mercoledì 22 giugno 2011

CRISI: SIAMO ENTRATI NELLA FASE 2

Inutile tergiversare: sebbene il Parlamento greco abbia per un soffio concesso la fiducia al governo del premier del Pasok Papandreou, il paese ellenico è tecnicamente fallito. Il suo rating sta per raggiungere l’ultimo gradino possibile, quello DDD, crack, fallimento, default. Gli aiuti che il fondo salva stati europeo concederà ancora, col contagocce, a partire da luglio, si configura come un accanimento terapeutico. Tutto il mondo finanziario sa benissimo che non esiste una cifra per salvare una situazione ormai al tracollo. Ha ragione Draghi nel voler, a tutti i costi, continuare a dare ossigeno ad Atene, spostando in avanti il pauroso debito del paese, non perché non sappia che non servirà ad evitare l’inevitabile, ma perché avere nella casa europea un paese in preda ad una guerra civile non è una prospettiva alettante. Tutti gli analisti concordano che la Grecia è condannata,prima o poi, ad uscire dalla moneta unica, a tornare alla dracma, a scivolare nell’imbarbarimento della povertà. Ma l’effetto contagio coinvolgerebbe Portogallo, Irlanda, Spagna, Belgio e, ahimè, Italia. In pratica, sarebbe la fine dell’Unione Europea. Una unione fondata solo sulla moneta unica, senza collante politico, rissosa, divisa su tutto, composta di paesi prontissimi a curare il proprio orticello e a sbranare chiunque cerchi di attentare ai piccoli, miseri, illusori privilegi conquistati. Il fatto di non essersi dati una costituzione, di non avere mai realizzato una federazione politica di stati, l’avere messo in piedi una istituzione come il Parlamento Europeo, poco più che simbolica, alla lunga, ha mostrato la corda. Il trionfo degli egoismi nazionali ci ha condotto dritti dritti verso la fase 2 della crisi: dopo la prima fase, inaugurata dal fallimento della “Lehman Brothers” e dai mutui subprime americani, nel 2008, abbiamo appena fatto ingresso nella seconda fase, se fosse possibile ancor più negativa: il fallimento di una nazione intera, la Grecia. La crisi economica ha fatto così una salto di qualità, pieno di incognite e di rischi. L’Italia cercherà di fare quello che ci è stato richiesto, la manovra da 40 miliardi in tre anni sarà varata, l’età pensionabile sarà portata prima a 67 anni, poi a 69. Ma non servirà. Nulla di questo genere potrà condurre a qualcosa di utile. Si taglieranno altre voci di spesa: l’istruzione, con la mancata assunzione di un numero sterminato di precari, con la chiusura degli Uffici Scolastici Provinciali (ex Provveditorati agli Studi), saranno introdotti nuovi ticket per la sanità, si chiuderanno altri ospedali, il welfare andrà a farsi benedire. E’ difficile conciliare risparmio di spesa e incentivi alla crescita economica, ci vorrebbe il mago Silvan e Tremonti non gli somiglia neanche un po’. Questa è roba da statisti, statisti veri, di grande statura intellettuale e di grande spessore professionale, merce rarissima nel nostro panorama politico. L’ impresa dalla politica non può e non deve aspettarsi nulla, non ci sono idee, non ci sono uomini in grado di fare riforme adeguate. Un paese che aumenta la pressione fiscale, introduce tassazioni su titoli di stato e rendite finanziarie, taglia anche dove non è più possibile tagliare, senza che a tutto ciò non corrisponda una reale crescita economica, è un paese destinato a fallire. Ma il pericolo che ci troveremo sul cammino non sarà quello di un fallimento dell’Italia, come paventato dai nostri politici incolti, è semmai l’effetto contagio che, coinvolgendo mezza Europa, decreterà la fine dell’Unione e l’estinzione dell’euro quale moneta unica. E’ ovvio per tutti che se il contagio default arrivasse all’Italia vorrebbe dire che l’intera architrave europea sarebbe già crollata. Il ritorno alla valuta nazionale, la nostra povera liretta, sarebbe talmente drammatico, da sconvolgere il paese dalle sue fondamenta. Il tasso di conversione aumenterebbe di un 50%, un euro per 4.000 lire, una spirale inflattiva alle stelle, la perdita drastica del potere di acquisto dei salari, l’insolvibilità delle banche, non più in grado di restituire i denari agli investitori, piccoli o grandi che siano, la speculazione internazionale sui mercati delle valute farebbe il resto. Una rivoluzione, gli spari per le strade, le guerra per bande, sarebbero alle porte. La fase 2 della crisi consiste, come abbiamo detto, nel fallimento dei primi paesi, Grecia in testa. Se dovesse verificarsi quello che paventano i mercati, vale a dire l’effetto domino, il nostro sangue freddo potrebbe smarrirsi.
