Da qualche anno a questa parte,
nel vuoto pneumatico della televisione, sempre più un recipiente senza
contenuto, è invalsa l’abitudine, sia da parte del servizio cosiddetto
pubblico, che dalle emittenti private, di affrontare casi di cronaca nera, costruendoci sopra dei talk show, delle simulazioni in
studio, invitando “esperti” (che poi non sono esperti di un bel nulla) che
possano pontificare e sviscerare fino all’ultimo dettaglio il “caso” del
giorno. Le storie le conosciamo tutti. E’ tale il bombardamento mediatico su
omicidi o sparizioni di persone, che i nomi li rammentiamo tutti: da Melania
Rea a Roberta Ragusa, da Meredith Kercher a Sarah Scazzi, passando per le piccole
Celentano e Denise Pipitone. Si programmano trasmissioni televisive di ore
cercando a tutti i costi il particolare nuovo, il dettaglio apparentemente insignificante
che potrebbe aprire una pista di indagine inusitata, si spacca il capello in
quattro, cercando disperatamente la novità, il fatto nuovo che non ha lo scopo
di aiutare gli inquirenti nel loro lavoro, ma solo quello di alimentare le chiacchiere
da bar dello sport che vengono mandate in onda. Gli invitati sono patetici:
criminologi improvvisati, esperti di mezza tacca, psicologi in cerca di
pazienti, sacerdoti secolarizzati in cerca di notorietà, filosofi (il triste
prof. Zecchi, sempre più sconsolato e scontato nelle sue manifestazioni),
poliziotti in pensione, personaggi televisivi stracotti alla ricerca di un
riscatto d’immagine. Si dicono sciocchezze memorabili dall’inizio alla fine:
una banalità dopo l’altra, la fiera delle ovvietà, gli esperti che parlano con
una buffa aria tra il solenne e l’asseverativo, infilano una castroneria dopo l’altra. Quando una
persona scompare o viene uccisa, gli inquirenti iniziano le indagini e passano
le notizie che man mano si avvicendano agli organi di stampa, ammesso che le
indagini abbiano fatto qualche passo in avanti. Per apprendere se ci sono
novità su casi di questo tipo basta sfogliare un quotidiano o leggere i dispacci
dell’Ansa. Tutto qui. E invece no. Questi intrattenitori dell’orrore, calano
come avvoltoi su queste vicende, appena fiutano il caso di cronaca, sia esso
omicidio o sparizione, che possa potenzialmente celare qualche incertezza sull’eventuale
colpevole, si avventano come condor, si impossessano della vicenda, ne fanno
una sceneggiatura come si farebbe per confezionare una fiction televisiva,
lavorano di fantasia, traendo spunto da un insignificante particolare che serve
come fondamenta per costruire una serie di castelli in aria che, essendo di
carta, non possono che sortire come unico risultato quello di fare audience e
fuorviare allo stesso tempo chi le indagini le conduce veramente. I
protagonisti di questi drammi umani diventano personaggi, marionette,
macchiette manovrate dalla regia
televisiva di questi intrattenitori di quart’ordine. Pochi resistono al fascino
del protagonismo televisivo, si fanno intervistare, fanno ospitate e comparsate
di continuo, ripetendo sempre la stessa versione dei fatti con parole diverse. Qualcuna
diventa una piccola stellina televisiva, come la Sig.ra Maggio, madre di Denise
Pipitone. All’inizio pareva una scugnizza che parlava a mala pena la lingua
italiana, col tempo si è fatta il maquillage, e parla in punta di forchetta.
Rilascia interviste, lancia appelli non si sa bene a chi, fa l’ospite
televisiva perchè anche lei è diventata a suo modo una “esperta”, la perdita
della figlia ha modificato completamente la sua esistenza, non sempre in senso
negativo. Sarebbe stata una perfetta nullità, ora è una donna famosa. Forse non
le dispiace neppure. Questo riesce a fare una macchina come quella televisiva
che tritura tutto quello in cui si imbatte e di cui si occupa, livellando tutto
in una marmellata che somiglia sempre di più a spazzatura. Mara Venier e Marco
Liorni sono due professionisti della televisione del dolore: sciacalli che si
cibano delle vittime di drammi umani, senza far loro del male, anzi. Nel caso
del bambino trascinato dalla polizia in una casa famiglia, la madre è diventata
un personaggio, piagnucola tra una intervista e una ospitata, si atteggia a
vittima delle circostanze, tra la costernazione degli “esperti” come Pier Luigi
Diaco, un perfetto prodotto di questo tipo di televisione, che non riesce a dire una sola cosa sensata. Quest’ultima
è una storia esemplare: non è vero che non si possa sfuggire alle lusinghe
della televisione, all’intrattenimento macabro. Il padre del bambino, un avvocato
non sprovveduto ha rilasciato un sola intervista, e poi è scomparso. Sono i
quattrini e la voglia di apparire che spingono i protagonisti di queste vicende
ad entrare nel circo Barnum del trash televisivo. Gli autori invocano il
pubblico: dicono che la gente vuole sentire queste storie, le vuole sviscerare
in ogni più insignificante dettaglio, conoscendo da vicino i protagonisti. Ma è
la solita balla: non è lo spettatore a scegliere: è la televisione a proporre
questa paccottiglia, e lo spettatore subisce passivamente quello che gli
trasmette il digitale terrestre. Non credete alla favola della televisione
modellata dai gusti dello spettatore : è vero il contrario. Gli autori
(chiamiamoli autori!) decidono i palinsesti, gli spettatori, come tanti pecoroni,
seguono quanto viene proposto. E’ la televisione a decidere non lo spettatore. Intendiamoci:
si può fare seriamente televisione su drammi simili: Roberta Petrelluzzi con “Un
giorno in pretura”, Franca Leosini con le sue interviste a condannati in
carcere, la trasmissione “Amore criminale”, sono splendidi esempi di come la
televisione si possa occupare con professionalità di casi di cronaca. Ma per
uno strano gioco del caso, o le loro trasmissioni sono state soppresse, come
nel caso della bravissima Petrelluzzi, o vengono mandate in onda quando le
persone normali sono nel primo sonno. Mettere a confronto Una Franca Leosini
con Salvo Sottile non è un paragone: è una cattiveria. Tanto non ha nulla da
dire l’uno quanto è seria e professionale l’altra. Cambia completamente l’approccio
al tema: le trasmissioni serie non fanno spettacolo, la televisione della
Venier e di Liorni fanno cabaret di una tragedia. Se anche la televisione può
aiutare a capire un paese, l’anima di una nazione, bene, la nostra TV è uno
specchio discretamente fedele del vuoto di idee e fantasia che ci
contraddistinguono.