mercoledì 7 novembre 2012

LA FANDONIA DELL'AGENDA DIGITALE



Questo sciagurato governo dei “tecnici” che sono sempre meno tecnici e sempre più politici, tanto  per creare un diversivo e spostare l’attenzione dall’ennesima manovra finanziaria (perché questo è, a dispetto delle definizioni edulcorate di “legge di stabilità’”, “manutenzione dei conti”, “spending review” e altre amenità del genere), ha deciso di puntare sulla piaga per  eccellenza del nostro paese: la burocrazia. Spot televisivi, inserzioni sui giornali, interventi di ministri e sottosegretari, tutti a strombazzare l’”agenda digitale”, la panacea contro tutti i mali dell’apparato burocratico. L’idea, in sostanza, è quella, vecchia di almeno vent’anni, di informatizzare tutti i sistemi delle Pubbliche Amministrazioni, in modo che possano interagire e dialogare fra di loro, per raggiungere l’obiettivo finale della “dematerializzazione” delle pratiche burocratiche.  Siamo abituati a questi annunci, ormai non ci badiamo neppure più. E questo per diversi motivi. Il primo fra tutti, quello che ha capito, dopo essersi  rotto il capo su questo rebus il mai compianto ministro Brunetta, è che le riforme a costo zero non sono possibili. Non si va a nozze con i fichi secchi: se non abbiamo ostriche e champagne, ma solo fichi secchi, possiamo fare tante belle cose, ma a nozze non ci possiamo andare. Occorre investire, e parecchio, per raggiungere un simile risultato. Investire in infrastrutture (i server ministeriali sono troppo vecchi e privi di manutenzione per funzionare a dovere e reggere i flussi informatici che una simile riforma prevede). Acquistare super computer con processori potentissimi, anzitutto, Poi si tratta di investire in consulenze, perché non sono molti quelli che sono in grado di allestire un sistema informatico così articolato e complesso, e i tecnici ministeriali, essendo di nomina politica, quindi raccomandati, in generale non sono dei fulmini di guerra. Poi investire in formazione del personale, perché il personale in servizio presso tutte le pubbliche amministrazioni non  può conseguire da un giorno all’altro un livello di preparazione adeguato al nuovo assetto. Bisogna adeguare anche le unità periferiche: i computer in uso oggi nelle P.A. sono, con qualche eccezione, obsolete e mal funzionanti, non ci sono neppure i soldi per i toner delle stampanti. Inoltre, una volta acquisito tutto questo ben di Dio, e aver speso, diciamo qualche miliardo di euro, occorre approntare una rete di controlli e di coordinamento che possa vigilare sul funzionamento del sistema, affrontare le criticità che non mancano mai, implementare un sistema che necessita di cambiamenti e modificazioni continue, essendo, per eccellenza, un sistema in divenire. Qualcuno dovrebbe vigilare affinchè i soldi siano spesi a dovere e secondo i canali prestabiliti, senza prendere la strada delle tasche dei politicanti coinvolti nel progetto, e formulare quella che si definisce davvero una “spending review” (non quella finta di Monti), un controllo della spesa che possa monitorare le voci che possono essere rimosse o quelle che necessitano di un incremento. Tutta questa mastodontica riforma della pubblica amministrazione, una vera e propria rivoluzione, perché, non dimentichiamolo, dal diritto romano abbiamo ereditato la propensione alle regole e alle loro eccezioni, ma soprattutto un amore smodato per la carta e per la timbratura della stessa. Il massimo del piacere dell’impiegato modello italiano è apporre un timbro, uno qualsiasi, su qualche profumata pratica cartacea. In conclusione, la campagna del ministro Patroni Griffi, probabilmente un parente dell’autore di cabaret Giuseppe, è pura propaganda politica. La classica “sola” all’italiana. Ricordiamo tutti il falò di leggi inutili di Calderoli: in realtà erano solo balle di fieno quelle che bruciavano. Tutti noi, ogni giorno ci dobbiamo misurare con una qualsiasi “molestia burocratica”, lo Stato non viene mai vissuto dal cittadino come un erogatore di servizi, ma come un nemico che si mette per traverso, per complicarci l’esistenza e contro il quale dobbiamo quotidianamente combattere, per contestare una cartella pazza, per ricorrere contro la decurtazione di una pensione, per reclamare contro una vessazione che abbiamo subito. Ecco perché il “tecnico” Patroni Griffi è un figlio degenere dell’ex ministro Brunetta (infatti faceva parte del suo staff): sta facendo politica, si fa pubblicità con i soldi dei contribuenti per reclamizzare una riforma, quella digitale, che sa benissimo essere irrealizzabile. Ci vuole almeno un decennio per fare quello che dice il famoso spot televisivo, e molti, molti quattrini. La pubblicità ci fa, viceversa,  credere che la riforma è già partita e la vita di noi cittadini è ormai semplificata. Contro una simile spudorata mistificazione, non si può che ridere, da un lato, e indignarsi per altri versi. Patroni Griffi è un politicante come gli altri, qualche volta ci fa rimpiangere quel comico travestito da politico che si chiamava Renato Brunetta.