venerdì 20 maggio 2011

L'ANGELO DEL MALE

E’ con una sorta di stupore, di incredulità, di raccapriccio, che, col passare dei giorni e il dipanarsi delle indagini, si scoprono via via particolari sempre più gravi e orrendi nella vicenda del parroco di Sestri Ponente don Riccardo Seppia. La vicenda è ormai nota a tutti: da circa quindici anni questo strano tipo di prete conduceva una vita a doppio binario: fustigatore dei costumi e amministratore dei sacramenti di giorno, lupo mannaro, adescatore, pervertito, drogato, spacciatore e magnaccia di notte. Ammettiamo solo per un momento che le intercettazioni e le prime evidenze di cui sono in possesso gli inquirenti corrispondano alla verità. E’ difficile trovare tante cattive qualità concentrate in un solo uomo: il livello di scelleratezza toccato da questo signore è umanamente insuperabile. Ricapitoliamo brevemente: Riccardo Seppia, sacerdote cattolico e parroco di S.Spirito di Sestri Ponente si sposta tra Milano e Genova continuamente: lo fa per rifornirsi di cocaina e di nuove prede da adescare per soddisfare i suoi appetiti sessuali ma anche per indurre alla prostituzione minori o addirittura bambini in cambio di droga. Prende, diversi anni fa, i primi contatti con questo sottobosco da “cuore di tenebra”, frequentando la saune per omosessuali a Milano. Da quel momento comprende qual è la sua seconda, vera vocazione: la pedofilia e il consumo e spaccio di cocaina. Li vuole giovani, sempre più giovani, ama le forti emozioni: arriva a chiedere con insistenza al suo tristo complice, arrestato in questi giorni, Emanuele Alfano, ex seminarista, di professione lenone, prede sempre più giovani, sino ad arrivare all’infanzia, li vuole di dieci anni. Lo chiede con insistenza al complice Alfano, non è questione di prezzo, lui può pagare con la droga qualsiasi somma. Francy, il suo “pusher” è costretto ad un superlavoro per tener dietro alle richieste di questo assatanato, che, evidentemente, non lavora solo per se stesso, ma si trova nel bel mezzo di una rete, una organizzazione ben orchestrata che sarebbe andata avanti chissà per quanto se non fosse stato per un piccolo particolare trascurato dal Seppia: la sua vita vistosamente dispendiosa, che mal si conciliava con il magro stipendio di parroco. E qui possiamo muovere la prima riflessione: Riccardo Seppia metteva in bella mostra il suo tenore di vita perché aveva raggiunto la consapevolezza del suo grado di impunità. Ora, anche se la difesa invocherà quasi certamente per questo sciagurato la seminfermità mentale, noi sappiamo bene che Seppia era un pervertito sì, ma non uno sciocco o un suicida. Quindi la prima domanda che ci dobbiamo porre è: dal momento che questo signore faceva parte di una comunità chiamata Chiesa Cattolica, era uno dei suoi ministri, non esercitava il suo ministero in un remoto angolo del mondo ma nel bel mezzo di una grande città, potevano la gerarchie ecclesiastiche non sapere? E’ un po’ difficile da credere. Il quartiere dove Seppia, da quindici anni conduceva, senza la minima precauzione questa doppia vita, non si è accorto che quel prete aveva qualcosa nella testa che non doveva funzionare a dovere, e che comunque era totalmente inadatto a svolgere la sua missione? Siamo proprio certi che l’omertà sia una prerogativa del mezzogiorno? A Sestri Ponente tanti, ma proprio tanti dovevano sapere, o avere  almeno intuito, e non hanno detto niente. In Curia arcivescovile molti prelati vicini all’Arcivescovo dovevano sapere e hanno taciuto. I Riccardo Seppia non vengono su come i funghi nel giro di una notte. Una vita dedicata per l’80 per cento al crimine non può passare inosservata, soprattutto se il personaggio i questione indossa un abito sacro. E bisognava sentirle le omelie di questo satanasso, che rigore morale, che senso dell’etica, che austerità di costume! Peccato che a queste parole corrispondesse un crimine tra i più odiosi e detestabili del codice penale: la violenza sui minori. Questo signore non solo era uno spacciatore di droga, un adescatore di minori, uno sfruttatore della prostituzione, non solo: ha insanguinato l’abito che indossava. Si può non essere cattolici, si possono avere vedute diverse della religione, ma credo che tutti noi siamo disposti a tributare il massimo rispetto per l’abito che così indegnamente indossava questo scellerato. Le violenze e i misfatti da lui compiuti hanno sparso il sangue degli innocenti su quell’abito proprio perché da un uomo che lo indossa ti aspetti accoglienza, comprensione, pietà, carità e misericordia. Non ti aspetti che ti venda a qualcuno per una dose di cocaina, o che ti apra i pantaloni  per fare chissà che. Sono ferite, dell’anima, d’accordo, ma sono ferite che spargono un sangue che non si arresterà più, per tutta la vita del bambino che le ha subite, queste sono le ferite che non conoscono rimarginazione, cicatrizzazione, continueranno a sanguinare e a sporcare la tonaca di questo miserabile. E con la sua tonaca quella di una chiesa intera che non  ha saputo fermare o vigilare a sufficienza su chi gettava fango e discredito sulla comunità dei credenti. Da questa storia escono solo sconfitti: Riccardo Seppia, che ha compiuto nefandezze che nessun castigo, nessuna pena che sia in potere dell’uomo comminare sarà sufficiente ad emendare, non esiste perdono per l’uomo consacrato a Dio che viola uno dei comandamenti fondamentali istituiti personalmente da Gesù Cristo stesso: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, càvalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi 'nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". (Mc. 9, 37-47); «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14), chi infrange questo comandamento non può che essere condannato senza appello, ma anche il quartiere di Sestri che ha girato la testa dall’altra parte, fingendo di non vedere lo strafottente tenore di vita del prete, e infine la Curia Arcivescovile di Genova che non ha vigilato o non ha voluto farlo, fingendo di non sapere e di non vedere. 

