lunedì 8 giugno 2015

LE MINORANZE PIU' PERSEGUITATE DEL MONDO



Perseguitati, cacciati dalle loro terre, uccisi.
Sono ancora tanti gli uomini e le donne appartenenti a minoranze etnico-religiose che devono affrontare, ogni giorno, soprusi e vessazioni.
Oggi i più a rischio sono soprattutto gli yazidi, perseguitati dai miliziani dell’autoproclamato Stato islamico in Iraq, i musulmani rohingya in Birmania e gli uiguri nella Cina comunista.
A questi popoli vengono sistematicamente negati i più elementari diritti umani.
I rohingya, minoranza musulmana nel mirino dei buddisti
Non hanno cittadinanza nè diritti. Stranieri nella loro terra, rifugiati senza identità nel resto del mondo. È la condizione drammatica dei rohingya, la minoranza musulmana della Birmania (oggi Myanmar), Paese a maggioranza buddista. Per l’Onu si tratta della minoranza più perseguitata al mondo.
Guardati con sospetto perchè musulmani in terra buddista, i rohingya sono stati costretti a vivere per anni in uno stato di apartheid. Una condizione in cui si trovano ancora oggi circa 1 milione e 300 mila rohingya che vivono soprattutto nel Rakhine, una regione sul golfo del Bengala che confina a Nord con il Bangladesh.
NEL 1978 L'INIZIO DELL'ESODO. Dal 1978, l’anno in cui i militari hanno preso il potere in Birmania, le persecuzioni nei loro confronti si sono acuite. Nel 1982 una legge ha stabilito che questa minoranza non può prendere la cittadinanza birmana nè viaggiare senza permesso ufficiale o possedere un terreno. Inoltre ai rohingya è stato vietato di avere più di due figli.
L’esodo dei roinghya verso il Bangladesh è iniziato proprio nel 1978. Attualmente almeno in 100 mila vivono nei campi profughi e nei ghetti del Bangladesh e della Thailandia.
Durante il viaggio, in molti sono finiti nelle mani di trafficanti che chiedevano alle famiglie di versare riscatti molto onerosi. Altre volte i barconi diretti nei Paesi vicini sono stati spinti in mare aperto e abbandonati.
CRISI UMANITARIA IN CORSO. L’ultima crisi umanitaria è tutt’ora in corso: nello Stretto di Malacca, al largo della provincia di Aceh in Indonesia, ci sono barconi dove da giorni sono stipati migliaia di rohingya. Uomini, donne e bambini che nessuno vuole. Le autorità della Thailandia e della Malesia li hanno respinti per giorni fino ad accettare, sotto pressione internazionale, di offrire un rifugio temporaneo a questi disperati a condizione che possano trovare un'altra sistemazione o essere rimpatriati entro un anno.
Negli ultimi anni la situazione è ulteriormente peggiorata dopo che nel 2012 una ragazza buddista è stata stuprata da tre giovani rohingya. Questo episodio ha fatto riemergere tutto l’odio che la maggioranza buddista ha sempre covato nei confronti dei musulmani.
LO SCONTRO TRA ONU E GOVERNO. Il Rakhine è stato investito da un’ondata di violenza che non si vedeva da anni: case bruciate, linciaggi, decine di morti tra i rohingya.
Intanto anche i cittadini del Bangladesh hanno iniziato a mal sopportare il continuo arrivo dei rifugiati accusati di rubare loro il lavoro.
Per questo dal 2005 le Nazioni Unite sollecitano il governo birmano affinchè faciliti il rimpatrio dei rohingya. Richieste che hanno fatto alterare le autorità di Naypyidaw che hanno accusato le Nazioni Unite di interferire con gli affari interni del Paese dopo che una funzionaria ha usato il nome “rohingya” per indicare la minoranza musulmana presente in Birmania. Secondo il governo si tratta invece di bengalesi, immigrati illegalmente dal Bangladesh.

