Finanziamento ai partiti con il
"trucco". Dal 1994 al 2008 questi hanno ricevuto 2 miliardi e 250
milioni di euro di soldi pubblici, secondo i calcoli della Corte dei Conti,
"un fiume di denaro pari a 3,9 volte le spese effettive".
Monti li aveva dimezzati, Letta vuole che scendano ancora, fino ad arrivare a zero nel 2017. Quando lo Stato dovrebbe smettere di versare soldi. Ma c'è un trucco.
Lo ha spiegato Gianni Dragoni durante l'ultima puntata di Servizio Pubblico.
Monti li aveva dimezzati, Letta vuole che scendano ancora, fino ad arrivare a zero nel 2017. Quando lo Stato dovrebbe smettere di versare soldi. Ma c'è un trucco.
Lo ha spiegato Gianni Dragoni durante l'ultima puntata di Servizio Pubblico.
Ormai tutto ciò che è pubblico è diventato latte da mungere per i partiti. Non tutti i politici fanno così, ma la tendenza generale è questa in Italia.
A dirlo è stato Marco Travaglio durante la trasmissione andata in onda su La 7 e in streaming. Per lui andrebbero "affamati", nel senso privati di tutto.
Durante lo show di Michele
Santoro sono stati presentati alcuni dati chiarificatori della situazione.
I partiti possono arrivare a ottenere fino al 37% di sgravi fiscali per le
donazioni, contro il 19% delle onlus.
In questi anni le fazioni politiche costeranno ai cittadini 91 milioni (2014 e 2015, come il 2013), mentre nel 2016 la cifra dovrebbe scendere a 77 milioni e poi l'anno successivo a 72 milioni. Niente a che vedere con lo zero contemplato dalla classe dirigente.
In uno dei suoi caratteristici interventi aggressivi il giornalista ha detto: "Spero nasca il sindacato dei dimissionari che ci spieghi come si fa a truccare le cose e quindi come si fa anche a riformarle".
In questi anni le fazioni politiche costeranno ai cittadini 91 milioni (2014 e 2015, come il 2013), mentre nel 2016 la cifra dovrebbe scendere a 77 milioni e poi l'anno successivo a 72 milioni. Niente a che vedere con lo zero contemplato dalla classe dirigente.
In uno dei suoi caratteristici interventi aggressivi il giornalista ha detto: "Spero nasca il sindacato dei dimissionari che ci spieghi come si fa a truccare le cose e quindi come si fa anche a riformarle".
Wallstreetitalia
L’abitudine,
da parte dei politicanti di casa nostra, di utilizzare denaro pubblico per
soddisfare le proprie esigenze personali (anche le più bizzarre) è inveterato
nel nostro paese. Hanno fatto da apri pista i grandi nomi delle ruberie
partitiche: i Penati (PD), i Fiorito (ex PDL), i Lusi (Margherita), i Belsito
(Lega Nord). Ma questi erano professionisti della grassazione: rubavano in
grande stile, avevano, a loro modo, una certa dignità, un senso del decoro e
della grandezza. Bisogna saper rubare. Non è da tutti. Come è facile notare, si
tratta di politicanti trasversali, non esistono più barriere ideologiche.
Quando si tratta di fare man bassa sono tutti nella medesima imbarcazione. Poi,
cammin facendo, si sono prima timidamente, poi a valanga, affacciati alla cronaca
dei ladri di mezza tacca, per lo più amministratori locali, che però mancavano
della professionalità, della tecnica, del “savoir faire” dei grandi ladri di
casa nostra. Il caso della giunta regionale siciliana, il governatore del
Piemonte Cota, il prof. (professore, e di che?) Scialfa della giunta regionale
ligure, sindaco e vicesindaco dell’Aquila, e via discorrendo. Non passa giorno
che non si scopra qualche malversazione nei conti dei partiti, si a a livello
locale che nazionale. Ma qui il caso è ben diverso: siamo lontani dalle
operazioni compiute dai giganti della corruzione come Penati, Lusi o Fiorito.
Questi sono ladri da operetta, poco più che dei volgari rubagalline. Basta
leggere la loro nota spese (sempre a carico dei contribuenti, si capisce):
compaiono futilità come cene, colazioni, cioccolatini, fazzoletti, foulards,
cravatte, corse in taxi per tragitti brevissimi, e, sempre e comunque, mutande.
Quest’ultimo capo di abbigliamento non è mai assente nella nota spese di questi
ladri di polli. Ci deve essere una ragione se questi politicanti sono
irresistibilmente attratti da questo capo intimo: ma ci vorrebbe uno
psicoanalista per capire cosa simboleggiano le mutande per costoro.
Probabilmente la risposta è più semplice di quanto ci si possa attendere. Le
mutande rappresentano il massimo segno di disprezzo, di arroganza, di protervia
per le risorse pubbliche. Sono un amministratore pubblico, quindi posso
permettermi qualunque bassezza, mi posso macchiare di qualunque mascalzonata,
alla faccia dei contribuenti e dei cittadini. Mi ci compro persino le mutande
con i loro soldi, faccio parte pure io della casta, io vado in crociera, i
cittadini se lo prendano sotto la coda. Solo così, con il totale disprezzo per
la cosa pubblica e per i cittadini che li hanno, ahimè, eletti, si può spiegare
l’attaccamento morboso alle mutande. Questi tristi figuri sono del tutto
paragonabili, come accennato più sopra, ai ladri di polli che, nottetempo,
penetrano in qualche pollaio del contadino e rubano qualche gallina, se ci
scappa anche le uova appena deposte. In un periodo in cui l’economia attraversa
il sesto anno di contrazione globale, e, a dispetto di quello che ci vengono a
raccontare, l’emorragia di posti di lavoro non accenna a diminuire, l’operato
di questi signori non si sa se fa più pena, schifo o malinconia.