Aveva sbagliato il comunismo, nell’idea un po’ assurda di livellare gli uomini appiattendoli verso l basso, non premiando capacità e talento, formando una classe, la nomenclatura, di privilegiati. Ha sbagliato il capitalismo nel porre all’apice dei propri valori il solo profitto. Ora è chiaro a tutti che un siffatto sistema socioeconomico può solo condurre alle distorsioni implosive che lo hanno fatto accartocciare su se stesso, portando il mondo intero al fallimento. La mia generazione non vivrà a sufficienza per assistere al cambiamento, al passaggio da un sistema all’altro. Peccato. La lunghissima agonia del capitalismo lascerà una moltitudine di vittime sul ciglio della strada, ma è così, e non possiamo farci niente. Sbagliava il marxismo, d’accordo, ma il suo sistema opposto, fondato sull’egoismo e sull’individualismo, ci ha condotto a questo punto, il punto in cui un pugno di sciacalli, giocando con la finanza hanno aperto le danze della crisi. Non si gioca con la finanza come al Monopoli, dietro alla finanza ci deve essere sempre l’economia, cioè il lavoro, e il lavoro, checché ne dica Brunetta, va rispettato. Uno dei rimpianti più grandi che ci sentiamo di esprimere è quello di non avere la possibilità di assicurare alle patrie galere i responsabili di tutto ciò. Queste persone esistono, hanno un nome ed un cognome, sono esseri umani come noi, ma vivono in qualche paradiso fiscale, totalmente impuniti.
E’ difficile trovare qualche motivo di conforto: una volta entrati nella fase 2 i margini di correzione dei conti diventano molto più difficili. Ci vorrebbe Keynes, ma di economisti di questa stoffa, in giro, non ce ne sono più. Noi abbiamo Brunetta. Non è molto. Possiamo confidare in Mario Draghi, che, a capo della BCE, con la sua saggezza e la sua lungimiranza, potrebbe pilotarci fuori dalle secche di una eventuale fase 3, che corrisponderebbe all’estinzione dell’euro. Se per disgrazia dovessimo entrare in questo stadio ulteriore, neppure Berlusconi,con le sue pozioni magiche, potrebbe impedire il declino inesorabile, la lenta discesa agli inferi della miseria, la lunga agonia della povertà.
 
AGGIORNAMENTO
Mi corre l’obbligo di aggiungere un ultimo, doloroso, aggiornamento: l’agenzia internazionale di rating “Moody’s” ha messo sotto osservazione, in previsione di un downgrade, sedici istituti bancari italiani e ha rivisto l’outlook da stabile a negativo di altre tredici banche. Le banche i cui rating a lungo termine sono stati messi sotto osservazione sono Intesa Sanpaolo (con le controllate Banca Imi e CariFirenze), Mps (Siena e la controllata Mps Capital Services), Cassa Depositi e Prestiti, Banco Popolare, Bnl, Cariparma e Friuladria, Banca Carige, Banca Sella, Cassa di Risparmio di Bolzano, Cassa di Risparmio di Cesena, Banca Padovana Credito Cooperativo, Cassa Centrale Banca, Cassa Centrale Raiffeisen e l'Istituto Servizi Mercato Agroalimentare. Per alcune di queste (tra cui Mps, Banco Popolare e Carige) sono finiti sotto osservazione anche i rating a breve. Le 13 banche italiane il cui outlook è stato rivisto a negativo sono invece Ubi Banca, Credem, Credito Valtellinese, Bancaperta, Banca delle Marche, Italease Banca Agrileasing, Banca Popolare Alto Adige, BancApulia, Banca Popolare di Cividale, Banca Tercas, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e la Banca Popolare di Spoleto. Alcune banche, come Unicredit e la Popolare di Milano, non sono state oggetto di provvedimenti perché hanno già prospettive negative sui rating. Questo per una duplice ragione: la relazione tra debito sovrano di una stato e i suoi istituti di credito è sempre più stretta, si tratta di una fitta rete di interconnessioni; in secondo luogo alcuni gruppi detengono nelle loro casse titoli greci e soprattutto un numero ancora imprecisato di derivati, i titoli spazzatura, praticamente inesigibili che, provocando una sofferenza, devono essere portati in perdita.  Qualcuno potrà obiettare: “ma ci sono praticamente tutti i maggiori gruppi italiani!”, e invece non è proprio così. Se è vero che sono coinvolte nell’osservazione banche come Unicrediti e Intesa San Paolo, è pur vero che, per esempio, non compare la Popolare di Novara. Perché? Probabilmente perché i suoi conti sono più in ordine, o i suoi dirigenti hanno attuato politiche di investimento più oculate. Spicca, purtroppo per i genovesi, la doppia presenza nelle “blacklist” del gruppo Carige, presente nell’osservazione a lungo termine, ma anche in quella a breve, con MPS e Banco Popolare. Non solo: Carige, con MPS e Banco Popolare sarà oggetto di osservazione anche per i programmi relativi ai "covered bond". La lista è completa. La Carige, un istituto quasi mitico per la sua solidità, finisce in una tripla osservazione, prova che il crollo delle certezze è davvero completo.
