mercoledì 24 giugno 2015

I VERI RAZZISTI? SONO I PAESI EX SOVIETICI



Appena un quarto di secolo fa i popoli dell'Europa dell'Est si sollevarono contro regimi totalitari pur di abbattere muri e cortine di ferro.
Oggi che le coordinate politiche hanno ribattezzato questa regione come Europa centrale, dunque cuore e anima ritrovati del Vecchio Continente, muri e fili spinati rischiano di tornare ai confini, con l'obiettivo di arginare i flussi migratori dall'Africa e dal Medio Oriente.
I progetti sono già sulla carta, nonostante Bruxelles osservi gli affanni con scetticismo: si cercano solo i finanziamenti.
MURI E PROTEZIONI. Budapest ha in mente di innalzare un muro alto 4 metri lungo i 175 chilometri di confine tra Ungheria e Serbia, limes meridionale verso i Balcani dell'Unione europea.
La stampa l'ha ribattezzato il Muro di Orban e il modello dovrebbe essere proprio il famigerato Muro di Berlino.
Sofia ha invece già dato via libera al piano di allargamento della rete di protezione lungo il suo confine con la Turchia: attualmente questa cortina di ferro copre appena 30 chilometri, le autorità bulgare sono convinte che solo l'estensione lungo tutto il perimetro possa arginare l'esodo quotidiano.
L'ESEMPIO GRECO. L'esempio verrebbe dalla Grecia, che dal dicembre 2012 ha rinforzato il suo tratto di confine con la Turchia lungo il fiume Evros, creando di fatto una trincea militare, con filo spinato, fossati, telecamere a circuito chiuso e mine.
Risultato: in quel punto il flusso si è completamente arrestato, spostandosi lungo altre rotte.
Ma tra gli esperti di flussi migratori c'è chi dubita sull'efficacia degli sbarramenti come deterrente e chi solleva aspetti morali: muri e recinti accrescono il numero di morti e feriti senza realmente frenare quello di chi cerca di scappare.
La paura è che le migrazioni balcaniche vengano sottovalutate
Le paure a Sud-Est sono tante.
Secondo l'agenzia Onu per i rifugiati, il numero di profughi accolti dalla Turchia ha superato a oggi il milione e mezzo, cifra record a livello mondiale.
Il terrore dei Paesi dell'Est è che la pista balcanica venga sottovalutata rispetto a quella mediterranea.
NON SOLO MEDITERRANEO. «Tutti guardano solo a quanto accade nel Mediterraneo mentre lungo la via dei Balcani arrivano in Europa molti più rifugiati», ha detto il portavoce di Orban martedì 23 giugno, annunciando la sospensione unilaterale da parte di Budapest della convenzione di Dublino, che regola le domande di asilo nell'unione Europea, salvo poi fare dietrofront.
«LA BARCA È PIENA». Bruxelles aveva chiesto subito spiegazioni e l'Ungheria aveva ribattuto con una sola cifra: 60 mila richieste di asilo dall'inizio dell'anno, più di ogni altro Paese dell'Ue: «La barca è piena».
Con quello strappo nessun Paese confinante avrebbe potuto rispedire in Ungheria (Paese di primo arrivo) i migranti fermati.
Tra questi è stata l'Austria ad aver fatto la voce più grossa, con il suo ministro degli Esteri che aveva definito «inaccettabile» la scelta ungherese.
PRECEDENTE PERICOLOSO. La prima rottura della convenzione di Dublino rischiava di rappresentare un precedente capace di far saltare il piatto magro delle politiche europee sui profughi. Ma il governo magiaro ora sembra averci ripensato.
Nell'ennesimo braccio di ferro fra Orban e l'Ue, il premier ungherese gioca tutte le carte del suo menù nazionalista: le campagne contro il multiculturalismo e a favore dell'uniformità religiosa hanno cementato un sentimento maggioritario di per sé ostile all'immigrazione, la crisi economica degli ultimi anni che ha spinto molti giovani ungheresi a trasferirsi a Occidente, la solidarietà verso i più deboli divenuta merce di lusso.
