venerdì 26 giugno 2015

FASSINA HA LASCIATO UN PD CHE E' DIVENTATO IL Partito della Destra



Stefano Fassina ha scelto di uscire dal Pd per percorrere una strada che sembra lunga e piena di ostacoli. Sono le caratteristiche tipiche delle strade che portano ai traguardi più alti. Per percorrerle occorrono coraggio, visione, intelligenza, strategia e passione. Doti molto rare nella politica di oggi e che dovrebbero essere le prime virtù di un leader.
La scelta si è consumata dopo che il governo Renzi ha posto la fiducia sul decreto scuola. È stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno di tanta acqua che era difficile mandare giù: l'abolizione dell'articolo 18, l'offesa permanente al sindacato, l'attacco al mondo del lavoro, la riforma del Senato, l'Italicum. Una deriva di destra cui neanche il Berlusconi dei tempi migliori era riuscito a portare il nostro Paese.
Sulla scelta di Fassina, però, si deve dire il contrario: non è Fassina che esce dal Pd, è il Pd che esce da Fassina e abbandona con lui i tanti elettori e militanti che si erano riconosciuti in un progetto diverso. I cittadini che nel 2012 votarono per Bersani alle primarie, contro Renzi, e che nel 2013 diedero, seppur di poco, la maggioranza alla coalizione Italia bene comune, lo fecero su un programma, su valori, su personalità totalmente diverse da quelle che oggi ha imposto con forza e arroganza il gruppo dirigente renziano.
Poco più di due anni fa quel popolo, già sfiancato dalla crisi economica e dalla pessima gestione del governo Monti, che il Pd avrebbe dovuto far cadere prima, aveva riposto fiducia in una scelta di cambiamento, dopo più di dieci anni passati sotto Berlusconi e la Lega, a eccezione della breve parentesi del governo Prodi. Quei cittadini, che avevano resistito al richiamo delle sirene populiste, credevano fosse possibile rimediare alle macerie della Seconda Repubblica costruendo un sistema politico plurale, che valorizzasse la partecipazione delle persone e promuovesse la leadership collegiale, non un sistema plebiscitario e cesaristico. Credevano fosse possibile tornare a investire sulla scuola e sulla ricerca (nessuno parla più di ricerca e università in Italia), cioè investire sul futuro, e invece il mondo della scuola si è trovato investito, o asfaltato, da questa pessima riforma. Credevano fosse giunto il momento che anche i ricchi e gli evasori pagassero la crisi, e invece il governo va a braccetto con la Confindustria e i poteri forti contro i già pochi diritti dei lavoratori.
Questo Pd ha tradito da tempo i suoi elettori e i suoi iscritti. Chi se ne va, come Fassina, non vuole essere un traditore delle proprie idee e per questa si avventura in questa strada. Si dirà che fallirà. Forse. Ma avrà sicuramente più dignità Fassina quando girerà per le strade della sua città e del suo Paese che non i tanti giovani arrivisti del suo partito che, nati e cresciuti professandosi socialdemocratici, hanno fatto una carriera lampo e oggi votano tutte le riforme di destra di Renzi pur di non perdere i lauti emolumenti parlamentari e la sicura ricandidatura alle prossime elezioni.
Si dirà anche che non ha la statura del leader, la solita ossessione. Bisognerebbe allora ricordare che per capire se un politico ha doti di leadership non contano solo gli slogan, i tweet, le barzellette, l'ostensione della (presunta) forza. Occorre soprattutto la credibilità.
Con questo suo gesto, coerente con la sua storia e la sua cultura politica, Stefano Fassina dimostra di averne tanta di credibilità e di potersi presentare alle persone a testa alta. Con il garbo e la gentilezza che lo caratterizzano, senza prepotenza e arroganza.
Non se n'è andato dal Pd quando Renzi lo offese con una battuta ("Fassina chi?") se n'è andato dopo l'ennesimo voto di fiducia sulla scuola. A dimostrazione che gli altri vengono sempre prima di se stessi. (source)