La carica dei Seicento, a 500mila
euro a crapa. «Più dirigenti che spettatori, in pratica... ». Battutona.
Triste. Ma è questa che circola nei corridoi claustrali di viale Mazzini - in
tempi di ruvida spending review e di svolta francescana in Vaticano - . La
battuta provoca lo spiazzamento che avvolge i membri della commissione
vigilanza Rai, subito dopo le dichiarazioni del direttore generale della tv di
Stato, Luigi Gubitosi: «Su 300 dirigenti Rai, tre hanno una retribuzione
superiore ai 500mila euro l'anno, uno tra 400mila e i 500mila euro, quattro tra
i 300mila e i 400mila euro, trentaquattro tra i 200mila e i 300mila euro, 190
tra i 100mila e i 200mila euro, 68 sotto i 100mila euro...».
In più, tanto per fare i tignosi,
bisogna aggiungere i 319 dirigenti-giornalisti, dei quali: 1 guadagna più di
500mila euro (il caro vecchio Minzolini, attualmente in aspettativa perchè
senatore); 3 guadagnano tra i 300 e 400mila; 24 tra i 200 e i 300mila; 273 tra
i 100 e i 200; 18 meno di 100mila. Questo affermava e continua placidamente a
confermare Gubitosi, pur ammettendo, per onestà, che lo stipendio più alto -
650mila euro - è il proprio.
Ora, sempre per onestà, bisogna
registrare che in un'azienda di quasi 13 mila anime - molte perdute nei rivoli
di incarichi, sottoincarichi -, laddove si presume che siano lottizzate anche
le macchine del caffè, Gubitosi abbia delicatemente accompagnato alla porta ben
600 dipendenti (mai accaduto); e abbia ridotto notevolmente la voracità dei
partiti.
E altresì occorre premettere che,
proprio in virtù di quest' «efficientismo e dell'esternalizzazione dei costi»,
l'ultima trimestrale Rai ha registrato un +0,7 milioni nel conto economico e un
tamponamento delle perdite finalizzate al «ritorno all'utile operativo per
quest'anno» (anche se, col mancato aumento del canone d'abbonamento, la vedo
dura). Bene. Ciò detto, rimane il problema della massa abnorme dei dirigenti.
Molti con privilegi oggi francamente eccessivi.
Per dire: un direttore ha diritto al
rimborso carburante per 15.000 chilometri, ogni dirigente può avere una
macchina per tre anni in leasing che viene pagata al 70% dalla Rai. Così molti
di costoro, appartenenti ad una casta di solito invisibile, scorrazzano su Bmw,
Mercedes, Range Rover, Audi, e sempre su cilindrate intorno ai 3.000, pagando
affitti bassissimi al mese. Il numero delle macchine - buttando un occhio nel
garage della Rai in zona Prati - dà un'idea plastica della distonia tra il
Paese reale e la sua fantastica burocrazia televisiva.
Ora, Brunetta e Fico il vigilante
pentastellato della commissione Rai, hanno ragione a richiedere la massima
trasparenza dei curricula e degli stipendi lordi «da pubblicare on line» (ma la
Rai non ci pensa neppure, adducendo «l'asimmetria del mercato») da viale
Mazzini. Hanno ragionissima.
Ma più che sulle star, sui
conduttori che spesso incarnano l'indotto d'audience e pubblicitario - i casi
di Carlo Conti e Fabio Fazio - il nostro dinamico duo di guardiani dovrebbe
concentrarsi proprio sui dirigenti. I grandi dirigenti, intendo. Non i
povericristi ad alta professionalità o di bassa lottizzazione, invitati
all'auto espulsione con scivolo.
Perchè in Rai i grandi dirigenti
sono, di fatto, inamovibili. Emblematici soprattutto il caso dei direttori
generali. Non ce n'è uno che - esaurita la propria funzione ed insediatosi il
successore - sia stato licenziato dalla Rai in crisi perenne, come avviene
nelle aziende normali.
Negli ultimi vent'anni, per esempio,
Pierluigi Celli e Flavio Cattaneo (il migliore in assoluto per redditività), e
Mauro Masi (il peggiore), arruolati come esterni si sono dimessi da sè
allettati da offerte del mercato. Agostino Saccà (il migliore in assoluto con
Cattaneo), Claudio Cappon e Lorenza Lei essendo dirigenti interni sono stati
«reimpiegati» dall'azienda. Saccà fu messo alla fiction con risultati
eccezionali, finì nel tritacarne delle intercettazioni e nè uscì intonso.
La Lei, nonostante la gestione
mediocre dell'azienda, è stata spostata alla Sipra con poteri limitati. Cappon
è il caso limite: per due anni, nonostante la volontà di molti di toglierselo
dalle scatole, è stato pagato 600milaeuro all'anno per la presidenza di Rai
World, cioè per non fare nulla. Per non dire dei giornalisti.
Essendo vietata l'assunzione come
direttori a tempo indeterminato dal contratto nazionale (il contratto dura 3
anni, rinnovabile), si fanno assumere quasi tutti come capiredattori «con
mansione di direttore»; una volta fatti fuori mantengono stipendio e spesso
grado, fittizio. E sono illicenziabili. Azienda connivente.
«Le nomineRai di solito sono
politiche, e per policy aziendale, noi tendiamo a reimpiegare i nostri
dirigenti... » ci ribattono gentilmente dalla Rai. Sarà. Ma è questo l'unico
caso, nell'occidente civilizzato, in cui dirigenti anche quanto sbagliano,
restano allo stesso posto. E costo. Costo nostro.
A proposito di sprechi. È stato
calcolato che ogni giornalista delle sedi Rai regionali Rai produca, di media,
2/3 minuti di servizio al giorno. Senza considerare che in alcune sedi Rai del
nord gli operatori televisivi - i cameramen - in virtù di quella leggina
straordinaria che permette loro di trasformarsi, con gli anni, in giornalisti
sono scomparsi; sicchè si esternalizzano i pochi servizi. Qualche sede arriva a
spendere 1milione di euro, mentre i cameramen incrociano le braccia perchè -
giustamente - si sentono giornalisti dentro. Caro Brunetta, ci butti un
occhio...
Francesco Specchia per
“Libero”