Gli yazidi, secoli di repressioni prima della furia Isis

I media di tutto il mondo sembrano aver scoperto l’esistenza di questa minoranza solo nell’estate del 2014, quando i miliziani dell’Isis hanno lanciato una offensiva contro migliaia di yazidi stretti in un lungo assedio sul monte Sinjar, in Iraq. Mentre la bandiera nera del Califfato sgretolava i fragili confini tra Siria e Iraq, eredità degli accordi Sykes Pikot del 1916, questa popolazione viveva una delle pagine più nere della storia recente.
Costretti alla conversione forzata o uccisi sul posto, in pochi sono riusciti a sopravvivere alla furia islamista. Le immagini di bambini a terra, con le ferite sulla testa, hanno riportato con violenza indietro nel tempo. Agli Anni 80 e 90, alle persecuzioni di Saddam Hussein nei confronti dei curdi, a quelle dei serbi a danno dei musulmani bosniaci.
«SONO ADORATORI DEL DIAVOLO». L’obiettivo dell’Isis è di fare pulizia, di cancellare dai territori conquistati le minoranze religiose tra le quali cristiani e yazidi. Questi ultimi però hanno già affrontato tante persecuzioni nel corso dei secoli e tutte le volte si sono rialzati. Sono sempre riusciti a sopravvivere, ma il loro numero è in continua diminuzione: oggi sono circa 500 mila sparsi tra Iraq, Australia, Germania.
Questa minoranza, che parla la lingua curda, ha una religione lontana sia dall’Islam sia dal cristianesimo. La fede degli yazidi si basa sul Libro Nero, un testo sacro tramandato oralmente da secoli di padre in figlio e sull’adorazione del Dio primordiale, l'Angelo Pavone, Tawisi Melek.
Il destino degli yazidi è da sempre stato legato a questa divinità, una figura che i sunniti hanno assimilato a Iblis, l’angelo ribelle della religione islamica (come Lucifero nella fede cristiana). Gli yazidi sono quindi stati da sempre considerati “adoratori del diavolo”, apostati da punire e massacrare.
SOPRUSI COMINCIATI NEL 1892. La stigmatizzazione è stata agevolata da alcune caratteristiche proprie del popolo yazida: un’organizzazione molto chiusa assimilabile a quella di una setta, la credenza nella reincarnazione, il fatto che le conversioni non sono previste e che coloro che abbandonano la fede yazida possano essere uccisi dagli altri, come nel 2007 a Du'a Khalil Aswad, quando una donna yazida fu lapidata perchè aveva deciso di convertirsi all’Islam e di sposare un musulmano.
Oggi molte yazide sono diventate schiave dei miliziani dell'Isis, vendute al mercato. Nei loro occhi azzurri e nei capelli rossi c’è l’eredità di secoli di violenze. Soprusi iniziati nel 1892, quando l’esercito ottomano entrò nella valle di Lalish, nel Nord dell’Iraq, massacrando i suoi abitanti e distruggendo il mausoleo di Adi Ibn Mustafa, considerato dagli yazidi la reincarnazione del Dio Pavone.
5 MILA NELLE MANI DEL CALIFFATO. Le cose non andarono meglio sotto il Bath, il Partito della Rinascita di stampo socialista che si affermò in Iraq negli Anni 60 del secolo scorso dopo l’instaurazione della repubblica. Ahmed Hasan al-Bakr, primo presidente della Repubblica irachena, ordinò due persecuzioni nei confronti degli yazidi tra il 1969 e il 1975.
Fu però con Saddam che questa minoranza conobbe per la prima volta le deportazioni forzate. Colonne di uomini e donne furono cacciati dall’Iraq e confinati in un’area montuosa a pochi chilometri dalla Siria, lo Sinjar.
Ora anche questo luogo non è più sicuro. Su quelle montagne la scorsa estate sono morti almeno 5 mila yazidi, altrettanti sarebbero nelle mani dell’Isis. I sopravvissuti vivono in un perenne stato di fuga.

Gli uiguri, il popolo che la Cina vuole cancellare 

«Entro in un negozio, a Pechino e la commessa mi guarda male. Voglio provare un vestito, mi ferma e mi dice: “Sei uigura, esci”». È il racconto di un'italiana, in viaggio-studio a Pechino. Lei, come gli uiguri, ha un colorito olivastro e un corpo abbastanza formoso.
Le è stato intimato di uscire dal negozio in quanto gli uiguri sono cittadini di serie B, considerati parte di un’etnia inferiore rispetto alla maggioritaria etnia han. Per questo vanno tenuti alla larga affinchè non “contaminino” il resto del popolo cinese.
La rivoluzione del 1949 poggia su alcuni pilastri tra cui il ruolo preponderante del partito comunista, l’eliminazione dei culti religiosi presenti sul territorio e, appunto, la centralità dell’etnia han.
IL PIANO DI 'SOMMERSIONE ETNICA'. Un nazionalismo mosso dal desiderio di inglobare territori come il Tibet e lo Xinjiang, ricco di importanti giacimenti di combustibili fossili. È qui che risiedono da secoli gli uiguri, gruppo etnico turcofono di circa 10 milioni di persone che professano la fede musulmana sunnita.
Dal 1949 in poi, mentre il Paese si incamminava verso uno sviluppo economico senza precedenti, il centralismo di Pechino inglobava le tante etnie presenti in Cina per creare un popolo cinese che seguisse l’unica fede possibile, quella comunista.
In linea con i dettami del partito, dagli Anni 50 del secolo scorso è stato portato avanti un vero e proprio programma di “sommersione etnica”: i cinesi han sono stati trasferiti nei territori a maggioranza uigura per cancellare la loro identità.
CITTADINI DI SERIE B. Considerati cittadini senza diritti, per gli uiguri è difficile trovare un lavoro, inserirsi nella vita politica, ambire a ricoprire incarichi pubblici. Normalmente, sono destinati ai lavori più duri che i cinesi di città non vogliono più fare.
Dal 2001, la Cina ha fatto rientrare la sua «operazione di assimilazione forzata del popolo uiguro» sotto il cappello della lotta al terrorismo islamico intrapresa da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Nonostante la repressione cinese, le tensioni etnico-religiose sono riaffiorate con tutta la loro forza tra il 2008 e il 2009, quando il movimento separatista uiguro ha lanciato una serie di attentati che hanno scosso il Paese. Tra i gruppi più attivi c’è il Movimento islamico del Turkestan orientale, considerato organizzazione terroristica sia dalla Cina sia dagli Stati Uniti.
IN FUGA VERSO IL VIETNAM. In questo clima di violenza continua, lo Xinjiang ormai non è più un luogo per gli uiguri e molti di loro cercano di fuggire in Malesia passando per il Vietnam. Un viaggio pericoloso durante il quale spesso finiscono ostaggio delle teste di serpente, i trafficanti di uomini cinesi.
Alla frontiera con il Vietnam c’è un altro ostacolo difficile da superare: la polizia di Pechino, pronta a sparare su coloro che cercano di lasciare illegalmente il Paese.
Anno dopo anno, gli uiguri sono sempre più soli. E la loro emarginazione potrebbe essere sfruttata da quel terrorismo di matrice islamica che l’establishment comunista cinese ha da sempre represso. Anche quando non c’era. (source)