martedì 17 maggio 2011

LA BUFALA DELLA PEC

Pubblico volentieri, avendo promesso di non scrivere più di un certo ministro che considero neppure degno di menzione, l’opinione dell’avv. Marco Scialdone, Guido Scorza, e nientemeno che della redazione del “Sole 24 ore”, sul formidabile flop della tanto sbandierata Posta Elettronica Certificata. Ad una mia specifica domanda, il mio commercialista, un professionista che dialoga continuamente con le Pubbliche Amministrazioni, mi ha confidato candidamente di non averla mai utilizzata. Se non la usa lui, che è un professionista, figuriamoci noi, che siamo cittadini qualsiasi.

La posta elettronica certificata (PEC) viene introdotta nel nostro ordinamento con il D.P.R 68/2005, a sua volta "attuativo" di una disposizione del 2000 del T.U.D.A., l'articolo 14, comma 3 che così recitava "la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalita' che assicurino l'avvenuta consegna, equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge".

Passano gli anni e la PEC rimane un oggetto misterioso: nessuno la usa, complice la mancanza di interoperabilità con l'email tradizionale. La PEC funziona solo per comunicare con altre caselle PEC. La PEC, inoltre, è una roba solo italiana, negli altri paesi non esiste: un vero controsenso rispetto alla universalità della rete.

Una tecnologia, dunque, destinata a cadere nel dimenticatoio (del resto, la storia dell'informatica ne è piena) finchè qualcuno non decide di resuscitarla nel modo peggiore: imponendola per legge.

Con il Decreto Legge 185/2008 (convertito in legge 2/2009) il Governo prevede che le imprese e i professionisti debbano necessariamente dotarsi di una casella di PEC e, non contento, decide di "regalare" una casella di PEC ai cittadini che ne facciano richiesta.

L'articolo 16-bis della legge 2/2009, infatti, prevede che "per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni ai cittadini che ne fanno richiesta e' attribuita una casella di posta elettronica certificata il cui utilizzo abbia effetto equivalente, ove necessario, alla notificazione per mezzo della posta"

Fate bene attenzione alle parole: ai cittadini che fanno richiesta è attribuita una casella di posta elettronica certificata.

Nella stessa disposizione si rimanda ad un D.P.C.M. per la definizione delle modalità di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini.

Il Decreto in questione viene adottato il 6 maggio 2009 e, ancora una volta, specifica che (art. 3)
"Al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, direttamente o tramite l'affidatario del servizio, assegna un indirizzo di PEC".

Lo stesso decreto specifica che l'affidatario del servizio sarà scelto con gara.

Riassumendo: il cittadino ha diritto ad una casella PEC.

Ad inizio agosto, quando tutti sono in vacanza, viene pubblicato il bando per la scelta dell'affidatario del servizio.

E' qui che il gioco delle tre carte si materializza: davanti avevi la PEC, l'avevi vista, era lì, solo che quando allunghi il dito, scopri che sotto la carta che hai indicato non c'è la PEC ma la CEC – PAC che non si capisce bene cosa sia.

Si capisce solo che si tratta di un sistema ancora più chiuso, diverso dalla PEC, che serve solo per comunicare con la PA e non con il resto del mondo e che costerà a tutti noi (giusto perchè doveva essere gratis!) tra i 25 e i 50 milioni di euro.

