domenica 27 novembre 2011

E' TEMPO DI RIMPIANTI


Soffermiamoci un momento, in questa domenica di fine novembre, questa giornata di pausa prima della caduta, prendiamoci un momento per qualche rimpianto. Molti penseranno che non è giusto, che bisogna andare oltre, che crogiolarsi nella malinconia non può che far male. Non è vero. Esiste un tempo per ogni cosa: domani riprenderemo la solita vita solo in apparenza, ben coscienti che nulla sarà più come prima, ma faremo ugualmente finta di nulla e ci dedicheremo alle solite quisquilie quotidiane. Oggi è tempo di rimpianti, di quello che avremmo potuto fare, e non abbiamo fatto, di come le cose sarebbero potute andare, invece di prendere la piega cui assistiamo. Lasciamo libero, dunque, questo spazio al rimpianto che non deve necessariamente essere malinconico: è solo una presa d’atto di quello che ci siamo, irrimediabilmente, lasciati alle spalle.
Rimpianto dunque, ma di che cosa? Rimpianto di aver perduto due o tre anni in case di Montecarlo, in squinzie dell’Olgettina, in Ruby Rubacuori, in lodi Schifani e Alfano, in processi brevi, in lotte alle intercettazioni, in processi Mills. Tutte cose che, francamente, a noi cittadini ben poco ne cale. Abbiamo inseguito un premier alla frutta, tutto dedito ai suoi passatempi e ai suoi guai giudiziari, che ci ha nascosto la crisi nella sua reale entità, fino all’ultimo: sono i mercati che sbagliano, noi siamo un paese sano, sono pieni i ristoranti, in aereo non si trova posto. Rimpianto di aver aderito all’Euro, ora lo possiamo dire, è stato l’errore più grave e madornale della storia repubblicana. Aver aderito all’Unione Europea, propagandata come la salvezza per le economie che ne facevano parte, foriera di una unione, chissà, anche politica, uno scudo contro la speculazione internazionale. Rimpianto di aver fatto parte di una istituzione costosa, mastodontica e inutile come il Parlamento Europeo, un organismo puramente decorativo, che si riunisce per deliberare sul nulla. Le regole dei mercati non sono cambiate, la finanza ha avuto le briglie sciolte, totalmente deregolata, il capitalismo si è auto cannibalizzato, divorando se stesso e chi vi aderiva. Uno dei presupposti del liberismo è appunto la crescita dei consumi indefinita, ma ad un certo punto, una società vecchia e malata come la nostra smette di crescere, dopo aver consumato tutto il consumabile, e allora comincia la curva discendente della campana gaussiana del capitalismo, sino a toccare il punto più basso, quello attuale. E’ nella logica stessa del liberismo, che ha implicitamente già scritta dal suo interno la sua stessa fine. L’odiato marxismo, applicato nella rivoltante realtà del socialismo decreta il suo fallimento, cade il muro di Berlino e le società si globalizzano. I paesi emergenti non sono più emergenti: hanno costi del lavoro infinitamente inferiori ai nostri, mantenendo però lo stesso livello di know how. I loro mercati interni, immensi, hanno un potenziale enorme. Mandano in pensione la vecchia Europa del Valzer. E allora, quando le cose si mettono male, nell’Unione europea che percorre la breve parabola di un solo decennio, si aprono le prime crepe, i primi distinguo: ci sono paesi virtuosi, che non hanno debiti pubblici smisurati e che storcono l naso davanti alle cicale del mediterraneo. Comincia la guerra mai dichiarata del tutti contro tutti. Si salvi chi può, del resto me ne infischio. L’Europa muore lentamente perché non si è saputa dare una unione politica ma neppure economica, il colmo della stupidità. Ha solo una moneta, un tenue collante che si sta squagliando. I più ricchi, i più “virtuosi” resisteranno qualche mese di più, forse qualche anno, prima di cadere anche loro nella depressione economica. C’è il rimpianto di essere entrati nell’UE e nell’Euro alle condizioni dei tedeschi, che da subito non hanno fatto mistero del ruolo che avevano intenzione di svolgere (non a caso, dall’inizio, la sede della Banca Centrale è Francoforte), li