Provo a
rispondere a tutte le richieste pervenute in questa ultima settimana
soprattutto in merito al recente video pubblicato sul sito di BeppeGrillo.it
e relativo al mio commento al programma di politica economica del M5S.
Nello specifico mi sono occupato di effettuare un commento sulla proposta di
istituzione della Banca Pubblica degli Investimenti, concepita come un
nuovo braccio finanziario per il governo che verrà e con lo scopo dichiarato di
dare supporto ed abbrivio soprattutto ai settori ritenuti strategici per la
crescita dell’economia nazionale. La maggior parte dei commenti ed anche contestazioni
ricevute sono relative al quadro macroeconomico che stiamo vivendo, in
particolar modo rapportate al recente voto francese. In buona sostanza secondo
un elettore italiano, preso all’interno del campione medio di riferimento, la
stasi del nostro Paese e il lento deterioramento economico e sociale che ne
conseguenza sono unicamente riconducibili a tre imputati d’eccellenza:
l’euro, l’austerity degli organismi sovranazionali e la corruzione tanto a
livello politico quanto a livello privato. Rappresenta un comportamento
naturale in caso di profonda difficoltà cercare un colpevole e metterlo
sul banco degli imputati. Sull’euro è stato scritto e detto sino al prossimo
secolo, anche dal sottoscritto in simbiosi con altri prestigiosi interlocutori,
tuttavia per quanto possa sforzarmi di fare il contrarian, appare sempre
più arduo considerare la moneta unica come l’unica responsabile di quanto
stiamo soffrendo. Anzi a dire il vero se non ci fosse stata la moneta unica ed
i vari scudi europei implementati in ambito finanziario in questi ultimi
tre anni, almeno 1/3 delle persone che avessero in passato contratto un mutuo a
tasso variabile avrebbero perduto la propria abitazione, senza
dimenticare invece la carneficina che ci sarebbe stata sul panorama bancario
italiano, anche in questo caso almeno 1/3 delle banche italiane sarebbe
purtroppo collassato.
Andiamo per
gradi. Sono passati ormai dieci anni dal crash Lehman, lo zero cronologico che
ha dato avvio alla Grande Crisi come è stata definitiva. Questo decennio
deve essere diviso in due parti, cronologicamente parlando. La prima che va dal
2008 al 2011: durante questa finestra gli USA hanno dato avvio al recovery
della propria economia attraverso vari interventi di portata storica
come il QE e l’industria dello shale oil. In questa prima fase gli States hanno
dimostrato maggiore debolezza e vulnerabilità dell’UE, addirittura il pil
pro-capite americano è sceso più di quello europeo. Il rapporto di cambio ci
aiuta a comprendere la maggior forza del Vecchio Continente: il cross
EUR/USD ha oscillato tra 1.50 e 1.25 attestandosi mediamente in area 1.35.
Dal 2011 ad oggi lo scenario si inverte: in Europa scoppia prima la crisi greca
che continueremo a portarci avanti a singhiozzo sino ai giorni nostri ed in
parallelo esplode la crisi del debito sovrano che colpisce soprattutto le
nazioni della periferia. A questo punto scendono in campo le autorità
monetarie che iniziano a varare in successione strumenti ed operazioni di
salvataggio mai sentite prima: EFSF, ESM, OMT, LTRO, TLTRO e QE. Il
rapporto di cambio EUR/USD è lo specchietto di questo nuovo quadro
macroeconomico, passa infatti da 1.35 a 1.05, attestandosi mediamente in
area 1.15. La nuova politica monetaria europea che viene implementata molti
anni dopo l’inizio di quella statunitense, unitamente alle nuove fobie finanziarie ed
all’inasprimento fiscale conseguente (fiscal compact) producono due fenomeni di
impatto rilevante: in primis l’arresto degli investimenti (da parte dei
privati per la percezione di incertezza che si viene a creare e da parte del
settore pubblico che deve rispettare deficit di bilancio più virtuosi) ed in
secondo luogo l’aumento considerevole del risparmio concepito come un
forziere a cui attingere in caso di necessità nel futuro.
