanno cercando di uscire dalle sabbie mobili dei paesi in default, con sforzi non sempre premiati dai mercati e dalle agenzie di rating (oltre che dalla speculazione). Un discorso a parte merita il debito sovrano dei singoli paesi. Per debito sovrano, grosso modo, si intende il debito pubblico. Gli stati in crisi per uno sfavorevole rapporto debito pubblico/PIL devono ricorrere alle famose "aste" dei titoli di stato allo scopo di farsi prestare soldi dai cittadini. Per conseguire questo scopo gli interessi che gli stati devono pagare sulle obbligazioni emesse devono essere appetibili, pena trovarsi di fronte ad un'asta andata deserta. Come ci si regola per stabilire il tasso di interesse considerato "equilibrato " sia per lo stato che per i cittadini.? Si prendono come riferimento i "bund" tedeschi, i titoli di stato della Germania, considerata la pietra di paragone per i titoli di stato europei. Lo "spread", espresso in punti, stabilisce la distanza tra le emissioni dei titoli degli stati europei in confronto a quelli tedeschi, Più alto è lo spread e più il paese che emette titoli con interessi vertiginosi si avvicina alla bancarotta. E' intuitivo che se uno stato è costretto a ricorrere ad emissioni ad alto o altisimo interesse non farà altro che avvitarsi su se stesso, ed entrare in una spirale senza fine che porterà al collasso delle finanze statali. Di positivo occorre sottolineare che, in questo primo scorcio del 2011 l’Europa ha compreso che nessun paese può mettersi al sicuro uscendo dall’euro. Abbiamo finalmente compreso che dobbiamo uscirne tutti insiemi, uniti sotto la moneta unica, unico scudo contro la volatilità dei mercati. Certo, il debito pubblico fuori misura dell’Italia rappresenta anche il suo tallone d’Achille, ma dobbiamo aggiungere, come ha correttamente osservato il ministro Tremonti, che occorre considerare accanto al debito pubblico anche quello privato, che solleverebbe l’Italia al di sopra di altri paesi europei, il cui sistema bancario non è paragonabile al nostro. In conclusione, proprio adesso che cominciavano ad arrivare segnali positivi dalla finanza, è proprio l’economia che sta zavorrando la finanza e i mercati. La nostra crescita è risibile, se non inesistente: una crescita dell’1% fa pensare ad un dato di facciata, che nasconde un’altra ben triste realtà: il fatto che l’italia sia a crescita zero, si trovi cioè in quella che si chiama stagnazione. E poi, nel mondo globalizzato, qualsiasi fenomeno di una certa entità ha riflessi più o meno diretti sull’andamento dei mercati e delle borse. La crisi del mondo arabo e la tragedia nucleare giapponese ne sono due eclatanti esempi. Se va in bancarotta un paese con pochi milioni di abitanti come l’Irlanda, il contraccolpo non è mortale, se cade un paese come l’italia, un paese da un mille miliardi di Euro, il botto è talmente grande da coinvolgere il mondo intero. Per questo crediamo che sia scongiurata l’ipotesi di un nostro default. Resta però l’incognita del “cigno nero”, quell’imprevisto, quell’imponderabile sempre in agguato, che può modificare gli interi assetti economici mondiali. Ricordiamo, con Tremonti, che la bolla dei derivati deve ancora esplodere e che le casse delle nostre banche e dei nostri enti locali ne sono intossicate. Prepariamoci ad un altro scossone. Ma fortunatamente il nostro sistema bancario, grazie ai risparmiatori e grazie alla politica di nostri istituti di credito, riluttanti a concedere prestiti a vuoto, offrono delle discrete garanzie di solidità.
Questo, grossomodo, è lo stato delle cose. Non è, ancora una volta, possibile fare previsioni che vadano aldilà di qualche mese. Cerchiamo di capire sempre di più, ma non seguiamo l’andamento delle borse giornalmente: ci sono spesso rimbalzi e controrimbalzi, poi, dopo un certo periodo di tempo, si arriva in genere ad una stabilizzazione. Investiamo allora con la maggiore oculatezza possibile, senza farci prendere dal panico, e senza stare incollati ai listini tutti i giorni. In un modo o nell’altro, se l’euro continua a fornirci un indispensabile ombrello, dovremmo poterne uscire senza le ossa rotte.