1. Le mattanze di Parigi furono
accolte con lo stupore di chi credeva di poter essere amnistiato da questa
guerra anomala. I fatti di Bruxelles hanno lasciato più che altro spazio a
quello sgomento che confina con la rassegnazione. Quasi che ci stessimo
abituando già a quel che potrebbe una costante di questi tempi sbandati:
convivere con il terrore.
2. Dopo ogni atto così enorme, dal
secondo successivo è tutto un parlare e ciarlare. Tutti di colpo esperti di
Islam e jihad, Daesh e foreign fighters. Sbaglierò io, ma è anzitutto in questi
casi che avverto il bisogno del silenzio.
3. Cosa possiamo fare? Intendo noi,
intendo nel nostro quotidiano. Continuare a vivere come vivevamo prima.
Anche se fa paura, anche se diventa eroico anche solo andare a teatro.
Continuare a vivere come facevamo. Per non darla vinta agli assassini.
4. Avere paura è naturale.
Tradurre questa paura in intolleranza è un altro regalo all’Isis, o meglio
ancora all’Is, perché chiamarli come la versione greca e latina della dea
egizia Iside mi rompe un po’ le palle (e anche in questo ha ragione Franco
Cardini, di cui vi consiglio l’ottimo “L’Islam è una minaccia” FALSO!,
edito da Laterza). Parlare di frontiere chiuse è delirante. I terroristi
che colpiscono in Europa sono già in Europa e spesso figli di musulmani che qui
li hanno concepiti. E questi figli – in tutto europei – uccidono anche per
colpire i loro genitori, che reputano dei musulmani mollicci e opulenti: malati
di troppo Occidente.
5. La guerra all’Isis si intreccia
dunque con una guerra generazionale e con mille altri rivoli. Ciò rende l’Isis
ancora più sfuggente: magari, per ucciderlo, bastasse bombardare i confini
presunti del sedicente “Stato islamico”. L’Isis non è uno Stato e neanche una
religione: è un kit nichilista a uso e consumo di chiunque ha bisogno di
un pretesto per colpire a casaccio, così convinto di non avere più speranze da
farsi esplodere come nulla fosse.
6. Tutti, ora, parlano di “Belgio
colabrodo” e di “esigenza di una FBI europea”. Ovvero di una
intelligence europea, che unisca realmente tutti i paesi coinvolti nella
guerra. Obiettivo sacrosanto, più volte promesso (anzitutto) da Merkel e
Hollande. I fatti, però, non hanno seguito mai le promesse. E’ poi vero che il
Belgio è dilaniato da divisioni, leggi contorte e crisi devastante: era
probabilmente l’obiettivo europeo più facile e solo lì Salah poteva
“nascondersi” quattro mesi a casa sua. Rendiamoci però conto che la
sicurezza totale è una chimera: se uno entra in un bar e si fa saltare in
aria, non c’è intelligence che tenda. E sì che in Italia, per fortuna e
nonostante Alfano, stiamo molto meglio che da altre parti.
7. Si dice spesso che questo giornale,
e chi vi sta scrivendo, ce l’abbia a prescindere con Renzi. Una delle tante
sciocchezze da asilo nido, che rendono il dibattito politico appassionante come
una detartrasi di Velardi. Magari ne potessimo parlare “bene”, come fa il 95%
della cosiddetta informazione italica. Ieri, però, Renzi ha detto cose sensate. Gli capita spesso, quando
parla di Isis e guerra. Ha ragione quando sottolinea l’inutilità delle
frontiere. Ha ragione quando ribadisce l’importanza di investire sulla cultura,
anzitutto nelle periferie. E ha ragione quando dice che “non è il tempo né
degli sciacalli né delle colombe”. Bravo. Ora però sta a lui, sempre ammesso
che Usa e Merkel lo ritengano un alleato minimamente rilevante, farci capire come
si passa dal non essere “colombe” all’entrare definitivamente in guerra.
8. Impeccabile la copertina di ieri di Crozza a DiMartedì. Tra le
altre cose, ha ribadito un concetto semplice semplice: se bombardi dalla
mattina alla sera un paese, quel paese prima o poi reagisce. Non solo: se ti
affidi ai droni neanche fossero il monolite di Kubrick, l’unico risultato
sicuro è ammazzare civili come mosche. E chi sopravvive, poi, preferisce di
gran lunga l’Isis al civile Occidente che “esporta democrazia” sterminandoti
la famiglia.
9. Non c’è giorno che passi in cui mi
chieda: cosa abbiamo fatto di male, anzi di tremendo, per
meritarci Luttwak? Perché dovrei prendere lezioni da questa
caricatura guerrafondaia e becera? Chi lo ha eletto a esperto? Di grazia: meno
Luttwak e più Gino Strada. E’ anche così che un paese diventa, o torna, civili.
10. Ieri, tra le mille cose elargite a
getto continuo in radio, social e tivù, Matteo Salvini ha detto: “Meglio
sciacallo che imbecille”. Devo dargli una brutta notizia: si può essere
entrambe le cose, e non c’è bisogno di scomodare il primo Gasparri che passa
per la conferma. Salvini ieri è volato a Bruxelles dopo l’attentato. Qui si è fatto ritrarre in posa pensosa, mentre parla a un cellulare
immaginario (daje) e con una espressione tipo Chuck Norris dopo
avere salvato l’umanità da una invasione di procioni di Cozumel. Quella
postura da bullo, la stessa di chi si vanta per avere vinto alla PES 2016 con
il nipotino di 4 anni, gli garantirà sfottò a vita. Bravo Matteo: sei una
garanzia.