sabato 21 maggio 2011

DE PROFUNDIS

L'agenzia Standard & Poor's ha tagliato l'outlook sul rating della Repubblica italiana da stabile a negativo, confermando il rating a lungo termine «A+ » e a breve termine «A/1+» sul debito sovrano. Questo significa che nei prossimi 24 mesi c'è una probabilità del 33% che il rating venga abbassato. Finora l'Italia era rimasta fuori dall'ondata di retrocessioni che ha già colpito Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. C’è, per la verità, da meravigliarsi che le agenzie internazionali di rating come la stessa S&P, Moody’s e Fitch, abbiano atteso tanto a ratificare quello che è sotto gli occhi di tutto il mondo, tranne che da noi. Le motivazioni addotte dall’agenzia che ha fatto uscire la sua valutazione non a caso nella notte tra venerdi e sabato, a mercati chiusi, sono ineccepibili: la prima è che l’Italia non cresce economicamente, non solo, anche quel risicato 1% è poco credibile, più verosimile appare lo 0% della stagnazione. Le seconda motivazione è lo stallo del sistema politico italiano, evidentemente incapace di attuare le riforme necessarie a far diminuire il rapporto debito pubblico/PIL, a far accrescere le entrate fiscali nonostante l’inaudita pressione tributaria del nostro paese, tra le più pesanti del mondo, e soprattutto, di mettere mano a quelle famose riforme strutturali che, pur dolorose, sono indispensabili. Il decreto appena licenziato sullo “sviluppo economico” è un pannicello caldo, non incide minimamente sui conti pubblici, è stato messo a punto da un governo svogliato, inadeguato, cieco ed ottuso, che pensa solo a tirare a campare fino al 2013. Già, il 2013, la naturale scadenza della legislatura, mancano ancora due anni: potrebbero essere i due anni fatali per il nostro paese. Intendiamoci: Standard & Poors non ha fatto altro che fotografare una situazione ampiamente conosciuta da tutti, ha semmai atteso un tempo lunghissimo per diramarla, forse per attendere qualche segno di vita da parte del nostro ceto politico, segno di vita che non c’è stato. Ricordiamo tutti i mesi e gli anni perduti a discutere di case di Scajola, di case di Montecarlo, di vicende giudiziarie che coinvolgono un solo uomo, Silvio Berlusconi. Mesi ed anni preziosi, perduti, in questioni risibili, prive della benchè minima importanza in confronto ad un paese la cui economia stava e sta andando in malora. Dobbiamo essere grati semmai a S&P, che ha stabilito il solo outlook negativo, lasciando sostanzialmente invariato il rating, poteva andarci peggio, molto peggio. L’agenzia di rating ha sottolineato, infatti, che se l’Italia procederà sulla strada delle riforme fiscali e strutturali, il rating potrà rimanere invariato. Ma bisogna fare presto, molto presto. E’ una corsa contro il tempo perché, e questo lo sappiamo tutti, da lunedi, all’apertura dei mercati, il vento delle speculazioni internazionali soffierà deciso sui nostri titoli di stato, e lo spread attuale con i bund tedeschi ce lo possiamo, fin d’ora, dimenticare. Sono fatti così i mercati: la situazione italiana era sotto gli occhi di tutti, ma l’Italia è rimasta sulla graticola a rosolare fino a quando S&P non ha messo nero su bianco come stanno le cose. Da quel momento, complice l’emotività dei mercati, comincerà per noi tutti un periodo difficile, delicatissimo: entriamo ufficialmente nel novero dei paesi a rischio default. Con noi ci sono la Grecia, ormai di fatto fallita, il Portogallo , l’Irlanda, la Spagna e il Belgio, che però, avendo la fortuna di essere governato da tecnici, sta risollevando le sue sorti. L’avessimo noi questa fortuna! Non è questione di centro destra o centro sinistra, l’opposizione ha poche idee e confuse, Berlusconi non appare in grado di governare l’emergenza, è stanco, demotivato, troppo impegnato nei fatti suoi per capire la storicità di questo giorno. Diciamolo subito: le riforme che la UE si aspetta da noi sono quelle famose denominate “strutturali” (che non si capisce mai bene cosa siano). E’ semplice: riforma della pensioni con innalzamento del tetto di vecchiaia a 67 anni, taglio delle pensioni baby – l’INPS non può permettersi di versare una pensione per cinquant’anni ad una persona che si è collocata a riposo sotto i quarant’anni, determinazioni di pensioni di “solidarietà”, vale a dire un taglio alle pensioni sopra i 5.000 euro (non sono poche come potrebbe apparire). Altra riforma strutturale: continuare sulla strada delle privatizzazioni. Sono dolorose, si vendono i gioielli di famiglia, non fa piacere a nessuno, ma si tratta di una via obbligata. Non parliamo della riforma