lunedì 8 agosto 2016

RENZI, UN PREMIER CHE E’ DIVENTATO LA PARODIA DI SE STESSO



Visto che ormai tutta la realtà si legge sub specie Pokémon Go (lo ha fatto anche, a proposito di referendum, il presidente Sergio Mattarella, che è un po' come il papa che cita YouPorn), mettiamola così: se ci fosse un'app Renziano Go per localizzare i fan del premier ancora in circolazione, vagheremmo invano per ore.
Fermate d'autobus, bar, spiagge, per non parlare delle sezioni del Pd, dove di renziani peraltro ce ne sono sempre stati pochini: nello smartphone non apparirebbe nulla.
Solo alla Rai, a quanto pare, i renziani ancora prosperano, tant'è vero che fanno golpe balneari nei tg e nei gr, suscitando furori bipartisan, con Stefano Fassina che paragona Renzi a Orban e la Lega che lo assimila a Erdogan, e manca solo qualcuno che tiri in ballo Gengis Khan per completare la rima.
QUELLA VOLPE MEDIATICA DI RENZI. La cosa buffa è che nessuno mette in dubbio la «professionalità» dei nuovi direttori, solo che per qualche motivo quelli vecchi andavano meglio.
Soprattutto Bianca Berlinguer, il cui spostamento in fascia pre-tg è vissuto più o meno come la distruzione dei Budda di Bamiyan (posso avere qualche dubbio sul fanatismo renziano dei neo-nominati, ma che da tempo nei programmi di intrattenimento dell'emittente di Stato sia scoraggiato ogni tipo di satira, anche lieve, contro il capo del governo è un dato di fatto. Francamente non ce la vedo quella volpe mediatica di Renzi a censurare le battute su di lui, se non altro per distinguersi da Massimo D'Alema, quello che voleva riportare all'ordine Tango, il primo inserto satirico dell'Unità, e che quando era premier querelava Forattini. La censura preventiva sulla satira in tivù è più un atteggiamento da ciambellani ottusangoli, che non si rendono conto di regalare ai loro avversari un argomento d'oro e alla concorrenza quel residuo di audience under 80 che per affetto guarda e ascolta ancora i programmi Rai).
Anche se ti soffiano il posto sul treno puoi gridare all'epurazione
È vero che in Italia gli unici premier buoni sono due: quello che si è insediato da una settimana e quello che si è dimesso da almeno due anni, e questo spiega il recente ritorno fra gli applausi sulle poltrone dei talk di Mario Monti ed Enrico Letta.
Quando stavano a Palazzo Chigi erano simpatici rispettivamente come una colica renale e un autovelox imboscato, ma attualmente nessuno dei due è al governo, e soprattutto nessuno dei due è Renzi, alla cui arroganza devono entrambi un'intrigante e romantica aura da dissidenti (Letta è pure emigrato in Francia, come Pertini e Toni Negri).
UN CLIMA ARROVENTATO. È altrettanto vero che il clima è così arroventato che oggi anche se ti soffiano il posto sul treno puoi gridare all'epurazione renziana, e se mai Genny a' Carogna dovesse schierarsi per il No al referendum, verrebbe subito riabilitato a destra e a sinistra a suon di autorevoli corsivi e da settembre lo vedremmo ospite fisso da Formigli e Floris.
Che del resto a fine maggio abbiamo visto intervistare con solidale deferenza Belpietro, appena defenestrato da Libero a causa di contrasti con l'editore riguardo a The Big R(enzi), e accolto da ovazioni dal pubblico di DiMartedì manco fosse Nelson Mandela (Nota bene: è lo stesso Belpietro di titoli come «Bastardi islamici» e di «Un culo all'aria nel suo letto. Fedez beccato con un uomo», e probabilmente fosse stato sudafricano ai tempi dell'apartheid, Mandela in galera ce l'avrebbe mandato lui).
Ma ormai tutto porta acqua al mulino antirenziano.
IL PAESE È RIMASTO IN MUTANDE. L'ex carro del vincitore è diventato poco più che una biga e se continua così in autunno diventerà un monopattino.
«Le donne non ci vogliono più bene/perché portiamo la camicia nera», cantavano i repubblichini nel '44.
Nell'estate del 2016 a non piacere più è la camicia bianca, anche perché dopo due anni è tutt'altro che immacolata.
Il fatto è che i renziani vogliono cancellare le macchie con Photoshop, gli antirenziani dicono che piuttosto che tenersi quella camicia è meglio restare in canottiera.
L'eterno problema della politica italiana: accapigliarsi sul colore delle camicie mentre il Paese è rimasto in mutande.