martedì 29 dicembre 2015

LA PIU’ BELLA STORIA DI NATALE. LA FAVOLA VERA DI JOHN KEATS



Gli occhi chiusi, la mano destra contro la parete, quasi la casa palpitasse: investito dalla luce di fine estate che nuota verso di lui dalle ampie vetrate di Wentworth Place, Keats ausculta, al di là del muro, l'impercettibile sublime fremito di quello che lui sa essere un fiato. Dietro, nella stanza accanto, c'è Fanny. Anche lei, come una rabdomante invasata, poggia la mano sul muro, e ausculta. Tacciono. In quel silenzio respirato, ognuno di loro è certo, e immensamente riempito, della presenza dell'altro. Sono passati ventuno mesi da quando John Keats era arrivato per la prima volta nel cottage dove Fanny viveva con sua madre vedova, Frances Brawne, e i suoi due fratellini. Tre giorni dopo il Natale del 1818, il 28 di dicembre, i due si incontrano. In realtà si conoscono già: a una festa, qualche mese prima, John e Fanny avevano scambiato qualche parola. L'impressione era stata negativa per entrambi: a lei, quel giovane che sognava di diventare uno scrittore era sembrato eccessivamente svagato e ombroso, perso tra fantasticherie sterili e l'angoscia per il fratello malato; e Keats aveva trovato Fanny frivola, tutta dedita a balli e ricami.
Ma adesso, nella cornice dolce e nevosa di un dicembre fiabesco, quei due ragazzi si vedono davvero negli occhi, dietro le maschere che avevano diffratto le loro identità; ora bastano poche ore, una manciata di frasi, uno sguardo - e i due si riconoscono. Lei si accorge di un cuore di angelo e di una mente di genio, di un volto incorniciato da soffici ricci e illuminato da occhi così brillanti da commuovere, due fessurine d'etere in cui il mondo si riflette come l'effetto di una magia: nessuno, mai, le aveva parlato a quel modo. In presenza di John lei si sente viva, compresa. E lui la adora: lei è la prima ad ascoltare davvero i suoi sogni, le sue teorie sulla poesia, gli strazi e il brillare della sua anima ipersensibile per ogni cosa; e poi Fanny è bellissima, animata da un'intelligenza curiosa e viva, dolce, attenta. Ogni cosa che lei dice a lui sembra un incantesimo meraviglioso. Il loro è un amore fatto di sospiri e parole tenere, di carezze tenui e sguardi rapiti, di baci donati tra i gladioli e i susini del giardino. Vivono a pochi metri di distanza, perché John è venuto ad abitare in affitto in una parte della casa insieme al suo amico Charles. Mentre il 1818 finisce, John Keats crede di aver finalmente trovato quella ispirazione poetica che da anni cercava. L'ha trovata in Fanny.
In lei che sente essere il suo destino. Ora scrive capolavori con la stessa naturalezza con cui sbocciano i gladioli: versi perfetti, gravidi di sentimenti sovrumani, un canto commovente, meravigliato e straziato, sul perdersi dell'uomo nella bellezza delle cose del cosmo. Con la grazia di un cherubino smarritosi sui sentieri di granito della terra, Keats riesce finalmente a descrivere la verità della bellezza. Ed è felice. Per la prima volta in vita sua, è felice. Una felicità che riverbera in quella di Fanny, luce nella luce. Ma per la madre di lei quel bagliore negli occhi della figlia è fonte d'ansia. John non ha di che vivere, né sostanze. Nessuna proprietà, nessuna famiglia. Nessun futuro. Non possono sposarsi. Se la loro storia dovesse continuare e poi finire, nessuno vorrà più prendere una donna che si è tanto apertamente dichiarata a un altro. E poi, soprattutto: Keats sta male. Lo affliggono spesso forti febbri, e una tosse tanto insistente da togliergli il fiato. Charles e gli altri amici di John ne sono certi: a ridurlo in quello stato è stata lei, Fanny, la ragazza sciocca e frivola, la sarta senza istruzione e non alla sua altezza, la sciacquetta; la sua malsana passione per lei l'ha divorato, l'ha distratto dal suo impegno con la letteratura, minando la sua costituzione cagionevole. John è consapevole che i suoi amici si sbagliano.
Si sbagliano su Fanny, che l'ha reso un poeta perché gli ha mostrato cosa significhi amare; e si sbagliano sull'eziologia del suo male. Prima di essere folgorato da Shakespeare e decidere di diventare uno scrittore, Keats aveva studiato da infermiere. Era stato al capezzale di suo fratello Tom per mesi, e gli era morto tra le braccia. Sa benissimo che cos'ha. Quando per la prima volta il 3 di febbraio del 1820 tossisce e il suo fazzoletto si sporca di sangue, ne ha la conferma: è tisi. John capisce che il tempo che gli resta è poco. Realizza che morirà. Deve andarsene, lasciare Fanny. Subito. Per la soddisfazione dei suoi amici e per la serenità della madre di lei. In giugno, si trasferisce a Kentish Town, un quartiere poche miglia lontano. Ma non resiste. I primi giorni d'agosto, febbricitante, cammina due ore sotto la pioggia e arriva nel giardino del cottage a Wentworth Place. E lì sviene. Lo portano in casa, lo curano. Di lì a poco, Frances capisce che non può disintegrare quel bagliore che a Fanny si accende negli occhi quando guarda John. "Sposalo, figlia mia, se davvero lo ami tanto. Curiamolo, salviamolo, e poi sposalo". Ma non lo possono salvare. La malattia è troppo avanzata. L'amore e le cure di Fanny non bastano. John si sta allontanando: la tisi lo porta alla deriva, verso l'orizzonte della morte, e Fanny resta a riva, amante impotente e lacrimante di fronte all'invincibile corrente. I medici scuotono il campo, non lasciano spazio alla speranza nella diagnosi.
Il poeta non sopravviverà a un altro inverno inglese. La sua unica possibilità è partire verso climi più miti. L'Italia: Roma. Però Fanny non può andare con lui: inconcepibile per una donna non sposata accompagnare un uomo in un paese straniero. Ci va il suo amico Severn. La notte precedente la partenza John e Fanny, ognuno nella propria stanza, poggiano le mani alla parete sapendo che, di là, c'è l'amore della loro vita. In silenzio, respirano, auscultandosi i fiati dietro il muro che li separa. Ventiseienne, in un appartamento di Piazza di Spagna, dopo un viaggio di dolori e una terribile agonia in cui non riusciva neanche più ad aprire le lettere che gli arrivavano da Fanny, John Keats moriva il 23 febbraio del 1821. Il pensiero rivolto al lei, sentiva di dissolversi, profuso nelle cose del mondo: l'aria profumata e tenue del tardo inverno romano, la musica della fontana poco lontana, l'abisso dei cieli che troppo presto lo invocava a sé. È convinto di morire prima di poter scrivere alcunché di degno; è convinto di morire dimenticato, come uno il cui nome fu scritto nell'acqua. È convinto di non rimanere in nulla, se non nel cuore di lei. Keats non ha idea, spirando tra spasimi al petto e colpi di tosse, che diventerà un mito per la futura generazione dei Preraffaelliti e il simbolo stesso della poesia romantica.