venerdì 19 agosto 2011

SCENDENDO

Se c’è una cosa che, a questo punto, tutti, compresi quelli che non hanno particolare dimestichezza con economia e finanza, hanno capito pienamente è che siamo vicini al crollo finale: non sappiamo ancora bene come e quando, ma sappiamo che il mondo così come lo abbiamo conosciuto finora, cesserà di esistere. E’ chiaro che non sarà la fine del capitalismo, almeno non subito, ma è certo che siamo alla vigilia di una lunga, difficile transizione tra un sistema e l’altro. Il liberismo sarà costretto ad apporre dei correttivi al suo sviluppo anarchico, la globalizzazione conoscerà, probabilmente, un forte ridimensionamento. I vincitori sono noti, i vinti anche: ma una Cina trionfante in mezzo ad un cumulo di macerie ha poco da stare allegra. I giornali di questi giorni titolano sui timori di recessione: viene da ridere. Come se non  sapessimo che ci stiamo già nella recessione, e da un pezzo. Come già detto, non si tratta di una crisi economica e neppure di una “grande recessione”, si tratta di una “contrazione”, un evento assai più grave della recessione, perché oltre alla crisi della produzione e del consumo, si affianca quella del livello di indebitamento dei vari paesi. Queste contrazioni, eventi rarissimi, al massimo uno ogni secolo, necessita di qualche decennio per risolversi. Il cosiddetto “vertice” tra Francia e Germania, non esente da qualche aspetto addirittura ridicolo, doveva tranquillizzare i mercati e ha ottenuto l’effetto contrario. E’ servito solo a sottolineare il fatto che non ci sono soldi per salvare tutti, che l’euro a due velocità si può fare, che i paesi in affanno devono arrangiarsi da soli. L’elemento che fa sorridere è che neppure loro si salveranno. Credono di essere il “direttorio” dell’Europa, di dettare l’agenda politica degli stati europei e non sanno che tra poco toccherà anche a loro. Dagli USA i dati macroeconomici sono pessimi, non lasciano alcun margine di speranza ad una inversione di tendenza. Cadremo, dunque, dopo questa manovra ce ne vorrà un’altra e poi un’altra ancora, e di manovra in manovra scivoleremo nella povertà. Non c’è un solo indicatore finanziario che lasci intravvedere un futuro diverso dal fallimento. Piovono le vendite sui bancari perché, con il nuovo regime di tassazione, non conviene neppure più investire in titoli, azionari e obbligazionari. Un risparmiatore medio, a questo punto, ritira quello che gli resta in banca e lo investe in oro o lo porta in Svizzera. Solo i ricchi possono permettersi ancora le rendite finanziarie, al risparmiatore medio, considerato il probabile taglio del tasso BCE all’1%, è difficile fare il solito discorsetto di stare fermo per attendere che passi la tempesta e arrivino tempi migliori. Tutti abbiamo capito che non passa nessuna tempesta e tempi migliori non ci saranno più. Lo spread tra BTP e bund ricomincia a crescere, l’effetto acquisizione da parte della BCE di titoli italiani è già finito.
Che fare, allora? Andarsene dall’euro prima che siano gli altri a buttarci fuori, e in un tempo in cui l’euro esiste ancora. La cosa è tecnicamente difficile, me ne rendo conto, ma non ci sono molte alternative. Il tasso di conversione è pressocchè stabile, stimato attualmente a 1939 lire per un euro. Il problema, piuttosto, sarebbe la svalutazione reale, che si potrebbe aggirare intorno ad un 30%, con la conseguente svalutazione dei nostri risparmi, che per una buona fetta, svanirebbero. I salari perderebbero una considerevole quota di potere di acquisto, ma a tutto questo potrebbe corrispondere il battere moneta senza particolari vincoli (ma cercando di limitare l’inflazione), ridare la parola alla Banca d’Italia per stabilire i tassi di sconto, che potrebbero essere tagliati fino allo 0,25%, come negli USA. In questo scenario il nostro paese, che possiede ancora una struttura industriale, potrebbe fare ripartire la nostra economia, ricominciando ad esportare in lire, divenendo di nuovo competitivo, e pervenendo in questo modo alla tanto agognata crescita del PIL, che potrebbe ricominciare a guadagnare punti, presupposto fondamentale per ristabilire un equilibrio economico. Ma gestire un simile passaggio necessita di personalità di grande statura, economica e politica, noi invece abbiamo gente come Brunetta, che pur spacciandosi per economista, non appare sinceramente in possesso di doti di grande statista.
Crolleremo dunque, malamente e insieme agli altri, nel caos e nell’incertezza, senza tentare neppure di mettere mano ad una contromisura. Dovremmo essere in grado di governare la caduta, e invece cadremo malamente facendoci molto male. Bisognerebbe gestire il crollo, ma con i politicanti che ci ritroviamo non sarà possibile. Chiariamo: per caduta intendiamo il default, il fallimento del nostro stato, e, conseguentemente delle nostre banche, data la stretta connessione tra stato e istituti di credito. Questo provocherebbe la ristrutturazione del debito, che comporta il coinvolgimento dei soggetti privati nel fallimento. In soldoni: i risparmiatori e gli investitori si vedrebbero il valore nominale dei propri titoli tagliato di un 20 – 25%, e un possibile differimento del rimborso. Una stato fallisce quando non è più in gradi di rimborsare ai risparmiatori quanto essi gli hanno prestato. Ovviamente non sarà lo stesso per tutti i titoli: i prodotti subordinati, o, peggio, derivati,  sono a rischio di rimborso zero. In questo caso al risparmiatore che ha investito in titoli potenzialmente pericolosi resterebbero in mano solo un pacco di carte bollate. La caduta dell’Italia, probabilmente contestuale a quella della Spagna e forse del Belgio (Grecia, Irlanda e Portogallo sono già falliti) provocherebbe comunque la fine dell’Euro. Per questa ragione, proponevo di giocare d’anticipo sfilandoci fin d’ora dalla moneta unica e cercando di percorrere il difficile cammino di una resurrezione a partire dalla nostra valuta. Così non sarà, prepariamoci allora al peggio. I fatti di Londra e, in queste ore di Berlino, ci indicano che non si tratta di disordini dovuti a motivazioni poitico-ideologiche: si tratta di una manzoniana rivolta del pane. Sono i consumatori che non riescono più a consumare. E’ una lezione per tutti. Tra non molto queste rivolte arriveranno in Spagna e quindi in Italia. Prepariamoci ad un periodo di grande instabilità sociale e politica, con questo governo letteralmente alle corde, ed una opposizione che appare sempre più attonita dinanzi alla crisi che incalza. Torneremo alla lira, dunque, un euro a due velocità è solo una trovata, neppure troppo originale, finalizzata a rimandare l’estinzione della moneta europea. Ma non è detto che sia il male peggiore. Finora abbiamo fatto quello che voleva la Germania e la BCE, il suo braccio armato. Ora basta. Uscire dal vassallaggio tedesco non è di  per sé un male: ci attendono anni di sacrifici, questo è certo, ma con una nuova lira, governata da noi senza supervisioni franco tedesche, sarà possibile, in uno scenario diverso, con una globalizzazione ridimensionata, e delle regole dei mercati modificate, una lenta ripresa. Sarà difficile per tutti, questo è sicuro, ma non abbandoniamoci alla disperazione e allo sconforto. Pensiamo che, se non altro, finirà questo lento e insopportabile stillicidio, e che finalmente saremo noi e solo noi gli artefici dei nostri destini.