venerdì 2 gennaio 2015

JOBS ACT: OVVERO LA FINE DEL LAVORO



Con l’approvazione preliminare, alla vigilia di Natale, dello “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, sembra essere giunta ad un arresto quasi definitivo l’opera governativa di radicale trasformazione del diritto del lavoro intrapresa, ormai da alcuni anni, anche e soprattutto su sollecitazione delle istituzioni europee ed internazionali.

Lo schema di decreto in questione, ancora non definitivo e che dovrà essere sottoposto entro trenta giorni al parere – non vincolante – delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato, si pone quale attuazione dei criteri e principi direttivi indicati nell’art. 1 comma 7 della legge delega n. 183 del 10.12.2014, volta a “rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo... in coerenza con la regolazione dell’Unione Europea e le convenzioni internazionali”.

Il presupposto teorico da cui dichiaratamente parte il legislatore dunque, è articolato: accrescere l’occupazione soltanto di “coloro che sono in cerca di occupazione”, considerando un contesto produttivo ed occupazionale incardinato sul dogma della “flessibilità”. Sembrano dunque totalmente ignorati – almeno per ora, in attesa degli ulteriori decreti attuativi – i cosiddetti NEET (acronimo di Not engaged in Education, Employment or Training), ovverosia gli individui (di età tra i 15 e i 29 anni) che non sono né impegnati nel ricevere un’istruzione o formazione, né hanno un impiego o qualcosa di assimilabile, e che in Italia hanno ormai superato la soglia dei due milioni, passando dal 21,6% del 2009 al 32% del 2014: vite di scarto, prive della benché minima considerazione e lasciate al proprio destino. Rilievo confermato, peraltro, anche dalla lettura di quella che forse è l’unica vera misura innovativa del provvedimento in esame, ovverosia il “contratto di ricollocazione”, che tuttavia si rivolge esclusivamente ai soggetti in disoccupazione involontaria, destinatari di un provvedimento di licenziamento disciplinare illegittimo, collettivo o per giustificato motivo oggettivo.

Le fondamenta su cui si basa l’opera governativa sembrano, tuttavia, “costruite sull’argilla”, insistendo su un grave e persistente equivoco che da anni affligge il legislatore italiano: la duplice presunzione di creare posti di lavoro con un tratto di penna e in nome del dogma della flessibilità occupazionale. Teoremi, a parere di chi scrive, entrambi errati, che ricordano il tragico mito di Icaro, ambizioso personaggio della mitologia greca dalle ali di cera.

Buona parte dei giuslavoristi, infatti, ha la coscienza e l’umiltà di sostenere che il diritto del lavoro, in sé e per sé, non crea né può creare un solo posto di lavoro aggiuntivo: esso si limita, al contrario, a riequilibrare gli squilibri originati dal mercato tra le parti del contratto di lavoro, ovverosia a ricondurre effettivamente “in asse” i rapporti tra datore di lavoro e prestatore. Il legislatore che abbia la superba presunzione di incidere sul mercato del lavoro soltanto con i propri provvedimenti normativi (prescindendo da qualsivoglia serio intervento di politica economica) dunque, rischia di essere destinato a precipitare rovinosamente: ed il Jobs Act, da questo punto di vista, pare avvicinarsi al citato mito di Icaro. (source)