lunedì 17 ottobre 2011

QUANDO LA CRISI E' DENTRO DI NOI

Abbiamo più volte parlato dell'evoluzione della crisi (che ormai perdura, inasprendosi sempre più, da quattro anni) nelle nostre coscienze, nella vita di tutti i giorni nelle relazioni interpersonali. E' più che ovvio che una contrazione mondiale di questa portata, che si protrarrà  per alcuni decenni, reca con sé un doloroso fardello psicologico e comportamentale. Ad una prima fase, contraddistinta dalla bolla immobiliare americana, dai mutui subprime, dal fallimento delle prime banche statunitensi, ha fatto seguito quella del debito sovrano europea, ed ora, da qualche tempo, è emersa la crisi di liquidità delle banche, sempre più a rischio fallimento. Nell'imboccare questa terza fase, e sull'onda degli “indignatos” spagnoli (ma soprattutto greci), ha fatto riscontro in tutto il mondo, non solo occidentale, una ondata di proteste e contestazioni giovanili con qualche accento (si veda il caso italiano) di violenza cieca e indiscriminata. Era un passaggio che tutti ci attendevamo: è più che naturale che i disoccupati di oggi, ma soprattutto di domani, comincino ad alzare la testa e sollevare lo sguardo oltre il tenue velo protettivo delle rispettive famiglie. Il futuro non si vede, c'è solo incertezza, indeterminazione, una nebbia assoluta con un solo dato sicuro: lo stato è indebitato per una somma ben superiore al PIL. Chi salderà questo conto che prima o poi la storia ci presenterà per intero? Hanno ragione, dunque, a protestare, i giovani delle piazze d'Europa, ma per il momento mancano loro alcuni elementi essenziali che fanno di una protesta spontaneistica, un movimento coordinato ed in grado di essere addirittura propositivo.
Al momento le contestazioni sono afinalistiche: non hanno cioè un obiettivo preciso, e questo per due ragioni. Le motivazioni della presente contrazione mondiale sono molteplici e articolate, non è possibile radunarle in pochi, elementari, sintetici principi. Gli studenti e i giovani senza lavoro che manifestano non hanno in generale, una solida preparazione economico finanziaria. A dire il vero, sembra che non la posseggano neppure alcuni dei loro stessi docenti di economia. A giudicare dalla serie di corbellerie che si sentono pronunciare in TV e sulla stampa. Ognuno vede solo il proprio pezzetto di crisi, non è in grado di elaborare una sintesi globale e complessa delle vicende che ci hanno condotto fin qui. La seconda ragione è che manca a questa moltitudine di giovani una copertura ideologica, politica. Non sembri un particolare trascurabile. Senza una ideologia portante, magari anche utopistica, non si va da nessuna parte perchè viene a mancare il volano, la spinta propulsiva per seguitare. Non si fa proselitismo, non si ha potere di traino senza un pensiero politico. Il problema è che, anche in questo caso, le università, che dovrebbero essere le fucine di tale pensiero,  non sembrano in grado di fornire alcunchè, se non poche idee e confuse. Una volta definitivamente sconfitto dalla realtà dei fatti storici il marxismo  e la sua applicazione maldestra alla realtà politica, non si scorgono alternative al sistema capitalistico. Il quale ha sì trionfato in tutto il mondo e permeato di sé tutte le economie, ma non ha sviluppato gli anticorpi per dirimere le sue contraddizioni, per risolvere i problemi nati dalla sua stessa involuzione. Nessun pensatore o filosofo della politica ha sviluppato, dalla caduta del muro di Berlino in poi, un pensiero  antagonista, una ideologia alternativa al capitalismo. E si capisce il perchè. Il capitalismo, per sua stessa natura, fa appello agli aspetti più bassi e istintivi dell'essere umano: il profitto personale, l'individualismo non solidale, il denaro come valore assoluto. Ci siamo pasciuti nell'illusione che si trattasse, per questi motivi, del migliore dei sistemi possibili, senza occuparci del fatto che si venivano a creare nel mondo enormi sacche di povertà, di miseria, di fame e di morte. Non abbiamo considerato che un mercato senza regole, abbandonato a se stesso, avrebbe finito col travalicare lo stesso dato politico e la finanza avrebbe potuto, come ha fatto, condizionare le stesse scelte politiche. Così, a cominciare dagli anni novanta, qualche giovanotto con una discreta cultura finanziaria, ha cominciato a giocare con le borse ed i mercati come se giocasse al Monopoli, non considerando, che in questo modo, piano piano, i nodi sarebbero arrivati al pettine, e qualcuno, più d’uno, sarebbe rimasto, alla fine della catena, col cerino in mano. Facciamo un esempio banale: ho un credito a rischio di esigibilità, una “sofferenza” come si dice, me ne voglio liberare e lo vendo sottocosto ad un acquirente che lo trasforma in un titolo, una obbligazione. Il rischio viene spostato su colui che acquisterà tale obbligazione, che avrà un rendimento alto, appetibile, ma che esporrà fatalmente l'acquirente ad un rischio elevato. Trattandosi in genere, di prodotti subordinati o strutturati, alla scadenza di tale obbligazione, se il primo debitore sarà insolvente, nulla potrà esigere l'ultimo acquirente, che non si vedrà rimborsare un bel nulla o una minima parte di quello che ha prestato con l'obbligazione. L'acquisitore di mezzo non correrà alcun rischio, avendolo spostato su chi ha acquisito il titolo subordinato. Su questo principio si basano buona parte dei cosiddetti “derivati”.
Chiusa questa piccola parentesi, se il neo nato movimento di “indignados” non saprà darsi delle buone basi ideologiche rischierà di cadere nella dispersione e nell'inconcludenza. Ma, come già accennato, per pervenire ad una ideologia che abbia anche un versante economico e politico, occorre prima compiere una serrata disamina degli avvenimenti e delle circostanze che ci hanno condotto fino a questo punto. Non è facile, ma, da che mondo è mondo, bisogna partire dalle Università, e dagli studi che sapranno portare avanti studenti e docenti. In un post di qualche tempo fa, l'”Autonomia possibile”, avevo brevemente descritto la situazione (non paragonabile a quella attuale) che aveva visto nascere il movimento degli anni settanta. Tralasciando, ovviamente, la deriva terroristica, sempre condannabile, il percorso ideologico della cosiddetta “Autonomia Operaia”, se non fosse stato bruscamente interrotto dalla morte di Aldo Moro, lasciava intravvedere interessanti sviluppi per il futuro. Abbandonato gradualmente il marxismo di fondo, facendo piuttosto riferimento a  agli scritti giovanili di Marx, si andava formando un pensiero che conciliava istanze peculiari della  sinistra con quelle sociali e più progredite della destra. Si tratta di uno sfondo ideologico che ritengo interessante per gli anni a venire, sarebbe un po' come riprendere un cammino interrotto. Sul versante, viceversa, economico, sarebbe bene guardare  con attenzione a quello che un po' genericamente si definisce “finanza etica”, che, sebbene ancora in nuce, comincia a sviluppare i primi concetti di una riforma del capitalismo “dal di dentro”, mitigando il conseguimento del profitto con finalità più attente al “sociale” e più rivolte ai reali bisogni delle persone. Le Banche Etiche sono un realtà anche nel nostro paese, per quanto siano costrette ad operare ancora in un ambito ostile e poco collaborativo. Non possiamo pensare di scardinare il capitalismo e le sue distorsioni, non al momento. E' inverosimile una rivoluzione anticapitalista che non saprebbe dove approdare. Non esiste alcun modello economico sociale diverso da quello attuale. I tempi non sono maturi per comprendere ancora quale sistema succederà al liberismo. Per adesso possiamo solo cercare di analizzare nel modo più approfondito possibile le molteplici cause che ci hanno condotto a questo punto e gettare le fondamenta di un pensiero alternativo al modello di finanza attuale e di una ideologia che possa, in economia, soppiantare il fallimentare neoliberismo. 

