Mentre stanno andando in onda cori festanti per la possibile crescita del PIL dell’Italia del primo trimestre, che, secondo l’Istat, sarà di appena lo 0.1% (con un intervallo che va da -0,1% a +0.3%), noi ci portiamo un po’ avanti e cerchiamo di capire perché è assai difficile immaginare un lieto fine per l’Italia.
Eppure, assumere un atteggiamento più pragmatico dovrebbe essere caratteristica imprescindibile di ogni governante, soprattutto che se questa performance (?) giunge dopo 20 trimestri di crescita negativa su 28 (7 anni) e dopo che l’italia ha perso almeno 330 miliardi di PIL, senza considerare tutti gli altri dati che sentenziano senza mezzi termini il livello di distruzione prodotta dalla crisi.
Che esistano fattori che
inducano a pensare ad un miglioramento dell’attività economica, è fuori da ogni dubbio. L’euro
debole che favorisce le esportazioni, il prezzo del petrolio sceso del 50% e le
manovre espansive della Bce, sono elementi che, gioco forza, dovranno
necessariamente tradursi in qualche beneficio per l’Italia. E sicuramente sarà
così.
Ma questo potrebbe non
bastare,
soprattutto in ottica futura, quando le condizioni si faranno meno favorevoli.
Per spiegarlo, partiamo con un semplice disegnino, che già basterebbe a
smorzare i toni di esultanza, ampiamente infondati.
Che si vede? Si vede una cosa molto semplice,
ossia che dalla fine della recessione del 2009 (terminata nel II trim. 2009) tutte
le economie si sono riprese: tutte, tranne l’Italia che nel frattempo ha
conosciuto altri tre anni (abbondanti) di profonda recessione dalla quale
stenta ancora a riemergere. Magari si potrà discutere sulla qualità della
crescita di quelle economie che hanno superato la crisi del 2009, ma non sul
fatto che siano cresciute.
La ripresa intervenuta
in quelle aree, per larga parte, ha consentito all’Italia di mantenersi a galla (ma anche no) per via delle
esportazioni, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella tenuta dell’Italia e
che, in un certo qual modo, hanno compensato (almeno in parte) la caduta dei
consumi e degli investimenti interni.
A dire il vero, che
l’Italia esprima livelli di crescita significativamente più ridotti rispetto ad
altri Paesi, non è un
fatto nuovo e nemmeno recente. Prediamo un’altro grafico che conoscete già.
Qui, l’orizzonte si
allunga fino al
1980. Si osserva che l’Italia, almeno fin dalla metà degli anni 90, ha
registrato delle performance sempre più distanti da quelle delle altre economie
(che sono cresciute), e la situazione si è aggravata significativamente dopo il
2000, diventando disperata dopo la recessione del 2009. Da ciò concludiamo che
l’Italia, almeno negli ultimi 20 anni, ha mostrato una capacità di crescita
assai limitata rispetto alle altre economie e la situazione è andata via via
aggravandosi fino ad arrivare ai giorni nostri.
Detta in altre parole, possiamo aggiungere che l’Italia,
almeno negli ultimi due decenni abbondanti, ha dimostrato una cronica impossibilita/incapacità
di crescita, che si è tradotta in livelli di Pil talvolta stagnanti e, negli
ultimi anni, addirittura in forte diminuzione. La situazione è di tutta evidenza, aggravata dal debito pubblico in forte ascesa dal 2008, a fronte di
livelli di crescita quasi stagnanti o addirittura negativi negli ultimi anni.
Ora, dicevamo che la
favorevole congiuntura internazionale degli ultimi anni ha offerto un prezioso
contributo alle esportazioni, consentendo all’Italia di non precipitare del tutto.
In una economia, come quella italiana, che cresce solo se al traino di altre
economie (e sotto questo aspetto, la posizione di vulnerabilità dell’Italia si
è ulteriormente aggravata) la domanda esterna costituisce elemento
cruciale che, soprattutto negli ultimi anni, ha consentito di colmare
almeno in parte la caduta dei consumi e degli investimenti privati.
Ma questa medaglia, come
tutte le altre, ha anche il suo rovescio. Ossia, che l’eventuale rallentamento dell’attività
economica estera (sopratutto se forte) rischierebbe imprimere un duro colpo
all’Italia, stante la posizione di estrema fragilità che si protrarrà ancora
per un lungo periodo di tempo. Detta in altre parole, possiamo dire che
le altre economie si trovano in una fase di ciclo economico assai più avanzata
rispetto all’Italia.
Non vi è dubbio che
quando queste economie rallenteranno l’espansione o, peggio, precipiteranno in
recessione, l’Italia
sarà costretta a pagarne un prezzo altissimo per via della fragilità e per via
del fatto che, quando accadrà, con ogni probabilità, si troverà ancora a farei
conti con l’ultima crisi che è ben lontana dal considerarsi risolta.
A quel punto, è assai
difficile immaginare che l’Italia possa trovarsi nella condizione di arginare
una forte riduzione dell’attività estera, magari per via di maggiori consumi interni o maggiori
investimenti. La realtà è che l’Italia, da questa crisi, ha subito un durissimo
colpo e una parte certamente non marginale del tessuto produttivo è andata
distrutta.
Il quale tessuto
produttivo, per potersi rigenerare e ricreare, presuppone periodi temporali
dilatati rispetto a quelli a disposizione dell’Italia e, soprattutto, presuppone che
vengano rimossi tutti i fattori che ne hanno determinato la scomparsa e la
distruzione. Non mi sembra che il quadro di riferimento abbia subito
significativi cambiamenti, né che possa essere modificato nei tempi solleciti
richiesti dalla gravità della situazione italiana.
Certo, come ha scritto
in questi pixel
il prof Orsi, l’Italia potrà
essere “tenuta a galla” artificialmente (dalla Bce) per un periodo di tempo
piuttosto lungo, ma non indefinitamente, perché nel frattempo l’economia reale
continuerà a deteriorarsi e il rapporto debito/Pil continuerà ad aumentare.(source)