venerdì 9 novembre 2012

SCIACALLI



Da qualche anno a questa parte, nel vuoto pneumatico della televisione, sempre più un recipiente senza contenuto, è invalsa l’abitudine, sia da parte del servizio cosiddetto pubblico, che dalle emittenti private, di  affrontare  casi di cronaca nera, costruendoci  sopra dei talk show, delle simulazioni in studio, invitando “esperti” (che poi non sono esperti di un bel nulla) che possano pontificare e sviscerare fino all’ultimo dettaglio il “caso” del giorno. Le storie le conosciamo tutti. E’ tale il bombardamento mediatico su omicidi o sparizioni di persone, che i nomi li rammentiamo tutti: da Melania Rea a Roberta Ragusa, da Meredith Kercher  a Sarah Scazzi, passando per le piccole Celentano e Denise Pipitone. Si programmano trasmissioni televisive di ore cercando a tutti i costi il particolare nuovo, il dettaglio apparentemente insignificante che potrebbe aprire una pista di indagine inusitata, si spacca il capello in quattro, cercando disperatamente la novità, il fatto nuovo che non ha lo scopo di aiutare gli inquirenti nel loro lavoro, ma solo quello di alimentare le chiacchiere da bar dello sport che vengono mandate in onda. Gli invitati sono patetici: criminologi improvvisati, esperti di mezza tacca, psicologi in cerca di pazienti, sacerdoti secolarizzati in cerca di notorietà, filosofi (il triste prof. Zecchi, sempre più sconsolato e scontato nelle sue manifestazioni), poliziotti in pensione, personaggi televisivi stracotti alla ricerca di un riscatto d’immagine. Si dicono sciocchezze memorabili dall’inizio alla fine: una banalità dopo l’altra, la fiera delle ovvietà, gli esperti che parlano con una buffa aria tra il solenne e l’asseverativo, infilano  una castroneria dopo l’altra. Quando una persona scompare o viene uccisa, gli inquirenti iniziano le indagini e passano le notizie che man mano si avvicendano agli organi di stampa, ammesso che le indagini abbiano fatto qualche passo in avanti. Per apprendere se ci sono novità su casi di questo tipo basta sfogliare un quotidiano o leggere i dispacci dell’Ansa. Tutto qui. E invece no. Questi intrattenitori dell’orrore, calano come avvoltoi su queste vicende, appena fiutano il caso di cronaca, sia esso omicidio o sparizione, che possa potenzialmente celare qualche incertezza sull’eventuale colpevole, si avventano come condor, si impossessano della vicenda, ne fanno una sceneggiatura come si farebbe per confezionare una fiction televisiva, lavorano di fantasia, traendo spunto da un insignificante particolare che serve come fondamenta per costruire una serie di castelli in aria che, essendo di carta, non possono che sortire come unico risultato quello di fare audience e fuorviare allo stesso tempo chi le indagini le conduce veramente. I protagonisti di questi drammi umani diventano personaggi, marionette, macchiette  manovrate dalla regia televisiva di questi intrattenitori di quart’ordine. Pochi resistono al fascino del protagonismo televisivo, si fanno intervistare, fanno ospitate e comparsate di continuo, ripetendo sempre la stessa versione dei fatti con parole diverse. Qualcuna diventa una piccola stellina televisiva, come la Sig.ra Maggio, madre di Denise Pipitone. All’inizio pareva una scugnizza che parlava a mala pena la lingua italiana, col tempo si è fatta il maquillage, e parla in punta di forchetta. Rilascia interviste, lancia appelli non si sa bene a chi, fa l’ospite televisiva perchè anche lei è diventata a suo modo una “esperta”, la perdita della figlia ha modificato completamente la sua esistenza, non sempre in senso negativo. Sarebbe stata una perfetta nullità, ora è una donna famosa. Forse non le dispiace neppure. Questo riesce a fare una macchina come quella televisiva che tritura tutto quello in cui si imbatte e di cui si occupa, livellando tutto in una marmellata che somiglia sempre di più a spazzatura. Mara Venier e Marco Liorni sono due professionisti della televisione del dolore: sciacalli che si cibano delle vittime di drammi umani, senza far loro del male, anzi. Nel caso del bambino trascinato dalla polizia in una casa famiglia, la madre è diventata un personaggio, piagnucola tra una intervista e una ospitata, si atteggia a vittima delle circostanze, tra la costernazione degli “esperti” come Pier Luigi Diaco, un perfetto prodotto di questo tipo di televisione, che non riesce a dire una sola cosa sensata. Quest’ultima è una storia esemplare: non è vero che non si possa sfuggire alle lusinghe della televisione, all’intrattenimento macabro. Il padre del bambino, un avvocato non sprovveduto ha rilasciato un sola intervista, e poi è scomparso. Sono i quattrini e la voglia di apparire che spingono i protagonisti di queste vicende ad entrare nel circo Barnum del trash televisivo. Gli autori invocano il pubblico: dicono che la gente vuole sentire queste storie, le vuole sviscerare in ogni più insignificante dettaglio, conoscendo da vicino i protagonisti. Ma è la solita balla: non è lo spettatore a scegliere: è la televisione a proporre questa paccottiglia, e lo spettatore subisce passivamente quello che gli trasmette il digitale terrestre. Non credete alla favola della televisione modellata dai gusti dello spettatore : è vero il contrario. Gli autori (chiamiamoli autori!) decidono i palinsesti, gli spettatori, come tanti pecoroni, seguono quanto viene proposto. E’ la televisione a decidere non lo spettatore. Intendiamoci: si può fare seriamente televisione su drammi simili: Roberta Petrelluzzi con “Un giorno in pretura”, Franca Leosini con le sue interviste a condannati in carcere, la trasmissione “Amore criminale”, sono splendidi esempi di come la televisione si possa occupare con professionalità di casi di cronaca. Ma per uno strano gioco del caso, o le loro trasmissioni sono state soppresse, come nel caso della bravissima Petrelluzzi, o vengono mandate in onda quando le persone normali sono nel primo sonno. Mettere a confronto Una Franca Leosini con Salvo Sottile non è un paragone: è una cattiveria. Tanto non ha nulla da dire l’uno quanto è seria e professionale l’altra. Cambia completamente l’approccio al tema: le trasmissioni serie non fanno spettacolo, la televisione della Venier e di Liorni fanno cabaret di una tragedia. Se anche la televisione può aiutare a capire un paese, l’anima di una nazione, bene, la nostra TV è uno specchio discretamente fedele del vuoto di idee e fantasia che ci contraddistinguono.