Un’ultima considerazione, a margine. Non sono tra quelli che hanno esultato alla fiducia votata in Parlamento al governo Berlusconi, ma, allo stesso tempo, devo rilevare che andare a nuove elezioni, in questo preciso momento storico, sarebbe assai rischioso. Il gioco non varrebbe la candela. Sei mesi di campagna elettorale, con le istituzioni semiparalizzate dalle diatribe politiche, non costituirebbe un segnale troppo positivo a mercati e investitori. Se poi si considera che, per dirla con Crozza, il PD di giorno vuole sfiduciare Berlusconi e la sera prega la Madonna che il premier arrivi al 2013, perché se così non fosse gli toccherebbe governare, è facile pervenire alle conclusioni. E allora Crozza, tra il serio e il faceto, ha detto una grossa verità: Non esiste nel PD e nell’opposizione in generale, un solo esponente in grado di fornire elementi nuovi alla risoluzione della crisi. Il fatto che l’opposizione sia priva di idee vincenti è una verità lampante per tutti. Anche per questa ragione l’antiberlusconismo, in Italia, non ha ancora assunto toni troppo accesi. Posto che un governo di “larghe intese” appare ancora più irrealizzabile (e non condurrebbe a nulla di nuovo) solo la soluzione del “governo tecnico” potrebbe costituire una novità degna di nota. Ma dal momento che anche questa soluzione appare poco praticabile, tutto considerato, temo che ci convenga (per ora) conservare, nella speranza che si occupi più di economia e meno di giustizia, l’attuale governo.