lunedì 1 agosto 2016

IL BUSINESS DELL'ACCATTONAGGIO COATTO



«Tu signora hai paura dell'uomo nero? Dai qualcosa all'uomo nero? Niente? E come faccio a vivere qui?» No, non ho paura di te, uomo nero, come non ho paura dei tre mendicanti come te che si sono fermati al tavolino di questo bar nel centro di Milano negli ultimi 10 minuti. Non ho paura del venditore di calze magrebino, della rom col bambino attaccato al seno, del tuo collega che ha cercato di allacciarmi al polso un braccialettino di cotone e l'avrai visto certamente, perché avevi già girato l'angolo e hai rallentato il passo, ti guardavo di sottecchi preparandomi al nuovo attacco.
TROPPE RICHIESTE LUNGO LA STRADA. No, non ho paura di te, uomo nero, vengo da una famiglia in cui si professavano due religioni e lavoro da sempre in un ambiente multiculturale, quindi non ho mai avuto paura del «colore della pelle» che tu agiti con veemenza perché io tiri fuori il borsellino. Ma siete troppi. Troppi perché io possa tirarlo fuori di continuo, questo borsellino, troppi perché non possa nemmeno proseguire la telefonata che sto facendo senza essere continuamente interrotta, troppi per non far sentire in colpa me che mi sento una privilegiata perché un lavoro ce l'ho; ma non posso proprio, davvero, continuare ad aprirlo, questo borsellino.
FRASI INSEGNATE DAGLI SFRUTTATORI. Uomo nero, questo non è il paradiso per nessuno. Dunque, tu hai il diritto di domandarti come farai a vivere in questo Paese che vive una crisi pressoché ininterrotta da otto anni, ma io devo avere il diritto di sedermi su una panchina senza essere continuamente importunata come quella ragazza di fronte, che infatti sta scappando, seguita dal tuo collega che le tira addosso il mantra dell'uomo nero, con rabbia. E chissà chi glielo avrà insegnato, a te e a lui, fra i tanti che vi sfruttano, che vi consegnano i braccialettini, le calze, i libri che cercate di venderci, a usare queste tecniche del marketing di relazione più frusto, più scontato, per convincerci a fermarci, o ad alzare la testa da questo tavolino, e aprire il portafoglio.
L'immigrazione incontrollata è sempre più un business
L'immigrazione incontrollata è un grande business, deve averlo intuito anche «l'uomo nero» che se ne va deluso, salta il tavolino accanto al mio dove siete un uomo dall'aria severa e va alla conquista di quello successivo, occupato da una coppia di signori anziani, che temo siano la preda più ambita. Un mese fa è stato firmato l'accordo tra il Viminale e Confindustria per favorire l'impiego dei rifugiati accolti fino a oggi in Italia, circa 90 mila; l'associazione degli industriali sta sostenendo anche il Migration Compact, la proposta del governo italiano di aiutare gli Stati che accettano di regolamentare i flussi e reprimono il traffico dei migranti con i fondi europei.
OCCORRE TROVARE UNA SOLUZIONE. Ma è ovvio che, nell'attesa di una condivisione del progetto che vede molti Stati membri contrari, forse scelleratamente convinti di essere immuni da questo dramma e che basti dare aiuti all'Italia perché fronteggi da sola l'emergenza degli sbarchi, vada trovata una soluzione che permetta all'uomo nero, che parla correntemente l'italiano e chissà da quanto tempo è qui di non cadere nella rete degli sfruttatori (volete sapere dove li organizzano in squadre? Andate la mattina presto alla stazione della metropolitana di Sesto san Giovanni, per esempio) o di essere lasciato a vegetare in qualche hotel di provincia nell'attesa di uno status di rifugiato che forse non arriverà mai e che forse non ha neanche il diritto di avere.
IN SVEZIA E FINLANDIA INSEGNAMENTO OBBLIGATORIE. Troppo lente le pratiche di riconoscimento, troppo complesso l'eventuale rimpatrio, ma anche e decisamente difficile l'integrazione in mancanza di una politica seria di acculturazione, a partire da quella linguistica. In Finlandia e in Svezia, le ore di insegnamento della lingua e delle leggi del Paese per i nuovi arrivati superano le 15 alla settimana. E sono obbligatorie. In Italia, non esistono dati che permettano di capirlo. Qualche Comune virtuoso, come Malegno, in Valcamonica, o come Riace, ha adottato una propria politica di accoglienza, preparazione e avviamento al lavoro che sono citate come esempio. Ma si tratta di realtà piccole, coese, di un tessuto sociale forte e senza strappi. Nelle grandi città, questo è impossibile. Ed è nelle grandi città che si organizzano, indisturbati fino a oggi, gli sfruttatori degli uomini neri. Senza un intervento deciso, continueranno a prosperare.