venerdì 11 dicembre 2015

GESTIRE IL RISCHIO



Quest’anno sancisce definitivamente la fine degli investimenti risk-free ossia quegli strumenti o prodotti di investimento che siano di fatto privi di rischio magari a fronte di una remunerazione e redditività modesta o addirittura assente. Il piccolo investitore italiano mi chiede e mi scrive in continuazione le seguenti: voglio avere un rendimento rilevante ed al contempo voglio essere protetto. Forse lo si poteva ottenere paradossalmente sette anni fa successivamente al default di Lehman Brothers, tuttavia oggi questo tipo di assunti sono riconducibili solo alla fantafinanza. Le vicende che hanno colpito numerose banche italiane in questi ultimi mesi rappresentano la prefazione al libro di spiacevoli cronache finanziarie che andremo a scrivere e leggere nei prossimi anni. Non ho dubbi su come verranno gestiti e risanati gli oltre 200 miliardi di sofferenze bancarie in Italia: basta solo aspettare ed il 2016 sarà l’anno del redde rationem per tutta l’industria bancaria. Mai come nel prossimo anno sarà di vitale importanza la gestione del rischio per il proprio patrimonio finanziario a fronte delle varie tipologie di rischio ordinario e sistemico cui dovremmo prepararci. Rattrista vedere come in questi ultimi cinque anni la cultura finanziaria media dei risparmiatori ed investitori italiani non solo sia rimasta fossilizzata a quella di circa dieci anni fa, ma addirittura in taluni casi sia stata plagiata da una fuorviante propaganda dello stesso sistema bancario. Sostanzialmente a livello pratico sono venute a mancare quelle certezze e sicurezze con cui i nostri genitori o nonni hanno potuto costruire (senza alcuna formazione finanziaria) un patrimonio solido, sicuro e immune da contagi e rischi finanziari di varia natura.
Pensate a come e dove si investiva solo fino a dieci anni fa: titoli di stato italiani, obbligazioni bancarie, certificati di deposito ed immobili residenziali messi a reddito. Chi oggi volesse replicare questo modus operandi all’investimento si esporrebbe a rischi di patrimonio ormai non più giustificabili in rapporto alla redditività attesa. Il 2016 rappresenterà un nuovo zero cronologico per tutta l’industria del risparmio gestito vista la convergenza spiacevole di numerosi mutamenti e criticità dello scenario macroeconomico, delle politiche monetarie e del quadro normativo di riferimento in ambito bancario e finanziario. Si potrebbe dire per farla comprendere a tutti con grande facilità e con una vena di sarcasmo che fino a qualche anno fa si implementava una strategia cosidetta di fritto misto ossia il portafoglio finanziario era composto di un’accozzaglia di obbligazioni, azioni, fondi e qualche strumento esotico che in qualche maniera riusciva a produrre un flusso di income generoso oppure una qualche sorta di protezione fittizia. Tuttavia è bastata l’estate del 2011 per capire come anche un titolo di stato o una obbligazione senior può essere soggetta a volatilità di oltre venti punti percentuali. Banchieri centrali e governi hanno fornito antibiotici e integratori ai mercati in questi ultimi tre anni ed ora sappiamo che presto il finto clima di stabilità e serenità potrebbe finire con elevati picchi di volatilità durante ogni anno destinati a diventare una normalità più che una eccezionalità. Quando parlo con promotori finanziari o private banker sento sempre questo mantra che gira e rigira prova a creare una sensazione di autoconvinzione: basta diversificare il proprio portafoglio, in questo modo si creano le condizioni per la sopravvivenza. Peccato che oggi il termine diversificazione sia ormai arcaico o addirittura anacronistico.
Questo perchè la maggior parte degli strumenti di investimento sono ancora legati ai benchmark (parametri finanziari di riferimento) i quali purtroppo dipendono ancora ad oggi in larga misura solo sulla capitalizzazione di un mercato o sulle grandi aziende o nazioni che compongono un determinato settore o paniere di investimento. Pertanto nell’aspetto pratico quando si tenta di diversificare un portafoglio ci si limita a moltiplicare gli strumenti disponibili da inserire nell’asset allocation oppure a differenziare le componenti di rischio. Ripeto, questo poteva dare soddisfazione sino a cinque anni fa, ma ora con l’attuale dinamica dei tassi di interesse e la constatazione che molte aree tematiche di mercato sono sopravvalutate, si rischia di produrre effetti spesso nocivi e deleteri per la consistenza dello stesso patrimonio. Cosa si intende quindi con l’espressione creare un portafoglio robusto ? Significa implementare una allocazione tattica di portafoglio in grado di renderlo il più possibile non vulnerabile, pertanto in grado di assorbire e sterilizzare i picchi di volatilità inattesa e contenere la variabilità dei rendimenti delle varie classi di attivo in rapporto alla distribuzione del rischio (approccio all’investimento denominato risk parity). Per usare una terminologia prettamente tecnica si parla in tal senso di portafoglio resiliente ossia in grado di autoripararsi a seguito di un danno subito e capace di resistere a improvvise pressioni esterne. La ratio di questa metodologia operativa trova fondamento sull’assunto che l’esposizione decorrelata in un portafoglio finanziario non scaturisce dall’unione di molteplici classi di attivo ossia il concetto antiquato di moltiplicazione delle componenti di portafoglio.
Da questo punto di vista infatti più che diversificare gli attivi sarebbe consigliabile categorizzare il ruolo del rischio nelle diverse componenti che costituiscono il proprio portafoglio, questo produrrebbe un efficientamento del portafoglio e in conseguenza una riduzione della volatilità a parità di rendimento atteso. Modelli di portafoglio che si usavano un tempo come il core satellite (investimento massivo e sicuro con a lato alcune scommesse satelliti in tematiche finanziarie specifiche) sono per questo superati a causa della elevata correlazione che contraddistingue ormai quasi tutti gli strumenti finanziari. Il successo pertanto dovrebbe essere ottenuto attraverso una composizione di strategie di investimento alternative con molteplici motori di rendimento. Al momento il panorama dei prodotti disponibili per il piccolo investitore è ancora abbastanza limitato, considerate a tal fine che degli oltre dodicimila fondi comuni di investimento distribuiti e collocati in Italia ve ne saranno circa duecento di ultima generazione che meritano la vostra attenzione per la strategia proposta e possono per questo essere inseriti nel vostro portafoglio. L’aspetto secondario tuttavia da prendere in considerazione è relativo al cosidetto drawdown di tali fondi ossia la perdita massima che sono arrivati a subire prima che la stessa fosse successivamente recuperata. In tal senso proprio questi fondi a strategia non convenzionale o market neutral sono stati tutti concepiti dopo il 2008, pertanto non sappiamo come si sarebbero comportati durante quella fatidica fase di panic selling e rischio sistemico. Sono sollevato, ma non completamente rincuorato, dall’aver visto come la maggior parte di loro abbia saputo resistere ed alcuni di loro anche sterlizzare le recenti turbolenze di mercato relative alla crisi greca ed a quella cinese. Voglio sperare che questo possa essere considerato il campo di battaglia più arduo in cui questi nuovi fondi abbiano avuto modo di cimentarsi con denaro reale (quello vostro), ma sono consapevole che il tutto non può essere ritenuto purtroppo sufficiente.
Eugenio Benetazzo - eugeniobenetazzo.com