del fisco perché, dispiace rimarcarlo, è assolutamente inattuabile in Italia. L’Italia è un paese dove non si pagano le tasse, e continuerà ad esserlo. Non c’è riforma che tenga. Siamo destinati ad essere in testa alle classifiche mondiali per evasione fiscale, ma una cosa abbiamo chiaramente compreso: in questo paese il problema dell’evasione è ineliminabile, è un tumore che ci portiamo da sempre appresso senza possibilità di guarigione. Ma le riforme di cui abbiamo accennato dovrebbero essere portate avanti da un governo forte, autorevole, e la nostra classe politica è troppo inetta, debole, divisa per questioni di bottega, per  attuare una simile svolta. E allora, il timore fondato è che per l’Italia stia per suonare il “de profundis”. Si comincia a vedersi tagliato il rating, l’economia continua a non crescere perché non sorretta a dovere dalla politica, l’evasione continua imperterrita, i titoli di stato sono costretti  ad applicare interessi troppo elevati per essere acquistati, insomma ci si incammina sulla stessa strada della Grecia e del Portogallo. La buona notizia che Mario Draghi (salvo cambiamenti dell’ultima ora dovuta ai nostri dissestati conti) sarà designato alla presidenza della BCE non può aiutarci più di tanto, anche perché, da professionista serio qual’è, Draghi deve mantenere una giusta equidistanza. E anche il tormentone che siamo troppo grandi per cadere, potrebbe rivelarsi una illusione: la Germania e gli stati del nord Europa potrebbero svincolarsi dalla periferia, e dare vita ad un euro a due velocità, anticamera di un ritorno alle valute nazionali, che per noi sarebbe la fine dell’Italia come l’abbiamo conosciuta finora. In ogni caso, il pericolo che più di ogni altro ci deve preoccupare, nel medio – lungo termine, è la cosiddetta “ristrutturazione del debito sovrano”, la stessa della quale si sta parlando in questi giorni per la Grecia, e che paesi come l’Argentina hanno ben conosciuto. Che cosa implica la ristrutturazione del debito sovrano? Per il cittadino essenzialmente questo: se abbiamo prestato allo stato 100, in obbligazioni o titoli di stato, la scadenza di tali titoli subisce un differimento, diciamo di un paio d’anni (i soldi rimangono tuoi, ma non puoi utilizzarli), e una riduzione del tasso di interesse applicato al momento della stipula o un taglio del valore nominale dei titoli (hai prestato allo stato 100, lo stato, insolvente, te ne restituisce 75)non si tratta, come è di tutta evidenza, di una prospettiva troppo allegra. Ricordiamo, lo abbiamo ribadito da queste pagine più volte, che quella in atto non è una crisi economica, ma un “tornante della storia”, una svolta epocale che ha avuto un inizio ma non può conoscere una fine, dal momento che, tra molti anni, si entrerà in un era di transizione tra un sistema economico finanziario ed un altro, che ancora non si intravvede. Non si esce dunque, da questa crisi, si può solo, come fanno i paesi virtuosi del nord Europa, gestirla, governarla, convivere con essa. Non aspettiamoci nessuna fine della crisi, cerchiamo di assecondarla provando a parare i colpi e a farci il meno male possibile. Ma con i politicanti di casa nostra, la vedo dura. Quando un ministro della repubblica continua il tormentone dei dipendenti pubblici fannulloni, non vedendo il livello di corruzione inaudito dei dirigenti delle P.A., c’è poco da stare allegri. Prepariamoci, dunque, ad un lunedi nero delle  borse, uno dei giorni peggiori dei nostri mercati, vediamo se il crollo imminente saprà sollecitare le nostre risorse migliori. O se, come accade in Belgio, un paese senza governo da oltre un anno, non sarà auspicabile un governo di tecnici anche da noi, svincolati da cosche, consorterie, clientele e logge. Sarebbe, allo stato attuale, l’unica soluzione possibile. Mandare a casa i politicanti di professione e affidare l’emergenza a tecnici indipendenti. Ma, considerato l’attaccamento dei nostri politici alle rispettive poltrone, mi appare abbastanza improbabile. Da noi un deputato, per essere costretto alle dimissioni, deve, come minimo, strangolare un avversario politico. Un consiglio, infine, mi sento di dare ai miei cari lettori, che hanno investito in obbligazioni o titoli di stato: niente panico, non correte a svendere i vostri prodotti, non farete che alimentare la speculazione internazionale e vi ritrovereste con una somma sensibilmente inferiore rispetto a quella investita: state alla finestra, tenete d’occhio i mercati, ma non contribuite ad alimentare la crisi, che con le banche in debito di liquidità, finirebbe per avvitarsi su se stessa.