giovedì 13 gennaio 2011

IL BUSINESS DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Questa volta ci occupiamo di adozioni internazionali. Non deve meravigliare questa scelta: le cronache, sebbene non con la frequenza che meriterebbe l’argomento, si occupano sempre più spesso del “business” che si aggira intorno alle adozioni. Ho conosciuto personalmente diverse coppie che hanno cominciato l’interminabile iter richiesto in questi casi: si parte con una idoneità di difficile conseguimento, poi si passa ad una associazione autorizzata, al vaglio degli assistenti sociali, fino ad arrivare agli enti accreditati nei paesi di origine dei bimbi. Un calvario intessuto di lungaggini burocratiche (spesso del tutto immotivate) alla compilazione di strampalati questionari che assomigliano ai test di Rorschach (ma gli aspiranti genitori non sono pazienti psichiatrici), al sostenimento di spese, per lo svolgimento, la traduzione, il disbrigo delle pratiche con il paese di origine sempre più costose e non sempre giustificate. Tutta questa procedura può durare fino a sei anni (sei anni!), per questo motivo una percentuale non trascurabile di coppie abbandona il progetto prima di portarlo a termine (ma nessuno, ovviamente, rimborsa loro le spese sostenute fino a quel momento). Insomma, si tratta di un mondo farraginoso, i cui passaggi sono poco trasparenti e spesso surreali, il ricatto emotivo è dietro l’angolo. Ad una coppia non fertile che desidera un figlio è più semplice richiedere denaro senza troppe pezze d’appoggio. Quanto ai paesi di origine dell’adottato, si aprono degli scenari da far rizzare i capelli: ricordiamo lo scandalo nepalese, uno dei paesi dove la corruzione che dilagava sulle adozioni era talmente virulento da non poter più essere coperto. L’aspetto, in effetti, più disgustoso della questione è proprio il ricatto morale perpetrato da enti e associazioni alle spalle di aspiranti genitori, colpiti così nella parte più delicata e sensibile del proprio animo: il desiderio di maternità e paternità, continuamente frustrato da reiterate richieste di denaro, tartassato da scartoffie burocratiche apparentemente prive di senso, insomma, tutto questo sconfina in qualcosa di profondamente immorale. Se è vero che qualcuno, approfittando della propria posizione di forza rispetto a persone che chiedono solo di diventare genitori di un bimbo destinato all’infelicità, abusano della buona fede di costoro,  commettono un reato che non trova neppure posto nel codice penale: lo sciacallaggio. Siamo tutti grandi ammiratori della trasmissione “Report” della Gabanelli: la invitiamo a dedicare una delle prossime puntate a questo mondo ancora oscuro, ma che prima o poi deve essere illuminato dalla luce impietosa della giustizia.
A questo proposito pubblico volentieri un articolo tratto dal sito “L’Arca di Noè” di Nicola Ricchitelli:

Un bimbo proveniente dallo Sri Lanka «costa» 5.100 euro, uno della Bulgaria 7.200. Ma a quanto pare le richieste arrivano fino a 30mila euro. Dietro molte delle adozioni internazionali c'è un business senza scrupoli e senza regole. Con tanto di «listino prezzi». Più alta è la somma che si è disposti a pagare, più aumenta la possibilità di scelta da parte degli aspiranti genitori. Proprio la cantante Madonna si è resa protagonista di uno di questi squallidi episodi sotto gli occhi di tutto il mondo; la popstar è volata in un villaggio del Malawi (il Paese più povero del mondo), ha lasciato alle autorità locali un assegno di 30 milioni di euro e nel giro di pochi giorni si è portata nella sua villa di Londra un bimbo di 13 mesi. Ovviamente non tutti possono contare sulla disponibilità economica della cantante, ma anche per i «comuni mortali» vige lo stesso principio: mettendo mano al portafoglio le procedure burocratiche si snelliscono, i tempi di attesa si accorciano e la possibilità di scegliersi il figlio più carino aumentano. Anche in Italia l'adozione internazionale è un grande business. O meglio, un grande Far West dei sentimenti dove chi è disposto a calpestare quelli altrui ha ottime possibilità di arricchirsi.  