Ora
che Renzi s'è rimesso a fare Grillo, sarebbe stato divertente vedere Grillo
smorzare i toni e spiazzare tutti; e invece no e, anzi, ultimamente i toni si
sono alzati ancora, e al consueto e mortificante urlarsi addosso tra politici
s'è aggiunto, come a volte accade, il chiasso di certi magistrati e di certi
giornalisti, e tutto questo rumore confonde le idee e copre ogni altra cosa,
persino ciò che altrimenti avrebbe fatto saltare in molti sulla sedia, come la
circolazione - non la pubblicazione, bensì proprio la circolazione - di certe
intercettazioni telefoniche.
C'è
da dire che le discussioni sulle intercettazioni sono sempre alquanto indecenti
poiché vivono di grandi ipocrisie, ma questa volta - e ci si riferisce alla
inchiesta Consip - la situazione è persino peggiore. Di solito, infatti, si ha
a che fare con intercettazioni allegate ad atti giudiziari inediti, ma oramai
pubblici e quindi perfettamente pubblicabili, nonostante le proteste -
piuttosto interessate, per così dire - del mondo politico. Ma questa volta è
diverso e forse non si sbaglia a parlare di scandalo, il quale non risiede
tanto nel contenuto di quelle intercettazioni, almeno non più del solito, e
soprattutto non risiede nella pubblicazione di quelle stesse intercettazioni.
No, lo scandalo risiede altrove. Lo scandalo sta appunto nella circolazione di quelle intercettazioni che è avvenuta in
violazione di diverse, fondamentali norme di garanzia, circostanza che di norma
non si verifica, come detto, quando si ha a che fare con la pubblicazione di
intercettazioni inedite ma allegate agli atti.
Senza
entrare nei dettagli della inchiesta Consip e, anzi, provando a fare un
discorso generale, è evidente che non si possano divulgare le intercettazioni coperte da segreto
come sono quelle non ancora trascritte, e quindi non agli atti, e che per
questo non possono essere pubbliche né sono pubblicabili, anche nell'interesse
stesso della inchiesta. È altrettanto evidente che, a maggior ragione, non si
possano divulgare le conversazioni tra un avvocato e il proprio assistito. In
questo caso, poi, il segreto è particolarmente rafforzato per evidenti ragioni
di garanzia, tanto che le conversazioni tra avvocato e assistito sono di norma
persino inintercettabili e, nel caso avvenisse comunque un'intercettazione,
questa è inutilizzabile e deve essere senz'altro distrutta, e quindi mai
dovrebbe avere circolazione neppure all'interno del procedimento, figurarsi se
può averla all'esterno. Eppure è accaduto.
È
innegabile che quando poi quegli atti finiscano nelle mani dei giornalisti,
questi debbano pubblicarli. Nessuno può davvero pensare di metter mano a leggi
più restrittive di quelle attualmente in vigore su questo fronte. Peraltro, il
giornalista che dovesse pubblicare atti protetti da segreto lo fa assumendo su
di sé una grave responsabilità, ma lo fa nell'interesse generale. Insomma, la
pubblicazione risponde alla necessità fondamentale di informare i cittadini.
Che invece quegli stessi atti abbiano una circolazione illecita e precedente
alla eventuale entrata in scena dei giornalisti - a prescindere insomma dal
fatto che si arrivi o meno alla loro pubblicazione - è piuttosto inquietante
perché ciò avviene violando la legge e perché - soprattutto in alcuni casi,
come anche alcuni magistrati di primo piano stanno riconoscendo in questi
giorni - a violare la legge è presumibilmente chi dovrebbe applicarla:
magistratura inquirente o polizia giudiziaria.
Ma,
soprattutto, il fatto che gli atti coperti da segreto abbiano una circolazione
illegale è inquietante per l'opacità delle ragioni per le quali quegli atti
vengono fatti circolare. Non è cosa da poco se si considera che, a quanto pare,
nei mesi scorsi la circolazione di alcune informazioni coperte da segreto e
relative alle modalità con le quali venivano svolte le indagini sulla vicenda
Consip, ha prodotto conseguenze piuttosto negative sulla inchiesta stessa.
Tuttavia,
la politica preferisce scontrarsi invariabilmente sul contenuto delle conversazioni,
che peraltro in questo caso è tutto sommato poca cosa. E puntualmente, salvo
alcune eccezioni, si ripete la grande ipocrisia che da anni va in scena quando
si discute di intercettazioni: non ci si chiede come mai i magistrati siano
costretti a indagare i politici mentre, con prevedibile puntualità, si
ricomincia a dire che si deve metter mano a una riforma delle intercettazioni,
e puntualmente la sensazione è che si cercherà di approfittare della situazione
per spuntare le armi ai magistrati. Poi, non riuscendo a riformare le norme, si
getterà la croce addosso ai giornalisti, i quali fanno, invece, soltanto il
proprio mestiere che è quello di cercare notizie e informare i lettori.
Alessandro Calvi – Huffington Post