giovedì 25 maggio 2017

LA GRANDE IPOCRISIA SULLE INTERCETTAZIONI



Ora che Renzi s'è rimesso a fare Grillo, sarebbe stato divertente vedere Grillo smorzare i toni e spiazzare tutti; e invece no e, anzi, ultimamente i toni si sono alzati ancora, e al consueto e mortificante urlarsi addosso tra politici s'è aggiunto, come a volte accade, il chiasso di certi magistrati e di certi giornalisti, e tutto questo rumore confonde le idee e copre ogni altra cosa, persino ciò che altrimenti avrebbe fatto saltare in molti sulla sedia, come la circolazione - non la pubblicazione, bensì proprio la circolazione - di certe intercettazioni telefoniche.
C'è da dire che le discussioni sulle intercettazioni sono sempre alquanto indecenti poiché vivono di grandi ipocrisie, ma questa volta - e ci si riferisce alla inchiesta Consip - la situazione è persino peggiore. Di solito, infatti, si ha a che fare con intercettazioni allegate ad atti giudiziari inediti, ma oramai pubblici e quindi perfettamente pubblicabili, nonostante le proteste - piuttosto interessate, per così dire - del mondo politico. Ma questa volta è diverso e forse non si sbaglia a parlare di scandalo, il quale non risiede tanto nel contenuto di quelle intercettazioni, almeno non più del solito, e soprattutto non risiede nella pubblicazione di quelle stesse intercettazioni. No, lo scandalo risiede altrove. Lo scandalo sta appunto nella circolazione di quelle intercettazioni che è avvenuta in violazione di diverse, fondamentali norme di garanzia, circostanza che di norma non si verifica, come detto, quando si ha a che fare con la pubblicazione di intercettazioni inedite ma allegate agli atti.
Senza entrare nei dettagli della inchiesta Consip e, anzi, provando a fare un discorso generale, è evidente che non si possano divulgare le intercettazioni coperte da segreto come sono quelle non ancora trascritte, e quindi non agli atti, e che per questo non possono essere pubbliche né sono pubblicabili, anche nell'interesse stesso della inchiesta. È altrettanto evidente che, a maggior ragione, non si possano divulgare le conversazioni tra un avvocato e il proprio assistito. In questo caso, poi, il segreto è particolarmente rafforzato per evidenti ragioni di garanzia, tanto che le conversazioni tra avvocato e assistito sono di norma persino inintercettabili e, nel caso avvenisse comunque un'intercettazione, questa è inutilizzabile e deve essere senz'altro distrutta, e quindi mai dovrebbe avere circolazione neppure all'interno del procedimento, figurarsi se può averla all'esterno. Eppure è accaduto.
È innegabile che quando poi quegli atti finiscano nelle mani dei giornalisti, questi debbano pubblicarli. Nessuno può davvero pensare di metter mano a leggi più restrittive di quelle attualmente in vigore su questo fronte. Peraltro, il giornalista che dovesse pubblicare atti protetti da segreto lo fa assumendo su di sé una grave responsabilità, ma lo fa nell'interesse generale. Insomma, la pubblicazione risponde alla necessità fondamentale di informare i cittadini. Che invece quegli stessi atti abbiano una circolazione illecita e precedente alla eventuale entrata in scena dei giornalisti - a prescindere insomma dal fatto che si arrivi o meno alla loro pubblicazione - è piuttosto inquietante perché ciò avviene violando la legge e perché - soprattutto in alcuni casi, come anche alcuni magistrati di primo piano stanno riconoscendo in questi giorni - a violare la legge è presumibilmente chi dovrebbe applicarla: magistratura inquirente o polizia giudiziaria.
Ma, soprattutto, il fatto che gli atti coperti da segreto abbiano una circolazione illegale è inquietante per l'opacità delle ragioni per le quali quegli atti vengono fatti circolare. Non è cosa da poco se si considera che, a quanto pare, nei mesi scorsi la circolazione di alcune informazioni coperte da segreto e relative alle modalità con le quali venivano svolte le indagini sulla vicenda Consip, ha prodotto conseguenze piuttosto negative sulla inchiesta stessa.
Tuttavia, la politica preferisce scontrarsi invariabilmente sul contenuto delle conversazioni, che peraltro in questo caso è tutto sommato poca cosa. E puntualmente, salvo alcune eccezioni, si ripete la grande ipocrisia che da anni va in scena quando si discute di intercettazioni: non ci si chiede come mai i magistrati siano costretti a indagare i politici mentre, con prevedibile puntualità, si ricomincia a dire che si deve metter mano a una riforma delle intercettazioni, e puntualmente la sensazione è che si cercherà di approfittare della situazione per spuntare le armi ai magistrati. Poi, non riuscendo a riformare le norme, si getterà la croce addosso ai giornalisti, i quali fanno, invece, soltanto il proprio mestiere che è quello di cercare notizie e informare i lettori.
Alessandro Calvi – Huffington Post