Il diavolo,
stavolta, si nasconde nella procedura. Cioè nella tabella di marcia disegnata
dal governo di Matteo Renzi per condurre in porto la riforma del catasto.
Riforma che - questo il sospetto sempre più diffuso - si trasformerà
nell’ennesima stangata fiscale sulle famiglie. Grazie a palazzo Chigi che
impone i testi normativi al Parlamento, ormai costretto a dire soltanto «sì»,
in tempi brevissimi e quindi senza poter valutare a fondo le novità.
Vediamo
perché. Salvo sorprese, il decreto che darà il via alla revisione dei
cosiddetti (e obsoleti) «estimi catastali» sarà licenziato dal consiglio dei
ministri la prossima settimana (martedì), insieme con altri provvedimenti
«attuativi» della delega tributaria. Si tratta di decreti legislativi sui quali
le commissioni parlamentari devono dare pareri in un paio di mesi. Un’occhiata
al calendario e si scopre subito che la partita va chiusa entro la fine di
agosto, quando le bozze devono gioco forza ritornare a palazzo Chigi per il
«visto» definitivo.
Ed ecco il
diavolo: più si avvicina la pausa estiva, meno si lavora, sia alla Camera sia
al Senato. Lo dicono i regolamenti di Montecitorio e Palazzo Madama e certi
dettagli non sfuggono al premier Matteo Renzi. Il quale, secondo i detrattori,
nei mesi scorsi avrebbe rinviato strumentalmente il disco verde al decreto sul
fisco immobiliare per avere, di fatto, mani libere durante i mesi caldi, meno
operosi, come accennato, sul piano parlamentare.
Così,
stavolta, la mazzata di tasse potrebbe arrivare quando i contribuenti sotto
l’ombrellone. Il nuovo catasto - stando alla delega - si poggia su due
pilastri: i vani saranno sostituiti dai metri quadrati e la rendita sarà
adeguata ai valori di mercato. In teoria, tutto il complesso percorso si
dovrebbe chiudere a «saldo zero» con «invarianza di gettito» sul versante delle
entrate: in buona sostanza, Imu e Tasi dovrebbero crescere per gli immobili di
maggior valore e oggi «accatastati» in categorie più basse; allo stesso tempo,
dovrebbe calare il prelievo altrove, ossia su immobili finora eccessivamente
penalizzati.
In realtà,
l’addio alle case popolari nei centri storici delle grandi città è cominciato
da un pezzo e gli effetti sulle casse dello Stato sono già più che positivi. E
in ogni caso alla storiella delle tasse che caleranno credono in pochi.
Peraltro, quella clausola sul «saldo zero», sbandierata dai partiti
dell’opposizione quando è stata inserita nella legge delega, vale quel che
vale: cioè niente.
Perché
nell’ipotesi in cui venisse calpestata - e i precedenti non son pochi - non ci
sarebbero conseguenze per l’esecutivo: è come se nel codice penale ci fosse la
previsione di un reato senza l’indicazione di una pena o di una sanzione.
Resterebbe la polemica politica, ma per Renzi non sarebbe un problema.
Su questo
fronte, c’è chi gioca d’anticipo. Maurizio Gasparri, che pure fa parte di uno
dei partiti che nei mesi scorsi ha salutato come una vittoria la mitica
clausola sulla «invarianza di gettito», adesso lancia l’allarme rosso. Secondo
il senatore di Forza Italia «è in agguato una trappola per i proprietari di
casa». L’ex ministro punta il dito proprio contro i tempi dettati dal governo:
il Parlamento è «preso in giro», non sarà messo in condizione di compiere un
«serio esame» del decreto sulla revisione delle rendite catastali. Anche le
associazioni alzano la voce, come Confedilizia.
Il
presidente, Giorgio Spaziani Testa, teme che passerà «quello che ha scritto
l’agenzia delle Entrate, senza un vero controllo da parte del Parlamento». E
qui si apre un’altra questione: la riforma è in mano ai burocrati, con la
politica tagliata fuori. Le bozze dei provvedimenti, con la «scusa» che
sono testi ipertecnici, vengono messi a punto dagli esperti delle Entrate e al
ministero dell’Economia più di qualcuno storce il naso.
Di là dalle
beghe di palazzo, la preoccupazione per il giro di vite fiscale sulla casa è
enorme. La Uil Politiche territoriali stima aumenti a tappeto nelle grandi
città. Ecco tre esempi. Roma, casa di 108 mq: una rendita da 202mila euro
arriverebbe a 651mila euro (222%). Milano, 140 mq: da 248mila euro a 625mila
euro (+152%). Napoli, 124 mq: da 155mila euro a 280mila (+80%).
In alcuni
casi, le rendite potrebbero addirittura quadruplicare. Spetterà ai comuni
mettere mano alle aliquote dei balzelli locali, come Tasi e Imu, per evitare
incrementi da far tremare le vene ai polsi. Ma ci si può fidare dei sindaci che
fanno i conti coi tagli del governo e i bilanci in profondo rosso?
Francesco De Dominicis per Libero Quotidiano