mercoledì 28 giugno 2017

ALLE PROSSIME ELEZIONI SARA’ UNA PARTITA A TRE



Non bisognerebbe rassegnarsi alla prospettiva di votare con due leggi elettorali profondamente diverse. Tuttavia appare quasi certo che anche in caso di modeste correzioni l'impianto resterà proporzionale e senza adeguati correttivi. L'offerta elettorale si dovrà regolare, come è evidente, di conseguenza. Con ciò svanisce il mito della cosiddetta vocazione maggioritaria, prospettiva inverosimile resa credibile solo da premi di maggioranza, ed emerge il vero tema sottostante, che è quello dell'identità partitica. Ovvero la massimizzazione dei consensi dei partiti sulla base di un profilo culturale netto e riconoscibile nel tentativo di conquistare vecchi e nuovi elettori.
Alle prossime elezioni è prevedibile che nessun partito avrà una maggioranza autosufficiente per costituire un governo. Se così fosse, i grandi partiti devono decidere come affrontare le elezioni, se e quali alleanze dichiarare per il post voto e così via.
Il Movimento Cinque Stelle si presenterà da solo, secondo le proprie convinzioni e il proprio non-statuto (sic!), dal momento che rifiuta programmaticamente di allearsi con altre forze politiche. Forza Italia, un partito con tanti problemi a partire dall'età del suo leader, pur di fare il pieno potrebbe pensare a un listone, nel caso probabile in cui le leggi elettorali non arrivassero a prevedere apparentamenti e dunque coalizioni pre-elettorali.
E il Pd... e il Pd? Renzi sembra intenzionato a rispolverare il tema dell'orgoglio partitico e di non avviarsi verso defatiganti trattative e concessioni.
Ma il tema di fondo pare un altro. Sarebbe interesse non partigiano ma del sistema istituzionale che il Movimento Cinque Stelle fosse tenuto su percentuali più modeste del 2013. Detto altrimenti che arrivasse terzo nella competizione partitica. Nonostante gli occhiolini alla Lega, il suo essere anti-sistema è un problema di... sistema. Più voti al Cinque Stelle possono fargli arridere un successo elettorale, forse anche un pre-incarico di governo, ma accrescerebbero solo le difficoltà a creare un governo della Repubblica. Diversamente, non sarebbe semplice ma una formula in parlamento non sarebbe impossibile, forse anche previe mobilità di parlamentari, come l'esperienza insegna ogni qual volta la legislatura è iniziata senza una maggioranza certa.
È sulla base di questo assunto che Berlusconi sta attaccando frontalmente i Cinque Stelle e nello stesso ordine di idee Renzi sembra assegnare grande importanza all'obiettivo di voler fare del Pd la prima forza del sistema puntando quindi sull'identità partitica.
Guardando i risultati delle politiche del 2013 appare evidente che lo straordinario exploit del M5S non rubò neanche un voto all'astensionismo (che perfino crebbe!) ma fu reso possibile da un'emorragia di voti del Pd ma anche e soprattutto del centro-destra, tanto che quel che restava di Forza Italia e Alleanza Nazionale colse un modesto 20%. Milioni di voti (si è detto, rispettivamente tre e sei) in libera uscita sono andati e probabilmente a tutt'oggi restano nella cassaforte del M5S.
Puntare sull'identità partitica ha inoltre un pregio sistemico in un sistema ormai quasi privo di partiti solidi e ordinati, come è apparso chiaro dall'ultimo turno delle elezioni amministrative dove si sono combinate la cannibalizzazione di Forza Italia e Pd da parte delle liste civiche (più o meno vere), e un'astensionismo inedito per un modello, quello del sindaco, che si era pensato a lungo che entusiasmasse i cittadini. Le identità partitiche sono il collante di qualunque sistema istituzionale e nei governi parlamentari sono la base delle formule di coalizione, ormai ineludibili quasi ovunque.
Ne riparleremo dopo le elezioni siciliane d'autunno. Intanto, se l'analisi fosse verosimile, è da dimostrare che giovi a Berlusconi, per riprendere una parte dei suoi voti finiti nell'astensionismo o nel Movimento Cinque Stelle, puntare, come dichiara di fare, sul terreno del liberalismo e della moderazione (credibili o meno che siano queste parole dì'ordine).
Dovrebbe invece presentarsi con un volto decisamente di rottura e competere sul terreno di Salvini e dei grillini, oltre che ricorrere a qualche trovata delle sue. Così come una nuova radicalità sembra deciso a riscoprire anche Renzi, ovviamente adeguata al contesto suo campo politico. Il Movimento Cinque Stelle nel 2013 ha realizzato una delle più grandi epopee politiche degli ultimi decenni, ma ciò è stato reso possibile da bipolarismo usurato e naufragato sugli scogli del governo "tecnico" di Monti, con un Berlusconi tramortito e un Pd sottotono appresso alle psichedelie bersaniane.
Berlusconi e Renzi appaiono, per ragioni diverse, un po' ammaccati dalle rispettive vicende ma hanno una resilienza straordinaria e stanno cominciando a prendere le misure agli avversari che appaiono tutt'altro che imbattibili. Berlusconi però conserva un atteggiamento ondivago su Salvini e subisce i richiami di Toti all'ecumenismo e di Tajani al popolarismo e all'europeismo, ma dentro di lui gli animal spirits sono pronti a ruggire.
Renzi sembra più avanti nella riflessione: parrebbe aver chiuso a ogni possibile ritorno a ulivismi e unionismi vari ed eventuali ma raccoglierebbe frutti se, e solo se, si occupasse rapidamente del partito e battezzasse una nuova classe dirigente.
Allo stato attuale dell'arte, le prossime elezioni potrebbero essere una disfida all'ultimo voto tra i tre protagonisti. A leggi elettorali vigenti, avrei pochi dubbi, saranno elezioni identitarie.
Huffington Post