Il presente blog si propone di occuparsi di politica, costume, cronaca, attualità, da un punto di vista di un osservatore critico, soprattutto nei confronti della stampa e TV mainstream, cercando di mantenersi il più possibile equilibrato ed obiettivo. In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da una deriva totalitaria, le voci veramente libere non sono solo scarse, ma emarginate entro i confini dei social media.
lunedì 20 gennaio 2014
LA CRISI ITALIANA IN CIFRE. ALTRO CHE CRESCITA
Il calo dello spread sta facendo sperare nel superamento della crisi dei mercati finanziari, che ha iniziato a colpire con veemenza i nostri BTp due anni e mezzo fa. Se i rendimenti sui titoli del nostro debito pubblico sono in calo e i decennali si attestano al 3,8%, l’economia reale è di tutt’altro tenore. La crisi per essa sembra ben lungi dal finire.
Il tasso di disoccupazione a novembre è cresciuto al record storico del 12,7%, mentre tra i giovani è ad un allarmante 41,6% e l’occupazione è scivolata al 55,4%, pari a 22,3 milioni di persone dai 23,5 milioni dei livelli pre-crisi. Nel frattempo, il pil è sceso nel 2013 di un altro 1,8%, dopo il -2,5% del 2012 e oggi si attesta a un livello pari a circa il 9% in meno di quello raggiunto nel 2007. Prima di tornare a sette anni fa potrebbero volerci diversi anni e intanto avremo perso un decennio o forse di più.
Il saldo delle partite correnti, che misura il grado di competitività di un paese, essendo la somma tra le variazioni commerciali e quelle dei movimenti finanziari, è sì migliorato rispetto agli anni precedenti, ma ha chiuso pur sempre in rosso dello 0,7% del pil nel 2013, quando la Germania ha mostrato un +6,3%.
E cosa dire dei tassi bancari applicati al settore privato sui nuovi finanziamenti? Per quelli quinquennali, sono al 5%, in discesa dal picco del 6,5% medio del 2012, ma pur sempre 150 punti base in più degli omologhi tedeschi. Ma i contraccolpi della crisi si sono fatti sentire anche sulle banche italiane, che oggi hanno crediti dubbi per il 9% del totale, pari a circa 140 miliardi di euro.
In più, la crisi dei mutui ha messo in ginocchio anche il settore immobiliare, ai minimi delle compravendite negli ultimi trenta anni e con i prezzi delle case diminuiti del 20% in termini reali, rispetto al picco massimo raggiunto nel 2010.
E fatta 100 la nostra produzione industriale nel 2000, oggi siamo a 80, il 20% in meno, anche se negli ultimi mesi ci sarebbero segnali di ripresa.
Nel frattempo, il debito pubblico ha raggiunto il 133% del pil, anche se al netto dei contributi italiani ai paesi dell’Eurozona, sarebbe poco inferiore al 130%, ma la quota in mani straniere è diminuita sensibilmente dal 52% tra il 2010 e il 2011 a meno del 40% odierno. Un tonfo della nostra credibilità verso l’esterno.
Gli investimenti, che sono un fattore di crescita futura, sono scesi, poi, da una media del 20% degli anni pre-crisi al 17% del 2013 e quelli privati potrebbero presto essere insufficienti a coprire gli ammortamenti, di fatto rischiando di distruggere capitale fisico.
Sono queste solo alcune delle cifre che dimostrano che l’economia italiana è in stato comatoso e uno slancio non s’intravede. Al contrario, c’è il rischio che qualche timido balzo dagli infimi livelli a cui sono arrivati i nostri indicatori possa essere scambiato dalla politica come l’inizio di una ripresa che non c’è.
Giuseppe Timpone per Investireoggi