Basti pensare che dopo la legge del 2001, che per le coppie adottive stabilisce l'obbligo di affidarsi a un ente autorizzato per le adozioni all'estero, queste associazioni si sono moltiplicate come funghi: fino a sei anni fa potevi contarle sulle dita di una mano, ora sono quasi un centinaio. Una giungla che offre bimbi «chiavi in mano», senza farsi scrupolo di indicare tariffe comprensive perfino delle mazzette da allungare ai funzionari nei Paesi dove si è scelto di adottare il bambino. Quando si parla di «borsino» non scherziamo: il fixing dell'adozione cambia da nazione a nazione a da intermediario a intermediario. Secondo infatti una documentata ricerca curata dall'associazione «Donna e qualità della vita» su un campione di 100 enti autorizzati all'adozione, un bimbo proveniente dallo Sri Lanka «costa» 5.100 euro, mentre un piccolo originario della Bulgaria ne «vale» 7.200; poca cosa rispetto ai 18mila (ma secondo il Ceis di Ancona, che si occupa di affidi e accoglienza di minori in difficoltà, si può salire fino a 30mila euro) richiesti alle coppie italiane,  che poi devono farsi carico anche di quattromila euro sotto la voce «spese fisse». Insomma, la galassia delle adozioni è piena di buchi neri che possono risucchiare nella loro orbita denaro, speranze e affetti. Fino ai casi limite in cui la commistione con la criminalità assume aspetti terribili: è risaputo, ad esempio, che gli istituti minorili di certi Paesi dell'Est europeo, del Sud-est asiatico e della Colombia rappresentano la «fonte» per affari sporchi come il traffico di organi e il turismo sessuale.  Nel migliore dei casi si tratta di viaggi senza ritorno in una dimensione spazio-tempo dove i più ancestrali sentimenti di maternità e paternità vengono frustrati da nemici tanto invisibili quanto insidiosi: burocrazia esasperata, assenza di leggi, norme in conflitto da un Paese all'altro. Un microcosmo mai sufficientemente esplorato e compreso nei suoi mille aspetti, come conferma il sondaggio curato dall'associazione «Donne e qualità della vita» che il Giornale è in grado di anticipare nei suoi risultati più clamorosi. A cominciare da una cifra choc: ogni anno 5 famiglie su 10 rinunciano a portare a termine le pratiche per l'adozione a causa di lentezze burocratiche e costi eccessivi; due realtà ben conosciute dalle 50.000 coppie italiane che, ad oggi, hanno ottenuto il certificato d'idoneità all'adozione. La stragrande maggioranza degli intervistati (39%) non ha dubbi: il vero problema è rappresentato dalle lungaggini burocratiche e dai tempi di attesa (in media tre anni e mezzo) che appaiono, talvolta, insormontabili.  Altro fattore non trascurabile è quello economico, citato nel 31% dei casi; per il 12% del campione, invece, le famiglie si fermano a metà del percorso per le difficoltà e le problematiche poste dai Paesi d'origine dei bambini. Infine l'11% rinuncia dopo aver concepito un figlio prima di ottenere l'adozione, mentre il restante 4% abbandona per altri motivi.
Ma in quale fase si interrompe l'iter di un'adozione? La maggior parte delle famiglie getta la spugna prima dell'assegnazione del bambino (45% dei casi), mentre il 28% rinuncia ancor prima di ottenere dal Tribunale dei minori la dichiarazione d'idoneità. Il 17% del campione, invece, decide di rinunciare prima di contattare l'ente autorizzato al sostegno del percorso adottivo, disorientato probabilmente dalla difficoltà di scegliere tra gli oltre 70 Enti esistenti preposti a questa funzione.Il restante 4%, invece, lo fa qualche anno dopo aver adottato un bambino, rinunciando così a proseguire l'esperienza. Ad oggi, i bimbi stranieri adottati da coppie italiane sono poco meno di 15.000. Secondo la Commissione per le adozioni internazionali (organo di coordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri) è possibile stilare anche una sorta di identikit del genitore adottivo: gli italiani che fanno domanda di adozione internazionale hanno in media 41 anni (gli uomini) e 39 anni (le donne).  Il 90,6% delle coppie non ha figli, mentre il restante 9,4% ha già uno o più bambini: una condizione quest'ultima che, nel caso l'iter di adozione dovesse rivelarsi un fiasco, può almeno aiutare a cicatrizzare la ferita. 