PRONTO UN REFERENDUM. Un questionario governativo con domande non proprio equilibrate, inviato a tutti i cittadini, dovrebbe entro luglio rappresentare la base politica per un ulteriore giro di vite nelle politiche sull'immigrazione: Orban lo ritiene una sorta di referendum autogestito, una consultazione nazionale. Ma date le domande, le risposte appaiono scontate.
La giustificazione: «Non abbiamo le strutture dell'Ovest»
L'Ungheria non è sola.
Con l'eccezione della Romania, tutti i Paesi dell'Europa centro-orientale hanno rifiutato la proposta della Commissione europea di accettare quote di immigrati.
Non solo chi come Ungheria e Bulgaria fa già la sua parte in prima fila sui fronti terrestri più caldi, ma anche chi di stranieri ne ha pochi.
SOLTANTO 780 PERSONE. Secondo Bruxelles, per esempio, alla Slovacchia sarebbero toccate soltanto 780 persone.
Ma il governo di Bratislava ha alzato le mani e il ministro degli Interni Robert Kalinak ha detto che «la solidarietà obbligatoria è assai dannosa».
NO AD ALTRE CULTURE. Per il presidente della commissione esteri del parlamento slovacco, Frantisek Sebej, «i Paesi dell'Est non sono preparati ad assorbire e integrare immigrati provenienti da altre culture e religioni, mancano le strutture anche culturali che ci sono nell'Europa occidentale».
Una giustificazione che riporta tutti i Paesi della Nuova Europa indietro di 25 anni, quando al riparo del congelatore sovietico le società erano compatte e mono-identitarie e di stranieri non se ne vedeva neppure l'ombra.
CONTRO I PRINCIPI UE. Illusione di purezza etnica, religiosa e culturale alimentata dalle paure, sfruttata dai partiti populisti, che tuttavia cozza con i principi dell'Ue e con quelli che animarono le rivoluzioni più o meno pacifiche del 1989.
Così la Polonia, il più avanzato e moderno dei Paesi del blocco, ha chiesto di rivedere al ribasso la quota di profughi eventualmente assegnatale da Bruxelles (da 2.700 a 1.500) e ha espresso il desiderio di ricevere solo migranti di religione cattolica.
INTERVENTO DELLA CHIESA. C'è voluto l'intervento della conferenza episcopale polacca (peraltro non nota per atteggiamento progressista) per riequilibrare il punto e chiedere al governo di Varsavia di comportarsi equamente verso tutti gli immigrati, di qualunque religione essi siano.
Estonia, Lituania e Lettonia: aiutamoli a casa loro
Le Repubbliche Baltiche hanno sfiorato il ridicolo nel tentativo di mercanteggiare la loro quota di solidarietà.
L'Ue aveva ipotizzato l'invio di mille profughi in Estonia e 700 da dividere fra Lituania e Lettonia.
Dalle tre capitali, i capi di governo hanno risposto all'unisono: «Siamo disposti ad accettarne fra 50 e 150».
E giù le solite giustificazioni: le quote sono ingiuste e irragionevoli, bisogna aiutarli a casa loro.
DRESDA, A TUTTA PEGIDA. Non è un caso che in Germania, Paese che negli ultimi anni in Europa ha dato asilo al numero più alto di richiedenti, le proteste più forti siano avvenute nelle regioni dell'ex Ddr.
Dresda è diventata la capitale di Pegida, il movimento che ha scosso l'inverno politico tedesco, e i Länder orientali registrano la presenza politica più robusta dell'estrema destra xenofoba.
PRAGA ANTI-PROFUGHI. Dresda e Praga distano poco più di 100 chilometri in linea d'aria e il vento sassone deve aver influenzato i 46 mila cechi firmatari di una petizione contro il piano di accoglienza di 1.300 profughi.
Seguendo il modello Pegida, l'iniziativa è nata su Facebook raccogliendo il consenso di politici in cerca di fama e (curiosamente) anche di grandi imprese.
Il movimento si chiama 'Blocco contro l'Islam' e lotta contro l'islamizzazione della Repubblica Ceca, al momento minacciata da 10 mila stranieri residenti di religione musulmana. Lo 0,1% della popolazione. (source)