Questo sciagurato governo dei “tecnici”
che sono sempre meno tecnici e sempre più politici, tanto per creare un diversivo e spostare l’attenzione
dall’ennesima manovra finanziaria (perché questo è, a dispetto delle
definizioni edulcorate di “legge di stabilità’”, “manutenzione dei conti”, “spending
review” e altre amenità del genere), ha deciso di puntare sulla piaga per eccellenza del nostro paese: la burocrazia.
Spot televisivi, inserzioni sui giornali, interventi di ministri e
sottosegretari, tutti a strombazzare l’”agenda digitale”, la panacea contro
tutti i mali dell’apparato burocratico. L’idea, in sostanza, è quella, vecchia
di almeno vent’anni, di informatizzare tutti i sistemi delle Pubbliche
Amministrazioni, in modo che possano interagire e dialogare fra di loro, per
raggiungere l’obiettivo finale della “dematerializzazione” delle pratiche burocratiche. Siamo abituati a questi annunci, ormai non ci
badiamo neppure più. E questo per diversi motivi. Il primo fra tutti, quello
che ha capito, dopo essersi rotto il
capo su questo rebus il mai compianto ministro Brunetta, è che le riforme a
costo zero non sono possibili. Non si va a nozze con i fichi secchi: se non
abbiamo ostriche e champagne, ma solo fichi secchi, possiamo fare tante belle
cose, ma a nozze non ci possiamo andare. Occorre investire, e parecchio, per
raggiungere un simile risultato. Investire in infrastrutture (i server
ministeriali sono troppo vecchi e privi di manutenzione per funzionare a dovere
e reggere i flussi informatici che una simile riforma prevede). Acquistare
super computer con processori potentissimi, anzitutto, Poi si tratta di
investire in consulenze, perché non sono molti quelli che sono in grado di
allestire un sistema informatico così articolato e complesso, e i tecnici
ministeriali, essendo di nomina politica, quindi raccomandati, in generale non
sono dei fulmini di guerra. Poi investire in formazione del personale, perché il
personale in servizio presso tutte le pubbliche amministrazioni non può conseguire da un giorno all’altro un
livello di preparazione adeguato al nuovo assetto. Bisogna adeguare anche le
unità periferiche: i computer in uso oggi nelle P.A. sono, con qualche
eccezione, obsolete e mal funzionanti, non ci sono neppure i soldi per i toner
delle stampanti. Inoltre, una volta acquisito tutto questo ben di Dio, e aver
speso, diciamo qualche miliardo di euro, occorre approntare una rete di
controlli e di coordinamento che possa vigilare sul funzionamento del sistema,
affrontare le criticità che non mancano mai, implementare un sistema che
necessita di cambiamenti e modificazioni continue, essendo, per eccellenza, un
sistema in divenire. Qualcuno dovrebbe vigilare affinchè i soldi siano spesi a
dovere e secondo i canali prestabiliti, senza prendere la strada delle tasche
dei politicanti coinvolti nel progetto, e formulare quella che si definisce
davvero una “spending review” (non quella finta di Monti), un controllo della
spesa che possa monitorare le voci che possono essere rimosse o quelle che
necessitano di un incremento. Tutta questa mastodontica riforma della pubblica amministrazione,
una vera e propria rivoluzione, perché, non dimentichiamolo, dal diritto romano
abbiamo ereditato la propensione alle regole e alle loro eccezioni, ma soprattutto
un amore smodato per la carta e per la timbratura della stessa. Il massimo del
piacere dell’impiegato modello italiano è apporre un timbro, uno qualsiasi, su
qualche profumata pratica cartacea. In conclusione, la campagna del ministro
Patroni Griffi, probabilmente un parente dell’autore di cabaret Giuseppe, è
pura propaganda politica. La classica “sola” all’italiana. Ricordiamo tutti il
falò di leggi inutili di Calderoli: in realtà erano solo balle di fieno quelle
che bruciavano. Tutti noi, ogni giorno ci dobbiamo misurare con una qualsiasi “molestia
burocratica”, lo Stato non viene mai vissuto dal cittadino come un erogatore di
servizi, ma come un nemico che si mette per traverso, per complicarci l’esistenza
e contro il quale dobbiamo quotidianamente combattere, per contestare una
cartella pazza, per ricorrere contro la decurtazione di una pensione, per
reclamare contro una vessazione che abbiamo subito. Ecco perché il “tecnico”
Patroni Griffi è un figlio degenere dell’ex ministro Brunetta (infatti faceva parte
del suo staff): sta facendo politica, si fa pubblicità con i soldi dei
contribuenti per reclamizzare una riforma, quella digitale, che sa benissimo
essere irrealizzabile. Ci vuole almeno un decennio per fare quello che dice il
famoso spot televisivo, e molti, molti quattrini. La pubblicità ci fa,
viceversa, credere che la riforma è già
partita e la vita di noi cittadini è ormai semplificata. Contro una simile
spudorata mistificazione, non si può che ridere, da un lato, e indignarsi per altri
versi. Patroni Griffi è un politicante come gli altri, qualche volta ci fa
rimpiangere quel comico travestito da politico che si chiamava Renato Brunetta.