E' chiuso nel carcere di Bergamo
Luigi Martinelli, l'imprenditore di 54 anni che ieri, armato, ha preso in
ostaggio clienti e dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia
(Bergamo) e si è arreso solo dopo sei ore, un intero pomeriggio. Ha passato la
notte nella caserma dei carabinieri e poi è stato condotto al carcere dove
dovrà svolgersi l'interrogatorio di garanzia.
E' ovvio che non solo casi come
questo sono destinati a ripetersi, ma che si tratta di un primo campanello di
allarme che dovrebbe muovere tutti noi ad una attenta riflessione. Le politiche
suicide della Merkel e di Sarkozy ci hanno condotto, a livello europeo, ad un
passo dal baratro. Monti deve chiudere in fretta il capitolo dei tagli alla
spesa pubblica (cd. “spending review”) e procedere speditamente a politiche di
investimenti pubblici per creare nuova occupazione. Le banche devono essere in
grado di poter tornare a fare le banche e non strangolare i clienti,
risparmiatori e imprese, con la stretta creditizia. Occorre però aggiungere, a
questo riguardo, che gli istituti di credito sono giornalmente colpiti da
formidabili ribassi nelle principali borse europee. La pioggia di vendite cui
sono oggetto mette costantemente a rischio la loro patrimonializzazione e il
livello di funding. Non è possibile, di conseguenza, scaricare ogni colpa sui
gruppi bancari. Il gesto di Luigi Martinelli ci racconta di una Italia alla
disperazione, il numero dei suicidi dovuti ad altrettanti fallimenti di impresa
ci fa intravvedere uno scenario di conflittualità sociale cui siamo alle porte,
e che, considerando che la forchetta tra classe ricca e classe media (che si
sta livellando sulla povertà), è sempre più larga, si aprono scenari di aperta
rivolta sociale. Non ci resta molto tempo. Tra non molto, terminati gli ultimi
risparmi, qualcuno comincerà ad imbracciare il fucile e a sparare, senza sapere
neppure bene a chi indirizzare le proprie munizioni. Il “pomeriggio di un
giorno da cani” vissuto dal Sig. Martinelli non è che il preludio a quello che
verrà.
Per l'ennesima volta, a costo di
diventare noiosi, ci ritroviamo a parlare di crisi e di come uscirne. Tutti
noi, anche i meno esperti in economia e finanza hanno la netta sensazione di un
girare a vuoto, di essere entrati in un circolo vizioso senza uscita, di un
continuare a stare a galla avendo perduto la barra del timone e andando alla
deriva. Le cose stanno, più o meno così. Siamo entrati non in un tunnel, ma,
per le politiche restrittive di fiscal compact della Germania, in un cul de sac
che non prevede uscite. Non possiamo, unilateralmente, cambiare politiche
monetarie, uscire dall'austerità, dotarci di una vera banca centrale. Vorremmo
farlo, ma i trattati europei ci vincolano a non farlo. Solo un cambio di rotta
dei governi francese e tedesco potrebbe modificare l'attuale, fallimentare
assetto. L'auspicabile vittoria di Hollande in Francia e di una sonora
sconfitta della Merkel in Germania potrebbero preludere ad un cambio di
direzione delle politiche economiche europee. Ogni studente del primo anno di
economia sa perfettamente che i provvedimenti di inasprimento della pressione
fiscale, di tagli alla spesa pubblica, di rigore e sacrifico finalizzati ad un
impossibile pareggio di bilancio sono controproducenti, generano solo
recessione e depressione. Se l'Unione europea seguita su questa politica
dettata dalla sola Germania perchè è la sola nazione a trarne profitto,
scivolerà lentamente nella depressione economica (un PIL negativo senza limiti
di tempo), tornerà comunque alle valute nazionali con tutti i riflessi
catastrofici del caso. Le politiche restrittive hanno questo di bello: non
possono andare avanti all'infinito. Si arriva ad un punto di rottura che
rappresenta anche un punto di non ritorno, rispetto al quale i governi stessi
non possono più fare nulla per
riemergere: è la bancarotta, il default. Ci si avvita sul debito
pubblico sino allo strangolamento, dovendo pagare interessi sempre maggiori ai
propri creditori, si arriva al punto che il tesoro dello stato non è più in
grado di pagare stipendi e pensioni: o queste ultime o le cedole ai creditori
che detengono i titoli di quello stato. Che cosa si può fare? Prima di tutto
devono uscire di scena la Merkel e Sarkozy (e probabilmente, spiace dirlo,
anche Monti) ed essere guidati da nuovi soggetti politici che trasformino la
BCE in una vera banca centrale. Cosa fa un Banca Centrale? Può stampare moneta,
iniettare liquidità, il quantitative easing necessario soprattutto alle banche,
collassate dalle vendite continue in borsa e dai titoli tossici che hanno nei
caveau. Diventare prestatore di ultima istanza, garante supremo che risponde
per tutti i paesi membri, nessuno escluso, può attuare, di concerto con i
singoli gruppi bancari, il deleveraging necessario per contrastare il credit
crunch di cui siamo vittime, privati e imprese. Tutti ci siamo resi conto che
non circola denaro, i capitali sono fermi, le stesse operazioni di LTRO (che
assomigliano vagamente al QE) non hanno contribuito a movimentare denaro,
perchè le banche, stremate da una sempre più scarsa patrimonializzazione,
preferiscono depositare i quattrini ricevuti ad un tasso agevolato presso la
BCE stessa. Ai governi nazionali spetterebbe il compito di attivare politiche
vere di sviluppo economico, procedendo anzitutto a politiche di investimenti
pubblici, nelle infrastrutture, nei servizi, nella valorizzazione del proprio
patrimonio storico artistico. Più che privatizzare, è l'ora di nazionalizzare.
Occorre istituire un unico Ministero dell'economia e delle finanze europeo, che
regolamenti i mercati almeno per quanto è possibile fare: limitando al massimo
i futures speculativi, le vendite allo scoperto, regolamentando i fondi hedge,
introducendo la ben nota Tobin Tax,
cercando, nei limiti del possibile, di disintossicarsi da prodotti
strutturati come derivati e cartolarizzazioni. Dalla riunione dell'Ecofin non è
uscita una, una sola posizione univoca. E' un quadro desolante. Siamo divisi su
tutto, si fanno vertici e summit a livello europeo non accordandosi su nulla, e
continuando a navigare a vista, sperando che un bel giorno tutto questo
finisca. Sembra incredibile che la classe politica europea sia così miope da
non comprendere che continuando a vivacchiare, a galleggiare come stiamo facendo
da mesi e da anni la nostra sorte, prima o poi, è segnata. Ci saranno paesi che
ne usciranno maciullati, come la Grecia, altri che subiranno danni inferiori,
ma dall'implosione dell'euro, ne usciremo tutti, nessuno escluso, malconci. Se
Sarkozy dovesse prevalere, e soprattutto se la Merkel o il suo partito
dovessero ottenere una nuova vittoria nel 2013, possiamo dirci perduti. Nessuno
sarà più in grado di salvarci dalla catastrofe costituita dall'estinzione
dell'Euro, e dal conseguente fallimento di uno stato dopo l'altro. Se le cose
dovessero disgraziatamente andare così, l'unica soluzione percorribile per
l'Italia sarebbe una uscita anticipata dall'euro, che gli altri siano o meno
d'accordo. Ricordiamoci sempre che il primo ad uscire sarà anche quello che patirà
i danni minori.