A Natale, si sa, tutti sono più
buoni, o almeno questo afferma la pubblicità. Ma, se prescindiamo dai media,
l’aspetto cristiano del Natale dovrebbe muoverci a evidenziare le migliori
qualità del nostro temperamento, e a valorizzarle, sviluppandole pienamente. E
allora vi racconto una piccola storia di Natale, piccola piccola, quasi
trascurabile, ma che ci insegna qualcosa. Si pensi ad una donna sulla
sessantina, ormai prossima alla pensione, reduce da due naufragi sentimentali:
con un marito inesistente ed un padre latitante, e con un individuo gretto ed
egoista, che, infilato il piede in una pantofola ed appeso il cappello, ha
fatto solo il suo comodo. Ora lei si trova sola, con una storia di fallimenti
alle spalle, scoraggiata, depressa, alla deriva. Sul posto di lavoro incontra
un uomo di qualche anno più giovane di lei ma sulla soglia della pensione per
le alterne vicende della vita. Lei si mostra per quello che è: trasandata fino
alla sciatteria, con i capelli lunghissimi e trascurati, senza sopracciglia,
con gli occhiali recanti una montatura nera e rossa terrificante, struccata,
vestita con un guardaroba anni settanta. Lui decide di fare qualcosa per
raccogliere i cocci e rimetterli insieme. Le fa tagliare i capelli, tatuare le
sopracciglia, cambiare montatura degli occhiali, rinnovare il guardaroba, le
cura persino il trucco. Lei accoglie con entusiasmo queste innovazioni e le
scambia probabilmente per interesse sentimentale. Ma così non è. Lui mette da
subito in chiaro che non potrà mai nascere qualcosa del genere tra i due e che
non si andrà mai oltre l’amicizia. Lei decide di accettare ugualmente la sua compagnia. Nel frattempo un incidente
arriva a modificare le cose: in una caduta lei si frantuma una rotula: è una
brutta frattura, necessita di cure e di una lunga riabilitazione. Lui la segue
giornalmente come una sorella. Ogni giorno, mattina e pomeriggio la va a
prendere a casa, la porta ovunque, dai sanitari così come a fare passeggiate
per rieducare l’arto. Lei sembra scoprire un mondo nuovo: dopo tanti anni nei
quali sembrava vissuta in una campana di
vetro, un mondo nuovo le si spalanca davanti agli occhi. Il suo amore non
demorde: ogni tanto lei torna alla carica, ma la risposta di lui è sempre la
stessa, amicizia ma non amore. Lei, a malincuore, accetta. Finchè, un giorno, a
guarigione ormai avvenuta, lui le prospetta un tentativo da esperire con la
donna che ha sempre amato, ma che lo ha lasciato per i comportamenti scorretti
(e i tradimenti) da lui perpetrati. Lei sembra entrare nel panico: se
l’esperimento funziona io perdo l’unico riferimento che ho, rimango sola, non
sopporto la solitudine. Deve assolutamente conoscere o incontrare un altro
uomo. Lui le dà l’ultimo consiglio: registrati presso un sito di incontri. Lei
esegue, come sempre. Dopo qualche tempo e qualche incontro non fortunato, si
imbatte in un individuo che potrebbe andare bene, anche se risiede in un’altra
città. Piano piano il rapporto si consolida, anche perché lei deve farlo andare
bene per forza: non ha scelta, la solitudine è insopportabile. Lui, invece,
rimane solo: l’esperimento con la donna amata è fallito, e lui rimane solo con
i suoi rimpianti e le sue nostalgie. La situazione si è ribaltata: adesso è lui
ad avere bisogno di una mano, di una presenza amica che possa farlo sentire
meno solo. Ma lei fa orecchie da mercante: adesso è una donna realizzata,
Cenerentola si è emancipata e ha conosciuto il mondo, ha incontrato l’uomo
della sua vita, è diventato il suo fidanzato. Essendo una donna priva di carattere,
assimila, assorbe e metabolizza quello della persona che le sta accanto: lui è
un patito della palestra? Benissimo, lo diventerà anche lei, a costo di
spezzarsi la schiena. Se lui fosse stato un campione di bocce, lei si sarebbe
iscritta alla bocciofila più vicina. Ora non ha più tempo per lui, c’è il
lavoro (per quanto si avvii alla conclusione), c’è soprattutto la palestra, ci
sono le telefonate chilometriche con l’amato lontano. Per lui, al massimo, si
possono concedere alcuni ritagli di tempo, diciamo dalle 17,30 alle 18,15. E
così, in barba alla più elementare delle riconoscenze, lui si ritrova solo, ma,
fortunatamente, non vive la solitudine con terrore. Così, tra una sauna ed un
bagno turco, lui, un bel giorno si stufa di essere uno da “ritaglio di tempo” e
manda a quel paese per sempre, la donna che ha approfittato di lui per il solo
tempo in cui ha avuto bisogno della sua presenza. Fine della storiella. La
morale? La donna in questione è uno dei peggiori esemplari femminili nei quali
ci si possa imbattere. Meschina, egoista, come un parassita ha succhiato la
linfa che poteva esserle utile per uscire dal guscio della depressione e
trovare un’altra persona cui dedicarsi completamente. Non c’è più spazio per le
amicizie. Dante ha collocato nell’ultimo girone infernale, quello più prossimo
a Lucifero, conficcati nella pianura gelata della Giudecca i “traditori dei
benefattori”, a dire che non esiste peccato peggiore. La morale, dicevamo. Fate
il bene per il bene, come norma universale di comportamento, kantianamente,
come imperativo categorico. Non aspettatevi nulla in cambio: né in questo
mondo, dove gli altri esseri umani dimenticano subito il bene ricevuto, né in
un altro mondo, perché Dio non vi giudicherà come un ragioniere sulla base
delle vostre opere, ma sulla purezza del vostro cuore, e sulla vostra fede in
Lui. Inutile dirvi che la storia è vera, i protagonisti non sono immaginari,
lui adesso si è seduto sulla riva del fiume. E aspetta, aspetta…