Non ho mai avuto simpatia per
Fabio Fazio. La sua piaggeria verso tutto e tutti, le sue buone maniere
ipocrite, la sua leziosità, la sua melensaggine mi hanno sempre procurato un
certo disagio. Come recita il suo cognome, nonostante i modi manierati ed il
suo falso garbo, Fazio è estremamente fazioso. Lo è nel senso più deplorevole
del termine: maschera la sua appartenenza acritica al Partito Democratico con
un buonismo di stampo veltroniano, divenendo così un uomo per tutte le
stagioni, esponente, pure lui, del “maanchismo” che ha reso celebre Veltroni.
Gli piace Bersani, Vendola e Di Pietro, “ma anche” Casini, La Russa e Alfano.
Il suo modo di parlare, studiato a tavolino (a meno che non ci troviamo di
fronte ad un caso di balbuzie felicemente risolto), con la ripetizione, all’esordio
di ogni discorso, delle prime sillabe, la sua voce carezzevole, mai un tono più
alto del sussurro, l’apparente calma olimpica, le sue maniere da gentleman un
po’ agé, il suo essere sempre composto, le sue giacchette stazzonate e le sue
cravattine strette, il suo sforzo continuo di sedare animi potenzialmente in
rivolta, procedendo come un moderatore che inviti costantemente alla serenità i
suoi ospiti, tutto insomma fa di lui un perfetto ipocrita. Il suo comprimario Roberto
Saviano, scrittore fallito e predicatore finito, viene, consapevolmente o meno,
utilizzato dal nostro Fazio solo per mettere in risalto la sua fioca
personalità, e mettere in luce una personalità altrimenti perfettamente
anonima. Saviano, scrittore per una sola stagione, incapace di produrre altro
che non riguardi la camorra, la benedetta camorra che gli ha dato visibilità,
stringe il sodalizio con il damerino Fazio per trovare una strada qualunque che
possa, in assenza totale di idee nuove,
protrarre in qualche modo il suo mestiere di predicatore televisivo. Saviano
non sa scrivere e non sa parlare. Il libro “Gomorra”, praticamente l’unico
scritto, è di un tedio mortale, si fatica non poco ad arrivare all’ultima
pagina. La sua scrittura è piatta e priva di originalità, come il suo parlare.
Il film tratto dal libro dell’ottimo regista Garrone, non solo con il libro ha
poco a che fare, ma è un’opera che surclassa di gran lunga il barbosissimo
libro di Saviano. Raramente è accaduto che un film tratto da un libro faccia
meglio di quest’ultimo: questa volta è accaduto. Si tratta di due personaggi
sopravvalutati, specchio fedele della povertà assoluta della televisione di
oggi. Giulietto Chiesa giudica l’85% della TV da buttare, credo non sia lontano
dalla verità. Le tre serate di Fazio e Saviano, dall’elevatissimo tasso
zuccherino, mi hanno procurato un paio di nuove carie dentarie. Un programma
noiosissimo che affondava nella melassa dei buoni sentimenti, della più trita
banalità, dell’ovvio, dello scontato, del più vieto luogo comune, ci ha fatto
scoprire che, tutto sommato, il bene è da preferire al male. Bene, ottimo
risultato, dopo la visione delle tre serate siamo maturati non poco. Saviano,
che ha stufato la grande maggioranza dei cittadini, deve tutto a Fazio, ma
presto non sentiremo più parlare di lui. Quanto a Fazio, qualcuno può liberarci
di questa triste presenza? Il nostro rispetto va piuttosto a persone come
Santoro, una persona discutibile ma autentica, sanguigna, che dice pane al pane
e vino al vino, non si trincera dietro i modi da manichino di Fabio Fazio. I
suoi duetti con Gramellini sono indimenticabili: quando il giornalista della
Stampa accenna un minimo di indignazione per una notizia che farebbe venire i
capelli diritti a tutti quanti, Fazio lo invita alla moderazione, a comprendere
le ragioni degli altri, a moderare i toni e ritrovare la calma. Con quella
faccia da prete, sarebbe stato un ottimo benedettino. Ma dietro le apparenze
buoniste e caritatevoli, si cela una personalità che ha preso nettamente
posizione, sebbene in modo puramente retorico: a favore sempre e comunque degli immigrati, siano essi
regolari o no, siano essi criminali o no. A favore delle donne, degli anziani,
dei bambini, dei più deboli, degli ultimi. Il suo spirito caritatevoli non
conosce limiti: è rivolta soprattutto agli esponenti del PD, anche quando sono
indifendibili, come nell’occasione nella quale, in Senato, hanno in blocco
votato per il mantenimento degli stipendi e della pensione basata sul retributivo
dei manager pubblici, una vergogna incancellabile. La sua figura mi fa venire
in mente una felice frase di Pasolini: “E’ talmente ipocrita che quando
l’ipocrisia lo avrà ucciso, precipiterà nell’inferno e si dirà in paradiso”.
Dispiace per i non pochi ottimi autori che hanno partecipato alla sua kermesse:
non ci hanno fatto una buona figura in quel polpettone troppo dolce. Non ci
troviamo quasi mai d’accordo con questo personaggio, è per questo che ne
abbiamo fatto un quadro così poco edificante: è proprio grazie ai politicanti
che lui ammira e adula sempre che ci troviamo in una situazione di disperazione
mai vissuta dal dopoguerra a questa parte. Non abbiamo bisogno di narcisisti
mascherati da seminaristi, abbiamo bisogno di intrattenitori veri, autentici da
una parte, e di politici che sappiano il fatto loro dall’altra parte. Ma
temiamo di essere costretti, in entrambi i casi, ad abbassare l’asticella delle
nostre pretese. In ogni caso, tanto per fare tre nomi a caso, Lilli Gruber, Lucia Annunziata e Luisella Costamagna fanno il loro mestiere
egregiamente, senza cadere nella
stucchevole banalità di Fazio. Strano, sono tre donne: che sia meglio, in
politica come nell’intrattenimento, un po’ più di rosa, nella carta stampata
come in televisione?