Esattamente dodici anni fa se ne
andava una persona che ha rappresentato molto per me, uno strano male se l’è
portata via in un paio di mesi, neanche il tempo di realizzare quello che stava
accadendo. Ci legava un rapporto sentimentale, da circa quattro anni, lei era
per me un porto sicuro dove approdare , un sostegno che non faceva mai mancare,
una donna cui era facile volere bene, sempre allegra e disponibile. Si dice
così di tutti quelli che non ci sono più, ma almeno questo era per me. Ricordo
ancora i nostri appuntamenti nella solita piazza, le sue lunghe, pazienti
attese di un cronico ritardatario, i suoi capricci di bambina, che voleva
questo o quell’oggetto, che aveva attirato la sua attenzione: piccole cose,
perché non ha mai preteso nulla per sé, aveva scelto di amarmi, e lo faceva
incondizionatamente, accettando i miei innumerevoli difetti, le mie lacune caratteriali, i miei silenzi
stralunati, la mia instabilità. Ma lei aveva scelto, e lo aveva fatto una volta
per tutte, al di là di quello che non le ho saputo dare, o trasmettere. Non le
ho mai detto quanto era profondo il mio sentimento per lei, quanto fosse importante: lei parlava, si
confidava e lo faceva per tutti e due, diceva quello che probabilmente non le
ho mai saputo dire. Era il mio sostegno, il mio supporto, quando qualcosa
andava storto o le vicende della vita mi portavano ad essere pessimista o a
chiudermi in me stesso, lei era in grado di allietarmi e di rendere più
sopportabile il fardello delle circostanze avverse. Ricordo le nostre
passeggiate in centro, i nostri pranzi frettolosi e i nostri acquisti: cose
inutili che non avrebbe mai utilizzato, ma che, in quel momento, lei desiderava
più di ogni altra cosa. Credevi che fossi un grande uomo, con dei talenti
particolari, te lo lasciavo credere, assecondavo la tua ammirazione, non ti ho
mai detto di essere un idiota come tanti altri, ma forse non lo avresti
accettato, mi avevi idealizzato e questo ti bastava, era ciò che volevi. Con te
mi sentivo importante, ascoltato, pendevi dalle mie labbra quando mi inerpicavo
in qualche dotta spiegazione. Pensandoci adesso mi vedo come una creatura
patetica e narcisista, guidata dalla vanità. Nondimeno ti ho voluto bene, ed il
sentimento che ci univa era profondo anche per me, sebbene non lo dessi a vedere.
Forse ti ho dato qualcosa in cambio, magari senza avvedermene: ricordo sempre
le nostre scorribande, le corse pazze, le risate, la complicità che cementava i
nostri abbracci. Ricordo ancora quella sera in un locale con la sala da ballo,
eravamo a cena con dei colleghi, ad un certo punto l’orchestra attaccò un pezzo
molto romantico, ero un po’ brillo, mi sembrava di essere William Holden in
“Picnic”, e tu dovevi essere Kim Novak. Mi accostai, ero molto elegante, la
musica faceva sognare e girare la testa, ti feci alzare per ballare, e quello
che seguì non fu un semplice ballo, divenne la fusione di due cuori temerari,
l’unione di due anime in guerra. Ti strinsi forte, ed il bacio che seguì fu di
una tale dolcezza che ancora adesso, mentre sto scrivendo, ne avverto il sapore
di albicocca, il profumo di gelsomino. Fu un momento incantato. Chissà se avrai
mai capito che anch’io ti ho amata, non come te, che me lo dicevi e trasmettevi
continuamente, in un modo molto più egoistico ed ermetico, ma qualcosa, ne sono
certo, deve essere passato. Chissà se ridi ancora davanti ad un film
irriverente, o se mi corri ancora incontro, non dimenticando di essere stata
una sportiva, o se ti commuovi davanti allo spettacolo di una torta di
compleanno, piena di candeline. E poi ci fu quel giorno, i primi sintomi, il
primo accertamento. Quando lessi il referto non eravamo da soli, dissi poche
parole generiche. Era scritto in modo incomprensibile per chi non avesse
qualche nozione di medicina, ma il sangue mi si fermò nelle vene. Poi arrivò la
drammatica conferma e quello che seguì furono giorni di incubo, di angoscia e
di dolore, tutto si confonde nella mia memoria come in una nebbia. Quando te ne
andasti, arrivai a casa tua come un automa, ti vidi sdraiata sul letto per
l’ultima volta, ed è l’ultima cosa che ricordo. Per un anno rimasi come pietrificato,
nulla mi interessava, sprofondai in una condizione di totale indifferenza a
quello che mi circondava, ero solo un groviglio di dolore, sensi di colpa,
voglia di andare via. Ma i miei genitori erano ancora in vita, e il mio
povero padre comprese e mi fu di grande
aiuto. Chissà se dove sei adesso mi vedi in questo momento, in questo istante in cui sto pensando a te.
Mi piace pensare di sì, e che sebbene molte cose siano cambiate, ti penso
sempre, e ricordo ancora quello che siamo stati e abbiamo vissuto. Sono
trascorsi dodici anni. Adesso tu sei morta, ed io sembro vivo.
E quando
dodici anni fa dal bagno
Gli disse "è tardi, devo andare..."
Pensò che si trattasse di un impegno
Non dodici anni senza ritornare
Da allora vinse quasi sempre tutto
E smise di pensare
E mi manchi, mi manchi, mi manchi
Ma finchè canto ti ho davanti
Gli anni sono solo dei momenti
Tu sei sempre stata qui davanti
Gli disse "è tardi, devo andare..."
Pensò che si trattasse di un impegno
Non dodici anni senza ritornare
Da allora vinse quasi sempre tutto
E smise di pensare
E mi manchi, mi manchi, mi manchi
Ma finchè canto ti ho davanti
Gli anni sono solo dei momenti
Tu sei sempre stata qui davanti
R. Vecchioni, “Mi manchi”