E poi, per completezza, la bella ed esauriente testimonianza di uno di questi genitori, il Sig. Pino Torreggiani, di Varese, che descrive con chiarezza esemplare la sua reale esperienza:

«I punti critici - spiega Torreggiani -  riguardano i rapporti con gli enti autorizzati che gestiscono queste adozioni e i costi che le famiglie devono sostenere. La mia prima adozione è costata 24 mila euro, tra pratiche italiane gestite direttamente dall'ente  e spese all'estero che comprendono il referente locale, i viaggi, il vitto e l'alloggio. Chi non è benestante o non puo' accedere a prestiti puo' quindi scordarsi di adottare.  È vero che le spese sono deducibili al 50 per cento, ma provate voi ad andare in Nepal e chiedere al tassista che ti accompagna in orfanotrofio la ricevuta fiscale».
La questione degli enti (in Italia quelli autorizzati sono circa 70) è forse la più delicata. La coppia, infatti, deve iniziare la procedura concreta di adozione internazionale rivolgendosi ad un ente autorizzato, entro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, emesso dal tribunale dei minori. «Il primo problema - continua Pino - è quale ente scegliere e soprattutto come sceglierlo. Si è obbligati a rivolgersi per l'intermediazione ad un ente autorizzato, privato, che dovrebbe svolgere le pratiche necessarie per tutta la procedura, senza poter contare, invece, su strutture istituzionali. L'aspetto più grave è il controllo, perché l'ente autorizzato di fatto non è sottoposto a controlli di organismi istituzionali sull'iter proposto e soprattutto sui costi che applica. C'è una cifra limite di 13 mila euro, ma è facilmente aggirabile. Insomma hanno carta bianca sui coniugi, che sono la parte più fragile, perché ricattabili dal punto di vista affettivo. Alcuni di questi enti, autorizzati dallo Stato italiano, sono stati fatti chiudere perché avevano messo in atto vere e proprie truffe a danno delle coppie adottanti. Insomma c'è il rischio di una compravendita legalizzata».
Salve Io e mia moglie Siamo da 60 giorni in Ucraina per lo svolgimento di una pratica di adozione Internazionale, ed ancora non conosciamo la data di rientro in Italia, tutte le promesse fatte dall’ente autorizzato in Italia si sono rivelate vane e false, nella sede Ucraina dell’ente abbiamo solo visto un’incapacita’ nel seguire le coppie e comportamenti ambigui e lesivi, diverse volte la documentazione e’ stata consegnata sbagliata allungando ulteriormente i tempi, o adirittura trasuzioni errate.
Vorrei sapere perche’ gli organi superiori, Commissione Adozioni Intenazionali, Ambasciata e vari non si curano minimamente delle problematiche che vensono rappresentate dalle coppie, con grande rammarico sono arrivato alla conclusione che qui’ non si perseque lo spirito dell’adozione ma il business della stessa, noi coppie ci sentiamo abbandonate dalle istituzioni e dalle associazioni che hanno professato tante belle parole per spillare dai 7.000,00 agli oltre 14.000,00 euro di molte associazioni.
La presente per denunciare un comportamento che ha ben poco di umanitario, ed una corruzione mai vista, spero questa denuncia possa aiutare tutte le coppie che vivono queste vessazioni continue e forzate solo nella speranza di poter avere un figlio e dare un futuro migliore ad un bambino che ha vissuto la tragedia dell’ abbandonato; Non ci meritiamo questo, io attualmente mi trovo nella citta’ di Karchiv in Ucraina, confido nella possibilita’ di far cambiare le cose, in quanto noi italiani siamo gli unici ad essere obbligati a passare per enti autorizzati che approfittano in modo subdolo e cinico della situazione, tutto quello che scrivo lo scrivo con nesso di causa in quanto ho avuto la possibilita’ di confrontarmi con altre coppie nazionali e di altre nazioni e vedere le differenze di iter e costi. Noi Italiani siamo abbandonati a noi stessi in un paese ostile e senza la minima conoscenza della lingua, l’inglese e’ inesistente e tutto e’ scritto in cirillico.
Ogni mese nuove coppie arrivano qui in Ucraina per arricchire queste false ONLUS che vantano fatturati miliardari fatti ai danni dei bambini e di noi coppie.