venerdì 14 luglio 2017

ONG: IL CODICE CHE NON SERVE A NESSUNO



L'operazione guidata da Frontex nel Mediterraneo cambierà. Così è stato deciso al vertice tenuto a Varsavia, sede operativa dell'agenzia di pattugliamento delle frontiere europee, l'11 luglio. Ma l'estenuante partita diplomatica che l'Italia sta giocando in Europa è ancora lontana dal chiudersi. Infatti, al segnale positivo di Frontex è seguito un no secco all'apertura dei porti degli altri Paesi europei. Dall'agenzia di pattugliamento europeo c'è comunque una tregua, come confermato dal direttore Fabrice Leggeri, convocato dalla Commissione Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) in audizione all'europarlamento il 12 luglio. Leggeri ha ricordato che finora sono arrivati in Europa 85 mila migranti, di cui nove su 10 dalla rotta Libia-Italia. Già 2 mila sono stati i morti. «Ora all'Unione europea tocca dimostrare solidarietà all'Italia», ha detto Leggeri. Frontex, dopo la visita di una delegazione guidata dal prefetto Giovanni Pinto, ha costituito un gruppo di discussione su uno dei fronti aperti della trattativa con l'Italia: il codice di condotta delle Ong.
LE TRATTATIVE SUI PORTI. Obiettivo principale dell'Italia è cambiare la missione Triton, operazione di pattugliamento coordinata da Frontex nel Mediterraneo. L'Italia vuole far sbarcare i migranti anche in altri porti europei e vuole raggiungere una nuova spartizione delle zone Sar (Search and rescue), il tratto di mare dove avvengono i salvataggi. L'ipotesi è quella di stilare una lista di “porti sicuri vicini” in cui effettuare le operazione di sbarco. Una proposta sulla quale in Europa si lavora almeno dal 2015, su spinta proprio di Frontex, che vorrebbe includere prima di tutto i porti tunisini nella lista dei nuovi attracchi possibili. Anche la Libia, come dichiarato dallo stesso ministro Marco Minniti nella sua informativa al Parlamento del 5 luglio, dovrà rientrare nel piano. Tanto che il numero uno del Viminale vuole aprire, quando (e se) il Paese sarà stabile, un ufficio di coordinamento dei salvataggi a Tripoli. Ma, per arrivare a questo, serve prima condividere dei passaggi intermedi.
IL LEAK DI STATEWATCH. Nasce così la decisione di realizzare una bozza del codice di condotta delle Ong a cui dovranno adeguarsi tutti i soggetti che fanno salvataggi in mare, oltre che i Paesi Ue. Dopo la campagna cominciata dalle “analisi” del procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro, la Commissione Schengen e quella Difesa hanno scritto una serie di norme per regolamentare il comportamento delle Ong. I punti principali sono l'obbligo di non spegnere mai il trasponder, l'obbligo di non scavalcare il limite delle acque territoriali libiche, l'obbligo di collaborazione con le autorità locali. A pubblicare la bozza è stato il sito Statewatch, portale che monitora le istituzioni europee e che spesso pubblica documenti ancora riservati. L'impatto sul piano tecnico? Quasi nullo: le regole del Codice della navigazione italiana e le convenzioni previste dall'Imo (International Maritime Organisation) già prevedono tutto.
«Le leggi internazionali già prevedono sanzioni, il codice non aggiunge nulla. Le problematiche sollevate dal codice sono del tutto irrilevanti», spiega l'avvocato esperto di diritto del mare Francesco Del Freo, per anni direttivo all'ufficio legale del ministero dei Trasporti. La legge italiana e internazionale già ora prevede che ci sia il diritto di inseguimento di chi scollega i trasponder (che in realtà si chiamano blue box, strumenti che permettono il monitoraggio degli spostamenti delle navi). In casi di mancata identificazione, le navi militari possono avvicinare un natante e sparargli contro, in casi estremi. Già ora – a parte casi di pericolo eccezionali per le vite dei passeggeri – è vietato qualunque sconfinamento nelle acque libiche, così come previsto dal secondo punto del codice di condotta delle Ong. «È un memorandum di origine pattizia, un accordo tra Paesi e gli attori delle organizzazioni non governative. Sul piano delle sanzioni ci sono già le convenzioni internazionali e il Codice della navigazione italiano», precisa Del Freo.
IL CASO DELLE BANDIERA OMBRA. Quando è scoppiata la polemica sulle Ong, uno dei nodi della critica era il fatto che queste battono bandiere diverse dalle europee. Le più frequenti sono Panama, Belize, Mongolia, Isole Marshall. Il motivo lo spiega sempre Del Freo: «Il motivo è di semplici sgravi fiscali e meno tutele per i lavoratori». Infatti i costi di registrazione al registro italiano Rina sono molto più elevati. Così come le regole da seguire per la messa in sicurezza del natante e per la sicurezza dell'equipaggio sono molto più stringenti. I primi casi di bandiere ombra risalgono alla Seconda guerra mondiale, quando delle navi-spia cercavano di nascondersi sotto identità differenti.
CRITICHE DI AMNESTY E HUMAN RIGHTS WATCH. Amnesty International e Human Rights Watch hanno reagito al leak sul codice di condotta sostenendo che potrebbe «in qualche caso ostacolare le missioni di salvataggio e ritardare lo sbarco in posti sicuri entro un limite ragionevole di tempo, rompendo gli obblighi che Stati e armatori hanno sotto la legge del mare». «Le Ong sono in mezzo al Mediterraneo perché l'Unione europea è assente», ribadisce in un comunicato Judith Sunderland, associate director di Human Rights Watch in Europa e Asia. «L'Ue dovrebbe lavorare con l'Italia per rafforzare le operazioni di salvataggio, non limitarle», aggiunge. Ma per l'Italia la partita a scacchi con l'Europa è solo all'inizio. E le Ong, anche senza volerlo, sono un pedina sulla scacchiera.
Lorenzo Bagnoli – Lettera 43