abbiamo lasciati colpevolmente fare, loro hanno cambiato il marco con l’euro alla pari, noi abbiamo bruciato 1936,27 lire, che nella realtà e nella vita di ogni giorno sono diventate mille lire per un euro. Rimpianto di non essere stati più avveduti, più incisivi nelle politiche comunitarie: una figura come quella di Prodi era troppo sbiadita per competere con Chirac o Helmut Kohl, eravamo destinati al naufragio. Rimpianto di aver avuto per due decenni una classe politica inetta, incapace e corrotta, scaturita da una legge elettorale che è una aberrazione giuridica. Gli inglesi, prudentemente, ci hanno mandato avanti: ancora una volta avevano ragione loro. Non sono entrati subito nell’Euro, hanno pensato andate avanti voi, poi vedremo. Hanno visto. E adesso si fregano le mani perché se è vero che il collasso dell’Euro e il probabile fallimento dell’Italia produrrà delle inevitabili conseguenze anche a loro, non saranno mai paragonabili a quelle che toccheranno a noi, poveri imbecilli che pensavamo di avere messo a punto una macchina da guerra imbattibile. Rimpianto di essere stati obbligati a licenziare una marea di lavoratori, che, in assenza di ammortizzatori sociali veri, come quelli francesi o tedeschi, si trovano adesso in mezzo ad una strada o alla mensa dei frati. Abbiamo gettato migliaia di famiglie nella disperazione, nella vana illusione che l’Europa ci avrebbe salvati, perché siamo “troppo grandi per fallire”. E invece falliamo lo stesso, comunque vadano le cose da domani in poi. Si potranno creare due Euro, si tornerà forse alle valute nazionali, non lo sappiamo adesso. Sappiamo che non servirà: un Euro1 in mano a tre paesi non va da nessuna parte, un Euro2 per tutti gli altri è l’anticamera del default. Rimpianto di aver per troppi anni vissuto al disopra delle nostre magre possibilità: l’Italia è il paese delle piccole e medie imprese, non abbiamo Microsoft, non potevamo sperare in una compensazione di un debito che si allargava sempre di più. Siamo stati penalizzati quando siamo entrati nell’Euro, lo saremo ancora di più, adesso, che ne usciamo. La nostra povera lira, si stima, subirà, rispetto all’euro , una svalutazione del 50 – 60%, vale a dire che siamo intorno ad un Euro per 5.000 lire. Vanno in fumo i nostri risparmi, la speculazione internazionale, una volta riprese le contrattazioni dopo una pausa di assestamento indispensabile, farà il resto. L’inflazione, o peggio, la deflazione ci farà entrare a pieno titolo nel nuovo medioevo. Guerre sociali, conflitti, instabilità enormi, a questo siamo. Ma sopra a tutto, a dominare tutto, c’è il rimpianto di aver dato credito ad un paese che si è reso tristemente protagonista, per tutto il secolo scorso, di eventi catastrofici per l’Europa e per il mondo: la Germania. Un alleato che non può essere un alleato perché parte dal principio di essere più forte e più lungimirante di tutti gli altri, è quella vena niciana o wagneriana che da sempre circola nel sangue dei tedeschi e ne è una caratteristica ineliminabile. Ci hanno spezzato ancora una volta, ancora una volta ci hanno fatto rotolare nella polvere, quella stessa polvere che (ma è una magra consolazione) tra poco assaggeranno anche loro.
Va bene, abbiamo esaurito, per adesso,  l’enumerazione dei rimpianti. Confidiamo che l’attuale governo si sappia fermare in tempo e sappia evitare manovre lacrime e sangue che ci invischierebbero solo ancor più nella crisi. Facciamo come Angela Merkel, guardiamoci un attimo ancora intorno per cercare qualche appiglio, e se proprio non lo troviamo, facciamo in modo di cadere in piedi, cercando di limitare al massimo i danni. Ogni paese europeo, d’ora in poi (ma in fondo come sempre) se ne andrà per i fatti suoi, non ci lega più niente e nessuno. Da  dopodomani, o quando avverrà, ricominciamo, si riparte da zero, perché avremo ben poco in cascina. Ci siamo risollevati da un conflitto mondiale che ci ha visto perdenti, sapremo risorgere anche da tutto questo.