mercoledì 23 dicembre 2015

ALLORA, E’ FINITA LA CRISI? NO, E’ APPENA COMINCIATA

Paola De Micheli, il sottosegretario all'economia di cui sopra


L’economia di casa nostra e non solo, va male, molto male. Il debito pubblico è in costante aumento, sono stati battuti tutti i record, anche quest’anno sforeremo il rapporto deficit – PIL, la nostra crescita reale si attesta sullo 0,7%, una tale inezia da collocarci in bilico tra stagnazione e recessione. Ovviamente non dovete dare minimamente retta al bullo di Rignano, un fantasista da varietà, un venditore di sogni come di fumo cui non è possibile ascrivere la minima fiducia. Specialista nello sparare balle (lo chiamavano per questo “il bomba”), non ha perso il vizio di modificare la realtà, modellando un mondo che esiste solo nella sua fantasia. Uno strumento infallibile per misurare l’andamento economico di un paese è costituito dalla sua finanza. Bene, le borse valori sono l’indicatore fondamentale, il termometro della finanza e dell’economia di un paese. Sono mesi, ormai, che la Borsa di Piazza Affari chiude costantemente in negativo: l’indice FTSE Mib è quotidianamente in perdita. Negli ultimi due mesi le giornate chiuse in positivo si contano sulle dita di una sola mano. Ci sono molteplici cause, anche internazionali, ma, è questo il punto, la Borsa di Milano misura la nostra salute economica. L’economia cinese si è fermata, era la locomotiva del mondo, stava per superare la prima economia, quella degli USA, poi, in questi ultimi mesi, la situazione si è deteriorata, le importazioni di materie prime sono calate, l’export pure, la crescita cinese si è attestata al di sotto delle attese e delle stime. Di qui la conseguenza più vistosa: la Cina importa meno petrolio, perché è diminuito il fabbisogno, il prezzo del barile crolla, la fiducia degli investitori istituzionali vacilla e declina verso il pessimismo e l’avversione per il rischio, invece di comprare, si tende a vendere. La Cina è il volano dell’economia di un continente intero, l’Asia, i paesi cosiddetti “emergenti” non sono più tali, le loro valute si sono indebolite, i crediti loro concessi sono in sofferenza, insomma hanno fatto il passo più lungo della  gamba. L’Europa non cresce, la BCE non ha le funzioni di una vera banca centrale, come la FED americana, non può stampare moneta, se non indirettamente, attraverso il meccanismo del Quantitative Easing, non può costituirsi quale prestatore di ultima istanza. Vi chiederete: ma che c’entrano i miei risparmi con il crollo continuo della Borsa di Milano? C’entrano, eccome. Oggi, a differenza dei tempi dei nostri genitori, non si investe più in titoli di stato o in buoni fruttiferi postali: sono investimenti che non rendono nulla, tanto vale lasciare i propri denari sul conto corrente. Allora ci si deve necessariamente rivolgere ad altri strumenti finanziari: Fondi comuni di investimento, Sicav, ETF, bond High Yield, covered bond, obbligazioni,  azioni, fondi hedge, al limite, derivati o cartolarizzazioni. Sono prodotti che, genericamente e per semplificare, rientrano, quasi tutti, nel risparmio gestito, a dire che chi li acquista affida la gestione del proprio portafoglio ad un professionista che amministra per noi i nostri averi, possedendo, si presume, una conoscenza profonda dei mercati e dei loro meccanismi. Ma in uno scenario come quello descritto, i gestori di fondi purtroppo, si trovano molto spesso con le mani legate. Mi spiego: se il profilo di un risparmiatore è prudente, un consulente finanziario non potrà fare altro che consigliare strumenti che, non solo non rendono quasi nulla, ma, anzi, perdendo un poco tutti i santi giorni, erodono nel tempo il nostro patrimonio, vanificando completamente l’investimento. Allora, la parola magica che sentiamo pronunciare continuamente è “diversificare”. Oh bella, ma diversificare cosa? Per ottenere guadagni degni di nota occorrono due cose: tempi lunghi e innalzamento del rischio. Non ci sono altre vie. Bisogna avere pazienza e nervi saldi, prospettarsi guadagni nel lungo periodo, due, tre, anche quattro o cinque anni. E rischiare. Cioè mettere in gioco, mediamente, un 25% del nostro capitale. Se va bene il capitale impiegato può levitare diciamo di un 5%, se va male al massimo possiamo perdere il 25% di cui parlavamo. E’ solo un esempio, per rendere l’idea. Tutti i prodotti finanziari di cui abbiamo parlato sono pesantemente influenzati dall’andamento delle borse e dei mercati. Ecco perché i nostri risparmi, se investiti, dipendono completamente dall’andamento dell’indice di Milano.  In un’epoca come quella attuale, se non siamo in possesso di un patrimonio intorno al milione di euro, ci conviene mantenerci prudenti, quindi, in buona sostanza, non investire affatto, considerato, come si diceva, che i prodotti finanziari “prudenti, bilanciati, flessibili” ecc. non solo rendono poco o nulla, ma ci fanno perdere costantemente qualcosa. In definitiva, per il 2016, se non siete già ricchi, e, anzi, avete messo da parte una somma modesta, non impegnate i vostri denari in fondi comuni di investimento che vi renderanno al massimo lo zero virgola, lasciate perdere, tenete d’occhio il materasso, il buon vecchio materasso, non ha ancora completamente perduto la sua funzione, oltre a quella di farci riposare, di costituire una cassaforte a prova di scassinatore. (R. T.)