E adesso?
Ora che i timori di un’uscita della Grecia dall’Eurozona si fanno più
consistenti sono in molti a domandarsi quali possano essere le
conseguenze di una rottura per il nostro Paese.
Innanzitutto
bisogna considerare di quale rischio stiamo parlando. Da una parte bisogna
considerare le conseguenze di breve-medio periodo che uno shock come l’uscita
della Grecia dall’Eurozona potrebbe portare sui mercati, con il probabile
rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato e quindi degli spread, e il relativo
maggior costo per il bilancio dello Stato, dall’altro bisogna considerare i
rischi legati all’esposizione diretta e indiretta del nostro Paese sul debito
pubblico ellenico. Da ultimo si possono ipotizzare i rischi più immediati per
risparmiatori, banche e imprese italiane.
- Il boom dei rendimenti. Più spese per interessi. Meno risorse per lo Stato.
La prima conseguenza di un ipotetico
Grexit, o almeno quella più immediata, potrebbe avere le sue prime
anticipazioni già lunedì, alla riapertura dei mercati. Nei momenti di maggiore
instabilità i rendimenti dei titoli di Stato salgono perché gli investitori
tendono a considerare più rischioso l’investimento sul debito di un Paese, e
quindi a chiedere per questo un premio più alto. Per le casse pubbliche
l’aumento dei rendimenti (che si riflette nel cosiddetto spread, cioè un indice
che confronta il rendimento dei nostri titoli decennali con gli equivalenti
bund tedeschi), significa un maggior costo per il servizio del nostro debito
pubblico, cioè maggiori spese per interessi da sostenere durante l’anno. Secondo Il Sole 24 Ore un rialzo permamente di 2 punti
percentuali dei rendimenti costerebbe circa 4/5 miliardi all’anno.
Proprio
l’abbassamento dei tassi aveva portato il nostro governo a mettere in conto una
sorta di “dividendo spread”, cioè di risparmi assicurati dai bassi rendimenti
ipotizzati per l’anno. Questo dividendo, cioè queste minori spese, rischiano di
erodersi se non di prosciugarsi. Per l’esecutivo significa dovere reperire le
risorse altrove: tagliando le spese o aumentando le tasse. A cascata, quindi,
un impatto diretto sulla vita dei cittadini.
L’antitodo: A differenza di alcuni anni fa, la
zona Euro è ora dotata di meccanismi di protezione in grado di contenere e
arginare shock macoreconomici. L’ultimo e il più importante è proprio il
Quantiative Easing della Bce, cioè il massiccio piano di acquisto di titoli sul
mercato secondario dei Paesi dell’area Euro. L’intervento dell’Eurotower
infatti può infatti, in sintesi, limitare l’aumento dei tassi. Tamponando per
tempo i possibili rischi appena elencati.
- I Crediti italiani con la Grecia
Anche se in qualità di Stato, la
Grecia non è diversa da un comune debitore. L’abbandono, eventuale, della
moneta unica non la esonererebbe automaticamente dagli obblighi legati al
proprio enorme debito pubblico. Come ha spiegato qualche settimana fa il
presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, “se un Paese lascia l’Eurozona il suo
debito resta”. Certo è tutto da vedere se e in che modo sia in grado di
onorarlo. Sempre il Sole 24 Ore oggi fa i conti di questa esposizione totale.
Si tratta – va ribadito – non di una perdita secca in caso di Grexit, ma della
somma di tutte le possibili “somme” in periciolo. Il totale, calcola il
quotidiano economico, vale 65 miliardi di euro. Si parte innanzitutto dai
prestiti bilaterali concessi dal governo italiano a quello di Atene e ammontano
a 10 miliardi di euro. La fetta più consistente dei soldi concessi alla Grecia
è arrivata attraverso i due fondi salva stati Efsf e Esm. L’Italia contribuisce
pro-quota a questi fondi quindi il mancato rimborso a queste due istituzioni
varrebbe, rispettivamente, 23,3 e 14,2 miliardi di euro. Si parla, va
ricordato, di perdita teorica, visto che in pochi immaginano che un default di
Atene significhi un azzeramento dei propri debiti. C’è poi il capitolo più
complesso della Banca Centrale Europea, che in questi anni ha anch’essa
prestato soldi alla Grecia. Attraverso la Banca d’Italia, il nostro Paese
detiene il 12,3% del capitale dell’Eurotower ed è esposta per 6,6 miliardi
circa, a cui secondo Il Sole 24 Ore bisogna aggiungere 10,94 della quota della
linea di liquidità Ela concessa ad Atene, che però non rappresenta
un’esposizione diretta della Bce, visto che è innanzitutto la Banca Centrale
greca a farsi carico dei 95 miliardi concessi alle banche greche. Solo in
ultima istanza la Banca Centrale Europea potrebbe dovere “ripianare” questa
somma.
- Quindi? Quale impatto per banche, risparmiamiatori e imprese italiane
Rispetto al passato si è ridotta
sensibilmente la quota di titoli di stato greci nel portafoglio degli Italiani.
Quindi un possibile default greco, se parliamo di impatto diretto e immediato,
avrebbe conseguenze molto meno pesanti rispetto al passato. Anche l’esposizione
delle nostre banche sul debito ellenico è sensibilmente diminuita. Come ha mostrato uno studio del think tank Bruegel è di appena 800 milioni di euro, su un debito
complessivo di circa 315 miliardi, cifre confermate oggi anche dal presidente
dell'Abi Antonio Patuelli.
Rischi un
po’ più rilevanti, almeno più diretti, non riguardano la salute finanziaria
dello Stato greco, ma a cascata quella dell’intero Paese. Per le nostre aziende
esportatrici un default greco vorrebbe dire mettere in pericolo i rapporti
commerciali in atto e i relativi crediti. Tuttavia, ricorda il Corriere della
Sera, citando il capo economista di Intesa San paolo Gregorio De Felice, la
quota di esportazioni italiane nel Paese vale solo lo 0,9% del totale, lo 0,2%
del Pil. Una cifra, quindi, relativamente molto bassa. (source)