Dunque, la legge ci assegnava una casella di PEC (già di per sè una patacca) e Brunetta ha deciso che non la meritavamo e ci ha rifilato la CEC - PAC, con buona pace del diritto.
Il 29 novembre scorso è scaduto il termine entro il quale i professionisti di tutta Italia avrebbero dovuto dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata in ossequio all’obbligo - per fortuna o sfortuna senza sanzione - previsto all’art. 16 della Legge 185/08.
Naturalmente non è stato così e di questo, personalmente, mi rallegro perché ogni indirizzo PEC in circolazione è, allo stato, un inutile elemento di confusione ed ambiguità che non semplifica nulla e complica tutto.
Non riesco, pertanto, proprio a condividere - e me ne scuso con l’interessato - l’entusiasmo manifestato dal Ministro Brunetta per il milione di indirizzi dei quali, a suo dire, i professionisti italiani (architetti, avvocati, giornalisti, medici, commercialisti ecc.) si sarebbero dotati.
Come si fa a manifestare entusiasmo nel riferire che addirittura più del 100% dei Notai - ovvero 5000 indirizzi su 4731 iscritti - già disporrebbe di un indirizzo di posta elettronica certificata?
Dovrebbe essere evidente che c’è un errore e che, pertanto, c’è poco da star sereni: piuttosto che dar numeri in conferenza stampa con toni entusiastici il Ministro avrebbe dovuto avviare una seria ispezione per capire cosa sia realmente accaduto nel sistema PEC nel notariato.
In assenza di un’unica anagrafe dei domicili informatici - o di più anagrafi interconnesse - la PEC non può funzionare: la raccomandata - cui si ispira la nuova modalità di comunicazione elettronica sponsorizzata dal Ministro Brunetta - ha, sin qui, funzionato perché gli indirizzi dei destinatari sono elementi univoci e ben determinati e perché l’ordinamento è costruito sul sistema della mera conoscibilità di una comunicazione inviata all’indirizzo di domicilio o residenza del destinatario.
In assenza di tale certezza neppure la raccomandata avrebbe avuto successo.
Inutile, per la stessa ragione, ripetere che la pioggia di indirizzi di posta elettronica certificata che il Ministero, l’ACI, l’INPS, INFOCAMERE e persino Telecom stanno regalando a destra e a manca forse consentiranno al Ministro Brunetta di autocelebrarsi per l’enorme quantità di PEC in circolazione ma non fanno che accrescere l’ambiguità e scomporre l’identità di ciascuno di noi in tante identità digitali quanti sono gli indirizzi PEC di cui disponiamo.
Questa non è innovazione ma semplice propaganda di politica dell’innovazione miope ed ottusa che rischia di condannare il mondo delle comunicazioni elettroniche al caos.
In questo clima di grande confusione che andrebbe raccontato con voce grave e preoccupata piuttosto che con sorrisi e toni entusiastici, c’è però una buona notizia che arriva dal Tribunale amministrativo Regionale di Pescara i cui giudici, in barba alla disciplina sulla PEC e la firma digitale, hanno ben compreso che la tecnologia e l’innovazione devono essere strumenti di semplificazione nei rapporti tra PA e cittadino e non già sovrastrutture informatico-giuridiche idonee a rallentare processi e rappresentare ulteriori cavilli da legulei ed azzeccagarbugli.
Grandi potenzialità, zero applicazioni. È il destino della posta elettronica certificata che il ministro Brunetta ha voluto mettere dallo scorso anno a disposizione, gratuitamente, dei cittadini. Ribattezzata – con la consueta capacità di creare acronimi che solo nei ministeri hanno – Cec-Pac, non è certo per questo alone di mistero che la Pec pubblica ha ottenuto risultati deludenti.
Nel primo anno di vita se ne è dotato un milione di persone (contro i tre milioni attesi), ma in realtà è solo la metà che poi ha effettivamente attivato la mail certificata. E per di più, quei 500mila hanno inviato un solo messaggio. Probabilmente, quello per capire se lo strumento funziona davvero. Poi hanno riposto la loro Pec in un cassetto e lì si trova tuttora. Perché non sanno che farci. Ancora non esiste, infatti, un elenco dei servizi che si possono effettuare con la mail certificata. In teoria, si può dialogare con gli uffici pubblici senza muoversi di casa e con la certezza di avere un riscontro, perché il documento spedito via Pec equivale alla raccomandata con ricevuta di ritorno. Nella realtà, con quegli uffici il cittadino non sa che dirsi.

In chiusura mi consento un'ultima, amara, osservazione. L'unica occasione nella quale ho potuto utilizzare la PEC è stata la scomparsa di mia madre, avvenuta qualche mese fa. In quell'occasione, ho inviato una PEC all'INPS per comunicare il decesso di mia madre. Nel giro di due ore di orologio le pensioni relative a mia madre sono state rimosse. Magia della PEC! Peccato che per ottenere i ratei di tredicesima spettanti ai superstiti, mi sono dovuto recare personalmente presso gli sportelli INPS e compilare a mano un modello di una decina di pagine. Se si tratta di sospendere una pensione, la PEC funziona benissimo, (probabilmente sarebbe accettato anche un piccione viaggiatore), se, viceversa, si tratta di richiedere un giusto rimborso, la PEC non funzione più, occorre recarsi presso gli sportelli e compilare il tanto amato modello cartaceo, quindi attendere mesi se non anni. Misteri della burocrazia.