Questa
conseguenza inoltre viene esacerbata dallo ZIRB (zero interest rate bond)
conseguente al QE. In Europa si inizia anche a risparmiare molto di più che in
precedenza (il risparmio per definizione è una quota di risorse finanziarie
sottratta ai consumi e investimenti), questo per la constatazione che i
sistemi di welfare attuali sono sostanzialmente insostenibili nel medio
periodo e pertanto si ritiene di non poter fare più affidamento sulle attese di
rendita nazionale. Con il passare degli anni ci si rende conto che la
cosiddetta crisi, prima finanziaria, poi economica e ora sociale non è
conseguenza di una moneta considerata troppo forte (la UE negli ultimi 15
anni ha sempre esportato più degli USA) quanto piuttosto di una crisi del
debito, di troppo debito contratto sia a livello privato che pubblico.
Oltre a questo si devono poi aggiungere le dinamiche demografiche avverse di
cui è caratterizzata la UE (e che come è stato esposto su Apocalyps€uro si sta
cercando di soluzionare con la finta immigrazione non controllata). All’interno
della UE vi sono poi alcune nazioni che in buona sostanza durante questa
seconda finestra temporale non hanno fatto nulla per modificare il loro
outlook economico peggiorando notevolmente il loro stato di salute: su
questa constatazione trova fondamento il recente downgrade italiano. Ad esempio
pur avendo la moneta unica, la Spagna è il key country che cresce di più
in Europa (attesa di 2.8% nel 2017) ed altri minori periferici sono autentici
esempi di virtuosismo indotto proprio dal potenziale scaturito dalla moneta
unica, vedi il caso maltese contraddistinto da un PIL al 5.3% nel 2016 e
atteso al 4.2% nel 2017. A casa nostra invece abbiamo avuto il Paese sostanzialmente
imballato per quattro anni dai governi a marchio PD.
Oltre
all’aumento continuo e progressivo del debito pubblico italiano e a una
crescita anemica, sostanzialmente non si possono identificare significativi
driver in grado di produrre impulso economico. Anzi. L’esatto opposto. Dal
2008 hanno abbandonato il Paese dell’immobilismo più di 800.000 nostri
connazionali, portandosi dietro capitali, lauree, pensioni, risorse,
capacità e soprattutto vocazione imprenditoriale tanto apprezzata all’estero.
Chi rimane qui, puntando il dito sull’euro e l’Europa come unici colpevoli
delle loro sventure, di fatto è solo l’ennesimo parassita che ha sempre
goduto di un protezionismo sociale sfrenato garantito a vita dai soliti
governicchi di pseudosinistra. Fermatevi un momento a riflettere: in questi
ultimi quattro anni si è modificata la fiscalità in Italia (certo, ma in
peggio) ? Gli uffici amministrativi del Paese continuano ad essere degli
strumenti di oppressione e vessazione per chi vuole fare impresa ? Vi
risulta che i tempi di attesa per il giudizio su una causa legale siano
diminuiti ? Vengono sempre e solo salvate le solite aziende serbatoio di
voti per le sinistre (vedi Alitalia) ? La rigidità del mercato del lavoro è
stata soluzionata definitivamente ? Qualcuno ha pagato con una condanna i vari
fallimenti bancari che ci sono stati (e quelli politicamente evitati) ? Vi
risulta che la dimensione della corruzione sia inferiore ai tempi di Mani
Pulite ? Purtroppo ha ragione Briatore, l’Italia è una nazione che vive
sull’immobilismo, quelli che vorrebbero cambiarla in meglio sono costretti
ad andarsene. Si tratterà di capire se questo con il tempo rappresenterà un
vanto o solo un tentativo discriminatorio di far sopravvivere intere
generazioni di italiani abituate al protezionismo sociale sfrenato e
illogico tipico di quell’Italia democristiana che ha sempre dato tutto a tutti
per preservare e conseguire il più alto consenso elettorale a scapito di una
nazione più efficiente e meritocratica.
Eugenio Benetazzo –
eugeniobenetazzo.com