domenica 20 marzo 2011

UN UOMO QUALUNQUE

E così, non contenti del lungo periodo senza conflitti all’interno dell’Europa, dopo una settantina d’anni, ci siamo portati un conflitto armato alle soglie di casa nostra. Si dirà che la Libia era oppressa da un dittatore feroce e sanguinario, che ha massacrato il suo stesso popolo, armando milizie di mercenari, che è stato così pazzo e criminale da non capire che dopo oltre quarant’anni di governo assoluto fosse suonata la campana della storia anche per lui, come per Ben Alì in Tunisia e per Mubarak in Egitto. Tutto vero, ma si può eccepire che tutte queste cose le sapevamo anche venti anni fa. E nonostante tutto, con questo signore, dominatore assoluto e monarca della sua terra, abbiamo fatto grandi e convenienti affari (con l’ENI per il petrolio, con Unicredit per la parte finanziaria), ci siamo genuflessi, consentendogli di farneticare sulla dominazione italiana che avrebbe ridotto in miseria la sua gente (quando, al contrario, l’abbiamo arricchita di infrastrutture senza guadagnare il becco di un quattrino), gli abbiamo baciato la mano, gli abbiamo consentito di piantare le sue ridicole tende ovunque, lo abbiamo accolto sempre, con tutti gli onori, anche quando si è presentato vestito come un pagliaccio da circo. Dopo le fraterne dichiarazioni di eterna amicizia, seguite allo svolgimento da parte dello spietato dittatore della funzione di controllo delle sue frontiere marine, impedendo un numero impressionante di sbarchi di clandestini sulla nostra penisola, senza mai domandarci che fine avessero fatto i disgraziati che arrivavano sulla costa libica senza la possibilità di imbarcarsi alla volta di Lampedusa. La sorte di questi sciagurati non ci è mai particolarmente premuta: cosa gli succedeva? Svanivano, evaporati nel deserto, venivano ingoiati dalle dune, o, più verosimilmente, terminavano le loro esistenze in qualche terrificante gattabuia libica?
Ecco, adesso che la guerra è cominciata, perché di guerra si tratta, e ce lo riveleranno molto presto le risposte dei mercati e delle borse, se non bastassero le scarne informazioni ed immagini che ci arrivano dl teatro del conflitto, ecco, dicevo, ora che gli attacchi aerei sono partiti, ci rendiamo improvvisamente conto che c’è qualcosa, da qualche parte, che non gira a dovere, che non funziona. E quello che non funzione è che non si possono fare affari e mantenere rapporti di tenera amicizia con un losco figuro fino a ieri ed oggi, come folgorati sulla via di Damasco, comprendere che avevamo a che fare semplicemente e puramente con un dittatore, feroce o meno, non ha importanza, i dittatori sono tutti uguali, non usano le buone maniere, non dialogano con l’opposizione, mettono anzi in prigione gli oppositori, quando non gli tagliano la testa, opprimono il loro popolo, facendo profitti personali, edificando un sistema autocratico dove il potere è nelle mani di parenti ed amici. Questo hanno sempre fatto i dittatori e non ce ne possiamo accorgere solo adesso. Ma non è tutto. Quel gentiluomo di Barack Obama, smesse le buone maniere di risoluto democratico, ha calato la maschera e ci ha mostrato il volto che non vorremmo mai vedere degli Stati Uniti: quello di poliziotto del mondo. Navigando sulla stessa scia di Nixon, Johnson, Reagan, Bush padre e figlio, ha forzato le mani all’ONU, una specie di Società delle Nazioni che ha sede, guarda caso a New York, fortemente influenzata dalla politica estera americana, e che dopo aver tentennato per parecchi giorni, mentre il rais continuava le sue scorribande sul terreno libico, divertendosi come un ragazzino davanti ad un videogioco, ha rotto gli indugi, ed è pervenuto alla famosa risoluzione 1973, sulla “No fly zone”. Con la sostanziale astensione di Russia e Cina, gli USA hanno preso le redini della situazione, hanno stabilito le loro basi logistiche e il loro comando sul territorio italiano, e sotto il diretto comando di Obama, hanno lasciato l’iniziativa alla NATO, che non è esattamente coincidente con l’ONU. E la NATO, in una delle sua performances migliori, ha dato il meglio di sé travalicando, e non di poco, i limiti chiaramente imposti dalla risoluzione dell’ONU. In luogo di svolgere una azione di controllo e pattugliamento della “No fly zone” sui cieli libici, ha di fatto attaccato militarmente un paese sovrano (è una dittatura, ma resta un paese sovrano, almeno fino a qualche giorno fa era riconosciuto tale da tutti gli organismi internazionali), bombardando le città costiere della Libia, da Bendasi a Tripoli. Cercando sicuramente gli obiettivi ”sensibili”, non lo mettiamo in dubbio, ma provocando altresì, come sempre in questi casi, i famosi “effetti collaterali”, centinaia di morti tra i civili. Ora che è chiaro l’intento di Obama (svolgere funzioni di polizia internazionale, quasi che questo mandato gli fosse arrivato da Domeneddio in persona) e quello di quella testa calda di Sarkozy (il cui intento immediato francamente ci sfugge, ma forse nemmeno esiste), sia la Russia di Putin, che la Cina e soprattutto la Lega Araba cominciano a guardare con una certa perplessità allo svolgersi delle operazioni militari, una perplessità che si tramuterà molto presto in aperto disaccordo e Dio solo sa che altro. Obama e Sarkozy, i due signori che hanno fortemente voluto e scatenato questa ennesima catastrofe, dovranno cercare di far capire alla Lega Araba che quello che stanno facendo è una semplice operazione militare per la salvaguardia delle vite dei civili messe a repentaglio dal feroce dittatore, ma i metodi che sono stati messi in campo non facilitano certo una comprensione di questi intendimenti da parte della Lega. E adesso, finalmente,  Gheddafi può finalmente recitare la parte del martire dei crociati occidentali che hanno mire espansionistiche e neoimperialistiche nei confronti del sacro suolo isalamico. E il bello è che i fatti gli danno ragione. Ha armato il suo popolo, spostando l’attenzione dalla repressione della sua dittatura sull’attacco e sui bombardamenti dei crociati, e ad una possibile, prossima invasione di terra del suolo libico. Se, tra parentesi, si dovesse verificare uno spostamento del teatro bellico dai cieli alla terra, si scatenerebbe un conflitto mondiale tra occidente impazzito e paesi arabi che tornerebbero a farsi ispirare dai fondamentalisti guerrafondai. Non si creda che si tratta di uno scenario troppo spinto. Delle eventuali operazioni terrestri sarebbero destinate non solo ad affondare nel pantano di una guerra di posizione, non solo provocherebbe un altro Afghanistan, ma potrebbe realmente causare la mobilitazione dell’intero mondo islamico, rappresentato dalla Lega Araba, che muoverebbe i suoi eserciti contro i nostri. Qui o ci si ferma subito, o saranno guai seri, per tutti.
Ma torniamo a lui, a quest’uomo qualunque che è Barack Obama. Un uomo senza particolari qualità, se non una discreta presenza, modeste doti di oratore, una quasi assoluta ignoranza nei settori dell’economia e degli esteri. Adesso comprendiamo meglio quanto andavo scrivendo sulle pagine di questo blog tempo fa, vale a dire che un premio Nobel attribuito sulla fiducia, solo per il colore della sua pelle, non è stato solo un atto grottesco, è stato un tragico errore. Questo perfetto signor nessuno, male affiancato e gestito da una pletora di consiglieri fraudolenti, quando non interessati, non è solo un uomo qualunque, è un uomo pericoloso, perché non sa quello che fa. Non si possono affidare le sorti del paese più importante del mondo ad una persona velleitaria, un dilettante circondato da pessimi consiglieri. Ci pensino gli americani, quando eleggeranno il prossimo presidente, e pensiamoci anche noi, in modo da non farci coinvolgere in operazioni di cui si conosce benissimo l’inizio, ma sulla cui fine nessuno può dire nulla. Quando si comincia una guerra, pur con le migliori intenzioni di questo mondo, si entra in un gioco pericolosissimi al massacro, che non si può mai sapere dove andrà a parare. Abbiamo bisogno di pace, ci bastano già le catastrofi naturali come quella di Fukushima, abbiamo bisogno di concordia per cercare di superare tutti insieme, nel mercato globalizzato, di uscire dal tunnel della crisi economico finanziaria. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di fare la guerra a qualcuno. C’è, in questi mesi, una concatenazione di eventi disastrosi, di circostanze fatali, di cieche prese di posizione, che rifanno pensare ad una corsa folle di questo mondo verso la proprio rovina, verso il disastro finale. L’esplosione del mondo arabo, il terremoto e il disastro nucleare giapponese, ed ora la folle corsa verso la guerra di Obama. C’è una sorta di “cupio dissolvi”, una corsa verso il nulla, verso il proprio annientamento che rasenta la follia. Ma questi sono tempi folli, sono tornati, dopo tanto, i tempi  della “distruzione della ragione” di cui parla Lucaks, il tempo della “crisi del mondo moderno” di Guénon, i tempi del “tramonto dell’occidente” di Spengler, un tramonto che si rivela dall’atteggiamento dell’uomo qualunque Obama, il quale, non sapendo come fronteggiare il surclassamento economico da parte del terzo mondo che risorge, risponde rabbiosamente con l’ultima risorsa che gli resta: il conflitto armato. Ma è, appunto, l’ultima risorsa, terminata questa, c’è solo la resa al nuovo che arriva.