lunedì 3 luglio 2017

SE AVESSI INVESTITO



Rappresenta il leitmotiv di uno dei rimpianti che sempre più spesso mi viene rappresentato all’interno delle email inviate dai lettori che si rammaricano di non aver investito su un determinato strumento finanziario viste le performance prodotte a posteriori. In particolar modo somatizzano il pensiero che se qualcuno avesse dato loro l’input probabilmente avrebbero investito a titolo personale senza tanto pensarci. Investire saltuariamente senza una strategia ben definita difficilmente produce soddisfazione, al di là di sporadici colpi di fortuna i quali si alternano karmicamente ai colpi di mala sorte che azzerano i risultati positivi del passato. La dea bendata contribuisce per meno del 5% alla crescita della equity line di un investitore sistemico, il contributo maggiore infatti scaturisce dalla disciplina dell’investitore che pesa per il 60% e per appena un terzo alla tecnica di investimento. Il top di gamma emerge dalle email ricevute in questi ultimi mesi che solitamente hanno questo tono e contenuto: se avessi investito 5.000 dollari in bitcoin sette anni fa ora potrei vivere di rendita senza più preoccupazioni in quanto mi ritroverei con svariati milioni di dollari. La performance effettivamente della criptovaluta più osservata al mondo durante questo lasso di tempo avrebbe dato (condizionale) questo risultato finanziario. Peccato che non l’ha realizzata nessuno, almeno nessuno di quelli che tanto sbandierano la bontà ed opportunità di questo investimento non regolamentato e privo di controllo. Qualcuno vi ha investito qualche migliaio di euro, tuttavia molti anni più tardi, ed al primo giro bolla delle quotazioni (meno 70% in pochi mesi) è scappato a gambe levate portando a casa solo una modesta performance di qualche decina di punti percentuali.
Dopo vi sono quelli più furbi di tutti (dicono loro), ossia quelli che hanno comperato bitcoin & company mediante società offshore registrate alle Seychelles che ora hanno problemi non indifferenti, non sul piano finanziario, ma su quello penale e fiscale. A seguito infatti della messa a regime del CRA e del FATCA, la banca che ha ricevuto l’accredito dalla vendita su qualche exchange esotico ha richiesto inizialmente al titolare del conto di fornire informazioni a supporto della transazione in qualità di UBO (Ultimate Beneficial Owner). Quando quest’ultimo ha comunicato che si trattava di smobilizzo di bitcoin, il Compliance Department della banca in questione ha congelato l’operatività (ai sensi dell’attuale normativa bancaria) del suddetto conto e obbligato il titolare a fornire una documentazione di regolarità fiscale in merito alla origine dei fondi e sul successivo smobilizzo, documentazione che nessun professionista tributario si sogna di produrre visti i rischi professionali che oggi gravano sulle transazioni finanziarie (soprattutto quelle cosidette grigio su bianco). Conseguenza: il conto ed i fondi sono ancora congelati e non disponibili, nel frattempo tale soggetto si sta aspettando un accertamento fiscale piuttosto invasivo visto la sua architettura di investimento (offshore e denaro non tracciato) che gli intermediari bancari e finanziari dal 2015 comunicano su base spontanea con le varie tax authority. Evito di menzionare ed elencare i vari italiani che hanno venduto bitcoin a propri conoscenti ed adepti letteralmente in nero, ossia dammi il contante frusciante in mano che ti giro qualche bitcoin sul wallet quando la quotazione era di qualche centinaio di dollari (della serie tutorial sull’evasione fiscale ed il riciclaggio di denaro fatti in casa). Non lo trovate strano ?
Ma come, stiamo parlando dell’investimento del secolo che deve arrivare brevemente ad una quotazione di migliaia di dollari e tu che fai ? Lo svendi per poche centinaia di dollari, pochi maledetti e subito. Questo comportamento, che rappresenta tra l’altro un illecito fiscale e finanziario (incassare tale posta in contanti), appare piuttosto irragionevole. Forse queste persone volevano fare un atto di magnanimità verso il prossimo. Oppure dovevano canalizzare denaro di dubbia provenienza. Investimenti con performance stratosferiche si potevano ottenere anche sui mercati regolamentati, nel pieno rispetto della legalità e fiscalità, bastava solo dotarsi di strategia e pazienza (e quest’ultima rappresenta il vostro peggior nemico). Ad esempio: se avessi investito i fatidici 5.000 dollari in azioni Apple ad inizio millennio, ora dopo 17 anni mi ritroverei con oltre 700.000 dollari (senza contare il flusso di dividendi). Altro caso con orizzonte temporale più abbordabile, cinque anni: 5.000 dollari investiti nel 2012 sul titolo Netflix (in piena crisi del debito sovrano europea) oggi varrebbero più di 100.000 dollari. Nello stesso lasso di tempo con Facebook sarebbero diventati 50.000 dollari. Quando cadeva il muro di Berlino, aver acquistato 5.000 dollari in azioni Microsoft ne avrebbe prodotti ad oggi in caso di smobilizzo oltre 500.000 dollari. Stando in casa nostra e sempre con finestre temporali compresse (sette anni), 5.000 euro sul titolo Brembo si sarebbero convertiti in oltre 70.000 euro e cosi via si potrebbe dire anche per altri titoli più o meno conosciuti. L’aspetto avvincente dei mercati finanziari (quelli regolamentati) è che sempre daranno opportunità di investimento con performance degne di nota.
Un altro esempio ancora più banale, investendo 5.000 euro sul fondo comune di investimento, Carmignac Patrimonie (bilanciato moderato con una volatilità inferiore al 6% su base triennale), avreste ottenuto 40.000 euro in appena quindici anni, senza seccature fiscali e soprattutto dormendo in pieno relax ogni notte. Professionalmente ho realizzato alcune super performance in appena due anni con il raddoppio del capitale quasi sempre con titoli obbligazionari acquistati in momenti di stress e difficoltà dell’emittente. Pur tuttavia mai ho investito la totalità del mio capitale su una singola emissione o su un singolo titolo, come invece chiedono di voler fare tanti piccoli investitori che vogliono tanto e subito (avidità e stupidità messe assieme). One drop became an ocean, recita un antico detto cinese. Gli oceani si formano una goccia alla volta. Così dovrebbe essere anche per il vostro patrimonio finanziario. Questa view è stata ben rappresentata in Padrone del Tuo Denaro ancora sette anni fa, descrivendo ed analizzando la metodologia di investimento del più grande investitore esistito lo scorso secolo, Sir John Templeton, il quale fondò anche l’omonima casa di gestione che porta il suo nome. Sto parlando della Teoria delle Tre Pentole che insegna a gestire con grande semplicità il proprio portafoglio, puntando su asset molto rischiosi solo sporadicamente una piccola parte del proprio capitale, solitamente proprio quello ricevuto magari da un altro investimento. Esempio: investire in uno strumento aggressivo il flusso cedolare ricevuto da un titolo di stato. Per quanto stiamo assistendo sui mercati, si stanno ricreando questa estate delle straordinarie occasioni ed opportunità di investimento proprio scaturenti dai vari rischi sistemici che caratterizzano le economie avanzate.
Eugenio Benetazzo – eugeniobenetazzo.com