Dicevo che si tratta di una storia di sconfitte, una delle storie più amare e tristi che ci troviamo a raccontare, chi si sente cristiano, chi ha fede in Cristo, si sente bruciare nella sua stessa carne, sgomento davanti a quella che appare come una incarnazione del male. E’ come se le potenze luciferine avessero abitato, dimorato e disposto le mosse di quest’uomo, e lo avessero trasformato in un angelo ribelle, un angelo del male, Lucifero sulla terra. Non è vero che il demonio non esiste, come tanti positivisti sostengono: esiste, si chiama Riccardo Seppia, oggi, si chiamava altrimenti in altre epoche ed in altri luoghi, si chiamerà diversamente in futuro, in qualche altro luogo ancora. Esistono le incarnazioni del male, vi sono uomini che, con le loro atrocità, con le loro lucide coscienze perverse ci hanno fatto comprendere che il male esiste, che è qualcosa di ineliminabile nell’uomo, che per quanti sforzi possiamo compiere non potremmo mai dirci al di fuori o al di sopra di esso. Riccardo Seppia era uno di noi, era un uomo come noi. Non era una creatura nata in laboratorio, in vitro, il prodotto di una alchimia perversa: condivideva con noi l’umanità, la fragilità , la debolezza di noi comuni mortali. Ma aveva compiuto un passo in più, quello stesso   passo che rende il suo peccato non redimibile. Aveva scelto di consacrarsi a Dio, di dedicare la propria vita al servizio della parola di Cristo, alla cura delle sue anime, alla divulgazione e la pratica del Vangelo. Nessuno lo aveva obbligato: poteva restare un laico come tutti noi. No, ha voluto compiere quel passo in avanti che solo la Giustizia di Dio potrà giudicare.” Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perchè il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena."(Mt 6, 25-34). I tribunali degli uomini invocheranno, come già detto, la seminfermità di mente o qualche altra sciocchezza. Ma verrà il giorno in cui questo scellerato dovrà rispondere ad un tribunale che non è quello fallace e inadeguato degli uomini, ma sarà la giustizia di Dio a giudicare un uomo che sconterà qualche anno, se non qualche mese di galera, sceglierà il rito abbreviato per decurtare la pena, sarà affidato ai famigerati “servizi sociali” per essere recuperato e reintegrato alla vita civile, e tra poco sarà di nuovo tra di noi, pentito, contrito ed assolto. Noi lo assolviamo, la giustizia di Dio, l’unica che può leggere nelle coscienze come in una radiografia, saprà fare di meglio e di più.