Lo spread tra titoli di stato italiani e bund tedeschi è schizzato a 208 punti, record assoluto. E il trend è negativo, nel senso che con il paese nel mirino delle agenzie di rating, non può che incrementarsi. Le ultime stime della crescita italiana sono allo 0,6%, vale a dire nulla, lo zero assoluto. Anzi, dal momento che sono arrotondare per eccesso, possiamo dire con buona approssimazione che l’Italia è in recessione. A completamento del quadro disastroso, l’affermazione di Bernanke, il numero uno della FED americana: “La Grecia minaccia l’economia del mondo”. Non è una sparata o una affermazione peregrina. La fonte è una delle più autorevoli del pianeta, peccato che si sia limitato alla diagnosi e non accenni alla terapia. L’affermazione di Berrnanke è posteriore alla pubblicazione del presente post: è una sostanziale conferma di quanto su esposto.
Riepilogando: la fase uno della crisi è stata scatenata dal fallimenti di alcune banche americane che concedevano mutui a famiglie non in grado di fronteggiarli: questo sistema, alla lunga, ha portato all’esplosione della “bolla immobiliare”americana. Il contagio con l’Europa è stato quasi immediato: i nodi hanno cominciato a venire al pettine. L’Irlanda, un paese che non possiede altro che verdi colline, brughiere e torbiere, ha giocato con la finanza creativa, producendo il collasso delle sue banche anzitutto, e dello stato in secondo luogo. I paesi periferici dell’Europa, Portogallo e Grecia, hanno fatto i conti, il primo con una struttura obsoleta e vecchi criteri di amministrazione, la seconda con una gestione delle risorse dissennata, condotta fino al suicidio in cambio del consenso politico. Sono trascorsi tre anni, tra alti e bassi, alternando periodi in cui le cose parevano andare meglio e altri in cui la fine sembrava più vicina. L’assoluta assenza di una qualsiasi politica comune da parte di tutti i paesi occidentali ha provocato l’effetto domino. Il contagio, dalla Grecia si è sviluppato a Portogallo, Irlanda, Spagna, Belgio e Italia. Eppure, nonostante i plurimi avvisi dei mercati e delle borse, questi paesi, in primo luogo l’Italia, si limitavano ad aspettare che passasse la nottata, a galleggiare sulla crisi confidando nella buona sorte, sprecando mesi ed anni in case di Montecarlo e lodi Alfano. La mancanza di una unione politica ha fatto il resto: ogni paese va per i fatti propri sperando di fare fesso quello che gli sta accanto, senza capire che da soli non si arriva da nessuna parte. La competizione con le nazioni asiatiche e del sud America è insostenibile: possiamo noi retribuire un operaio con una ciotola di riso come in Bangladesh? La deindustrializzazione doveva costringere un paese come il nostro ad attivarsi per sviluppare economicamente l’unica risorsa che possiede: i beni culturali. E invece niente: lasciamo marcire Pompei ed Ercolano, il Cavaliere Nero designa ministro del Turismo una soubrette come la Brambilla. Siamo alle comiche. Gli altri paesi europei non fanno molto meglio (ma sempre meglio), l’Europa non riesce a sviluppare gli anticorpi per reagire alla crisi che si avvelena sempre di più, e si nutre di contenuti nuovi. Dopo la prima fase, durata tre anni , tre lunghi anni in cui si doveva arrivare ad un governo europeo di larghe intese, ad una politica ed una economia pianificate ed unificate, siamo viceversa passati alla fase due, quella del fallimento delle nazioni. La frase di Bernanke va presa quasi alla lettera: la Grecia, fallita e tenuta artificialmente in vita, diventa la causa del contagio di altri paesi, tra cui l’Italia. Possiamo varare una manovra da 40, 50 ,80 miliardi, non servirebbe. I tagli alla spesa pubblica, le pensioni a 67 anni e stupidaggini del genere non servono a risollevare le sorti di un paese che se non cresce economicamente non può evitare la caduta. La fase tre consiste nel collasso del sistema finanziario internazionale: per l'Europa significherebbe l'estinzione dell'Euro, l’uscita dalla moneta unica da parte di tutti i paesi europei. Ognun per sé, con le proprie valute nazionali, correndo a viso aperto e col sorriso sulle labbra verso il baratro della povertà.
La divisione in tre fasi della crisi è una mia illazione, ma, ritengo, molto vicina alla realtà. L’unica, evidente, incertezza, è costituita dai tempi di questi passaggi. Potrebbero essere anche lunghi, di una decina d’anni, ma, considerata la brusca accelerazione di questi ultimi giorni, è facile immaginare tempi molto più brevi. E’ impossibile, in questo momento, dare consigli. Correre in banca a vendere i propri titoli (come stanno facendo molti di noi) non serve che ad alimentare una spirale che si avvita su se stessa. Si svendono titoli agli speculatori, trovandosi comunque, nel caso di fine dell’euro, con un pugno di mosche. Ancora una volta, la prudenza è probabilmente la strada migliore. Niente panico, attendere alla finestra, magari spostando qualcosa del proprio portafoglio, ma evitando di svendere bond il cui ricavato finirebbe, letteralmente, sotto un materasso pieno di tarli. Le crisi, soprattutto questa, sono cose serie, e vanno affrontate da persone serie, non dai dilettanti della politica che si trovano, Dio solo sa come, a governare questo paese.