lunedì 23 maggio 2011

IL GOVERNO AL TEMPO DELLA CRISI

Fino a quando siamo disposti a sopportare? Fino a che punto della crisi vogliamo arrivare prima di fare sentire la nostra indignazione, la fine del nostro spirito di sopportazione, quando faremo sentire chiara e forte la nostra voce a questa classe politica inutile, imbelle, impreparata, incollata alla poltrona, incapace totalmente di governare l’emergenza? Sabato 21 maggio è suonato il campanello d’allarme da parte di Standard & Poors, che ha tagliato l’outlook per l’Italia da stabile a negativo. Avrebbe potuto e dovuto fare di più. Avrebbe potuto tagliare anche il rating, e nessuno avrebbe potuto eccepire alcunché. Oggi, Fitch e Moody’s hanno dichiarato di lasciare inalterata la valutazione dell’Italia. Francamente non si comprende questo comportamento, vorrei dire misericordioso, nei confronti di un paese che, nonostante le enormi potenzialità, è entrato in un totale stallo politico che gli impedirà di mettere mano alle riforme strutturali. Dobbiamo essere grati alle agenzie di rating, che ci stanno trattando con il guanto di velluto. L’aspetto più grottesco sono state le dichiarazioni dei sindacalisti Bonanni (CISL) e Angeletti (UIL) che hanno sostenuto che Standard & Poors non sarebbe credibile. Non sarebbe credibile? Ma in che paese vivono costoro? Siamo noi ad aver perduto qualsiasi forma di credibilità. S&P ha ampiamente motivato la sua scelta, fotografando perfettamente la situazione del nostro paese. Un paese con un debito pubblico elevatissimo, che ha già tagliato tutto quello che poteva tagliare, con una pressione fiscale al 44%, un record mondiale, una evasione fiscale inestirpabile perché gli evasori non si vogliono perseguire, una economia in piena stagnazione, se non in recessione, una classe politica manifestamente, a destra come a sinistra, incapace di gestire questo passaggio storico, che tira a campare fino al 2013. Ma non ci possiamo permettere di aspettare altri due anni. Attendere questo lasso di tempo lasciandolo in mano a questo pugno di dilettanti significa imboccare direttamente la strada della Grecia, essere obbligati alla ristrutturazione del debito sovrano, che significa coinvolgere i soggetti privati nella bancarotta dello stato. La campana ha suonato, dobbiamo agire subito e ringraziare S&P che ci ha messo in allarme. Le riforme strutturali che ci chiede la UE sono quella del fisco (che non faremo mai, per il semplice fatto che le tasse, in questo paese, continueranno a non essere pagate)della previdenza, ma se alziamo il tetto della vecchiaia a 67 anni, quando entreranno i giovani nel mondo del lavoro? Forse sarà il caso di metter mano alle pensioni baby, versare una pensione per quarant’anni ad un soggetto collocato a riposo giovanissimo, o alle pensioni d’oro, quelle sopra i 5.000 euro e via discorrendo. E poi le privatizzazioni: la sanità, lo spaventoso buco nero della sanità non può sopportare i costi dell’uguaglianza a tutti i costi. E’ chiaro per tutti che non possiamo permetterci di offri tre la stessa tipologia di servizio ad un immigrato esattamente come ad un cittadino italiano. In linea di principio sarebbe giusto, ma i costi sono diventati insopportabili. Quanto all’istruzione, ci penseranno gli enti locali, le regioni, cui passeranno le competenze, a traghettare la scuola verso la privatizzazione. Il sistema sanitario nazionale deve riconsiderare tutti i rapporti commerciali con le multinazionali farmaceutiche, dal momento che, per esempio, i farmaci antineoplastici hanno prezzi vertiginosi, anche diverse migliaia di euro a confezione: principi attivi il cui brevetto è scaduto da tempo, ma che mantengono un prezzo elevatissimo perché lo stato non può o non vuole ricontrattare i costi con la potentissima lobby del farmaco. Insomma, gli aspetti cui mettere mano sarebbero davvero tanti. Ma che fare, dal momento che il nostro ceto politico non è in grado di fronteggiare la crisi? Intanto prendere spunto dalla protesta spagnola, gli “indignati” che, a turno, hanno formato dei presidi, accampandosi nelle piazze di molte città, indignati non con il governo, ma con la classe politica spagnola tout court. E invocare, diciamolo pure, un governo di tecnici. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma non possiamo continuare a lasciarci governare da un uomo troppo impegnato a badare a i fatti suoi, che da quando è “sceso in campo” ha triplicato i propri profitti e delle proprie aziende, che si trova a fronteggiare un conflitto di interessi spaventoso, (un industriale che fa il politico, una contraddizione in termini), un uomo che puntella il proprio scricchiolante governo con un gruppo di cosiddetti “responsabili”, sul giudizio morale dei quali lasciamo calare un pietoso velo. Nel martoriato Belgio, i cui conti pubblici sono pressocchè equivalenti ai nostri, un paese in preda alla paralisi istituzionale per la vittoria dei partiti scissionisti alle ultime lezioni, ha avuto la fortuna di costituire un governo tecnico che ha fatto così bene da risollevare parzialmente le sorti economiche del paese. E’ pur vero che i tecnici potrebbero essere soggetti ad un forte condizionamento politico, considerando che il parlamento sarebbe comunque costituito dagli stessi tristi figuri che vi compaiono oggi, ma, sinceramente, non vedo altra soluzione. Pensiamoci bene, tutti insieme, valutiamo l’ipotesi di una emulazione della protesta spagnola, consideriamo l’ipotesi di un esecutivo tecnico svincolato dai partiti, per il solo tempo necessario ad uscire dalla pericolosa deriva greca, che solo ieri Standard & Poors ci ha mostrato come non troppo distante.