giovedì 8 settembre 2011

VOGLIA DI LIRA (il sogno sbagliato)

Qualche tempo fa avevo dedicato un post ad una possibile uscita dall’Euro da parte dell’Italia con il conseguente ritorno alla valuta nazionale. Avevo cercato di analizzare sommariamente i pro e i contro, pervenendo ad una conclusione leggermente favorevole al ritorno alla lira. Sbagliavo in pieno. Si trattava solo di una forzatura emotiva, dovuta allo stillicidio continuo al ribasso di borse e mercati. Dobbiamo abituarci a convivere con una borsa di Piazza Affari perennemente in affanno, perché sarà la normalità, d’ora in poi. Saranno possibili sempre dei rimbalzi positivi, sull’onda di qualche rarissima buona notizia, ma la tendenza ribassista diventerà la norma dei mercati per i prossimi anni. Probabilmente, per chi non esercita la professione di trader, sarebbe bene non consultare neppure tutti i giorni i listini, abbiamo esaurito i giorni della settimana contraddistinti dall’aggettivo “nero”: lunedi nero, martedi nero, ecc. Rassegnamoci dunque, tenendo presente che un fallimento dell’Italia e del suo sistema bancario rimane in ogni caso una ipotesi possibile, d’accordo, ma comunque improbabile. L’Europa e gli USA non ci lasceranno fallire per il semplice fatto che siamo talmente grandi da trascinare Europa, USA e mondo intero nel nostro stesso baratro. E’ piuttosto probabile, come dicevo nel post precedente, una sorta di “commissariamento” da parte della BCE che, una volta uscito di scena Berlusconi, potrà governare indirettamente la nostra crisi attraverso un governo tecnico. Non facciamoci inutili illusioni: questa manovra non serve ad esaurire i problemi: altre ce ne vorranno, dovremo fare tutti un passo indietro, verso la povertà. Non ci sono alternative per un paese che deve ridurre fino ad estinguerlo il proprio debito pubblico e che allo stesso tempo non solo non cresce economicamente, ma va in recessione. Dal momento in cui i rubinetti della BCE saranno chiusi, ci troveremo con uno spread pericolosamente sopra i 400 punti, e il governo Berlusconi sarà obbligato a dimettersi. Questo non farà migliorare magicamente le cose, ma se non altro ci impedirà di fare altre sciocchezze, troppe ne abbiamo commesse. E cerchi di tenere la lingua a freno Zapatero e il suo inconsistente programma: se la Spagna perde nel comparto industriale il 2,8% non è colpa dell’Italia e della Grecia: è colpa del suo dilettantismo. Per tornare alla lira, riporto di seguito il bell’articolo di Massimiliano Volpe (Finanza.com), che ben rappresenta lo scenario possibile in assenza dell’Euro. Io, prudenzialmente, stimavo la svalutazione della lira intorno al 50%, più verosimilmente Volpe la considera al 60%. Mi pare che sia sufficiente a pregare ogni sera il Padreterno che ci faccia rimanere sotto l’ombrello della moneta unica.

L’uscita dall’euro non è la soluzione ai problemi dei Paesi europei in crisi. Anzi, gli effetti di una tale scelta sarebbero catastrofici.

Nelle ultime settimane molti osservatori hanno proposto come rimedio alla difficile condizione dei conti pubblici l’uscita dall’Euro dei Paesi dell’Ue e il ritorno alla vecchia moneta. Un’operazione che avrebbe l’obiettivo finale di favorire la svalutazione della Paese per rendere più appetibili le merci sui mercati internazionali, aumentando l’export e riducendo l’onere del debito pubblico. La svalutazione delle vecchie monete è stata ipotizzata nell’ordine del 20-25% rispetto dell’attuale quotazione dell’euro.
Un report di Ubs smentisce l’esistenza di facili ricette, delineando uno scenario drammatico nel caso in cui si dovesse giungere ad una situazione del genere. Gli analisti ritengono troppo ottimistica una svalutazione del 20% sottolineando che nessun Paese farebbe un passo del genere per ottenere un aggiustamento tanto modesto della propria posizione. Facendo un parallelo con quanto già successo in Argentina e in Uruguay, Ubs ritiene che la nuova valuta nazionale, dracma, Peso o Lira che sia, dovrebbe valere almeno il 50-60% in meno dell’euro.
I vantaggi della svalutazione verrebbero completamente annullati in un lasso di tempo brevissimo. Per l’Ubs l’abbandono dalla moneta unica provocherebbe in rapida sequenza il default dei titoli di stato e quello dei bond societari. I debiti emessi in euro rimarrebbero denominati in tale valuta e pertanto a maggior ragione non si disporrebbe delle adeguate risorse finanziarie necessarie per fare fronte al pagamento degli interessi e al rimborso dei titoli in circolazione divenuti nel frattempo più onerosi. La fiducia del Paese tra gli investitori sarebbe poi definitivamente compromessa rendendo così difficile collocare nuovi titoli sui mercati internazionali.
Anche la competitività dei prodotti commercializzati nella nuova valuta verrebbe meno. Il trattato di Maastricht non ha regolamentato l’uscita di un Paese dall’euro ma secondo l’Ubs è difficile immaginare che l’Ue rimanga indifferente. Prima di tutto la decisione di abbandonare l’euro implicherebbe anche l’uscita dall’Unione monetaria che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di favorire l’integrazione economica. Una reazione da parte dell’Ue potrebbe essere quella di introdurre delle sanzioni economiche: ad esempio dei dazi sulle importazioni di un ammontare pari alla svalutazione della moneta, rendendo così difficile l’export verso i paesi del Vecchio Continente.
Ubs ha quantificato le ricadute economiche di un’uscita dall’euro da parte di uno dei Paesi Pigs. Durante il primo anno si avrebbero dei costi compresi tra i 9.500 e 11.000 euro a persona. Negli anni successivi i costi ammonterebbero tra i 3.000 e i 4.000 euro a persona. Solo nel primo anno l’impatto dei costi è stimato tra il 40-50% del valore del Pil.

Massimiliano Volpe – finanza.com