lunedì 21 maggio 2012

UNA VITA VIOLENTA


C'è un sottile filo rosso che sembra collegare avvenimenti non altrimenti correlabili, la catena di suicidi di imprenditori, l'attentato al dirigente dell'Ansaldo Energia, le prime manifestazioni violente davanti a sedi di Equitalia, l'ordigno esploso davanti alla scuola di Brindisi, persino il terremoto emiliano. Non ci sono dei nessi precisi tra un evento e l'altro, tuttavia, lo sentiamo epidermicamente, qualcosa si sta muovendo, non sappiamo bene ancora in quale direzione, ma avvertiamo che qualcosa di muto, scuro, orribile si sta spostando da noi o contro di noi. E' quel lato oscuro di tutte le cose, l'altra faccia della medaglia, il malessere che tutti ci percorre, i demoni che si agitano nel nostro inconscio, l'aggressività per troppo tempo repressa, la pulsione di morte e annientamento che si annida in ognuno di noi, in un angolo nascosto. I Maya non c'entrano, la contrazione economica mondiale, viceversa, c'entra eccome. Sapevamo tutti che prima o poi, la recessione, i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, l'erosione dei risparmi delle famiglie, l'accesso precluso ai mutui, la cattiva politica, avrebbero prodotto delle conseguenze anche sociali, avrebbero causato dei riflessi psicologici in ognuno di noi. Sono passati quasi cinque anni dall'inizio della crisi, cinque lunghi anni, e non solo non è cambiato niente, stiamo anzi entrando nella parte peggiore, quella più acuta, di questa contrazione mondiale che non potrà che durare diversi decenni. Non parliamo dei non pochi stra ricchi che della crisi se ne fregano e continuano a veleggiare sui loro panfili, ma della maggioranza della popolazione che, ciascuno a suo modo, sulla base della sua vita precedente, si trova ad affrontare un quadro del tutto inusitato per il nostro mondo, mai conosciuto dal dopoguerra a questa parte: lo spettro della miseria. Miseria in senso anche lato, povertà di mezzi, scarso accesso al credito, rinuncia quotidiana a cose ritenute sino a ieri normali, l'essere soggetto ad un costante bombardamento mediatico fatto ormai solo di notizie negative, siano esse di borsa come di cronaca. Ecco, uno degli aspetti che deprime l'umore, oltre che i consumi, e uno dei tratti distintivi di questi aridi e incapaci tecnici che ci governano, la totale assoluta, assenza di speranza. Fa parte dell'arte politica (del tutto sconosciuta ai nostri politicanti di mestiere, lanzichenecchi che si venderebbero per trenta denari) la tecnica della comunicazione, l'arte del mediare e colloquiare con gli elettori. Un buon politico è colui che non solo sa amministrare la cosa pubblica, ma sa anche infondere speranza, non illusioni, traccia un piano, un programma allo scopo di raggiungere un obiettivo, una meta prefissata. Solo in questo modo l'opinione pubblica accetta sacrifici e privazioni: solo quando ha la sensazione di marciare verso qualcosa, di camminare nella direzione indicata dal premier di turno che porterà ad un miglioramento, ad una crescita, ad una condizione migliore. Quello che i tecnici non sanno e non possono fare è anche questo. Si ha la sensazione di essere soli tra migliaia di persone, di girare a vuoto, senza meta e senza rotta, di procedere da una manovra finanziaria e l'altra, perchè l'obiettivo, anche se sottaciuto, non è lo sviluppo economico e lo sgravio fiscale, ma il pareggio di bilancio, una chimera irragiungibile, che Monti, appartenente alla stessa scuola della Merkel, intende perseguire. E questo è uno dei fondamentali errori di questo governo. Non ci si può trascinare da una manovra all'altra, sempre più immiseriti, sempre più poveri, sempre più scontenti. L'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio è stata la più colossale sciocchezza che questo sciagurato governo ha commesso. Non si mette in Costituzione un'illusione. Non raggiungeremo mai il pareggio, perchè se il denominatore del rapporto debito pubblico/PIL rimane negativo, possiamo fare non una ma venti manovre, il saldo resterà negativo. La crisi si riverbera in ognuno di noi, dicevamo, in maniera diversa, a seconda della nostra natura, dei nostri trascorsi emotivi. C'è chi reagisce con rabbia, aumentando gli sforzi per tirarsi fuori dal pantano e restare a galla, c'è chi si chiude, si ripiega su se stesso, deprimendo sé e la sua famiglia, c'è chi manifesta la violenza latente che alberga in ognuno di noi. I conflitti armati, lo abbiamo ripetuto più volte, si sono trasferiti sul piano dell'economia e della finanza, e l'Italia raramente è uscita vittoriosa da qualche conflitto. Ancora una volta, come una nemesi storica, la Germania ci sta trascinando in questo bagno di sangue, macellando prima la Grecia, cercando adesso di fare la stesa cosa con Portogallo , Spagna e Italia. I tedeschi hanno sempre perduto i conflitti che hanno scatenato, ma prima della sconfitta hanno lasciato parecchie vittime lungo la strada. In definitiva, come largamente preannunciato, siamo entrati a pieno titolo in quella che si definisce “instabilità sociale”, che fino a che si manifesta con qualche sporadico attentato, con qualche azione isolata o qualche colpo di testa è ancora controllabile, quando, se le cose dovessero peggiorare e dovessimo andare incontro ad una “ellennizzazione” potrebbe sfociare in aperti moti rivoluzionari, in guerra civile, qualsiasi forma di controllo risulterebbe assai difficile.
La crisi ha un padre remoto ed uno più vicino a noi. Quello remoto è la finanza creativa degli USA, che concedevano allegramente mutui a messicani che non avevano un soldo, quello più vicino a noi è costituito dal ministro dell'economia tedesco Schaeuble e la cancelliera Merkel. Questa è la terza guerra mondiale che stanno perdendo, trascinando con sé tutta l'Europa. Ci auguriamo ardentemente che la sua posizione diventi minoritaria ed il suo ruolo di dirigente di fatto dell'Unione Europea volga al termine, ma intanto ci siamo rassegnati allo spostamento a Berlino della capitale d'Europa. L'immobilismo della Germania, il suo ostinato dire di no a qualsiasi proposta che non contenga la disciplina di bilancio, l'ossessivo richiamo al rigore e all'austerità hanno portato i paesi economicamente più deboli sull'orlo della depressione economica. Ci vuole slancio, un “new deal”, un “piano Marshall”, serve uno spirito diverso, rivolto tutto alla sviluppo economico e alla creazione di nuovi posti di lavoro, uno spirito fatto di interventi pubblici nell'economia, di nazionalizzazioni se necessario, insomma, l'opposto di quello che sta facendo la cricca di Berlino. Il nostro Monti, per quello che può contare, con i suoi 2.000 miliardi debito pubblico sulle spalle, non sembra aver assunto una posizione netta. Niente di più sbagliato in frangenti come questo. La terza economia dell'Europa deve assumere una posizione decisa, senza se e senza ma. Basta col rigore fino a se stesso, basta con i fiscal compact e le letterine da Berlino. O si emettono eurobond, spalmando il debito su tutti i paesi europei, o si stampa moneta a costo di veder accrescere l'inflazione, oppure, signori cari, vi piaccia o meno, l'Italia esce dall'euro. Al solo sventolio di una simile minaccia, la Merkel e il suo ministro farebbero un passo indietro. Loro sanno bene quello che hanno guadagnato con l'Euro, e sanno altrettanto bene che con il loro marco non andrebbero lontano. L'uscita del nostro paese dall'euro comporterebbe l'immediata esplosione della moneta unica che cesserebbe di esistere. Monti deve abbandonare il suo maledetto aplomb e la sua parlata soporifera: deve battere i pugni sul tavolo, se non è capace di farlo, se ne torni alla sua amata bocconi. Ci troviamo in un passaggio molto delicato, tutti sappiamo bene che non si arriverà mai agli stati uniti d'Europa, ma dobbiamo adottare, se non altro, strategie comuni volte alla crescita, non al rigore.
La violenza può prendere molte forme, può restare dentro di noi, e allora ci distrugge piano piano, può restare nello stretto ambito familiare, e allora diventa il carnefice della famiglia, qualche volta esonda i confini dei propri cari e sfocia in ribellione aperta. Allora tutto è possibile. Come abbiamo visto i conflitti si sono spostati dal piano della guerra guerreggiata, all'economia e ai mercati. Ci siamo dati un fisco che, con il nobile intento di snidare l'evasione fiscale, è diventato cieco, invasivo ed opprimente. Non contro i veri grandi evasori, nei confronti dei quali ci si guarda bene dal fare una patrimoniale, ma nei confronti del bersaglio più facile, più a portata di mano. La tedesca “Bosch” aveva una pendenza con l'Agenzia delle entrate di circa un milione di euro. Ha patteggiato ed ha ottenuto di pagarne solo trecentomila. E gli altri settecentomila? Andati in cavalleria. Con la Bosch si usa il guanto di velluto, con il contribuente italiano si pignora e si sequestra. Non ci lamentiamo se il cittadino sull'orlo del fallimento, invece di suicidarsi si scaglia contro l'Agenzia delle entrate, forte con i deboli e debole con i forti.
Ci stiamo avviando verso una stagione difficile, di forti tensioni e conflittualità sociale. Abbiamo visto chi sono i maggiori responsabili di questo stato di cose e quello che devono fare. Se non lo faranno, ci dobbiamo abituare a sentire, ogni tanto, poi sempre più spesso, degli spari sulla strada. Ciascuno di noi ha una carica di violenza che reprime perchè inquadrato e cresciuto in un consorzio civile, in una collettività organizzata, ma nelle congiunture emergenziali, nelle fasi più acute di una crisi, i confini delle convenzioni sociali si allentano fino a spezzarsi. E allora la violenza che è presente in ciascuno di noi ha libero corso, può individuare un bersaglio purchessia, scelto magari a casaccio, e liberarsi verso questo obiettivo, raggiungendo il duplice scopo di colpire un innocente e distruggere la propria esistenza. Ci riflettano i Soloni che sono al governo, nelle segrete stanze, che ad ogni loro azione corrisponde una reazione eguale e contraria.